21 ottobre 2017

Giovani non siate choosy – da Non è lavoro, è sfruttamento

Un estratto dal libro della ricercatrice Marta Fana "Non è lavoro, è sfruttamento" Laterza editore:

Quando scoppiò la crisi del 2008, le massicce dosi di flessibilità, introdotte fino a quel momento nel mercato del lavoro, mostrarono in modo eloquente il loro vero volto. La politica aveva però un compito: negare, negare sempre, negare soprattutto di fronte ai giovani: quelli maggiormente coinvolti dai lavori precari e che presto furono espulsi in massa dai processi produttivi insieme ai propri genitori; quelli che un lavoro non riuscivano proprio a trovarlo, indipendentemente dal titolo di studio. La disoccupazione nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni è cresciuta dal 18,3% del 2009 al 30,3% del 2016 (37,7% se si considera la fascia 15-24 anni). Nell'ultimo trimestre del 2016 il tasso di occupazione dello stesso gruppo anagrafico rimane al 29,5%, contro il 39% del 2009.Alle scelte politiche, ostinate sulla via delle riforme strutturali, serviva rafforzare la narrazione e trovare dei responsabili. Primi tra tutti i giovani stessi, quelli che non ce la fanno neppure a trovare un lavoro sottopagato, sottoinquadrato, quelli che non possono permettersi di lasciare casa dei genitori perché né loro né i genitori hanno i soldi per pagare una stanza in affitto altrove, quelli che si laureano in ritardo e a nessuno importa perché.
Nel 2012 essere «bamboccioni», termine coniato dal fu ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, era ormai un complimento: stavano per arrivare gli «sfigati» e gli «schizzinosi».«Dobbiamo dire ai nostri giovani che se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato, se decidi di fare istituto tecnico professionale, sei bravo. Essere secchione è bello, almeno hai fatto qualcosa»: parola di Michel Martone, vicemisnistro del lavoro del governo Monti (gennaio 2012).
Rincara la dose la ministra Elsa Fornero (ottobre 2012): «Non bisogna mai essere troppo choosy [schizzinosi], meglio prendere la prima offerta e poi vedere dentro. Non aspettare il posto ideale. Bisogna entrare subito nel mercato del lavoro».Così come ha fatto Chiara, che per due anni ha lavorato come cassiera a chiamata all’ipermercato Martinelli di Mantova.Alla cassa tutti i week-end da venerdì a domenica e poi anche un turno durante la settimana. Per gli infrasettimanali la chiamavano il giorno prima per avere conferma. No ferie, no malattia. Il turno era di dodici ore, con un'ora e mezza di pausa pranzo. La pausa pranzo era il solo momento in cui Chiara aveva diritto a bere. In cassa era vietato bere, ma anche sedersi.Così le sue colleghe erano costrette a tenere nascoste le bottigliette e a scomparire sotto la cassa per qualche istante. Essere sorridenti sempre, anche quando ti arrivava un'infezione urinaria, perché pure se bevi poco al bagno devi andare, ma quando chiami il cambio la collega non arriva a tamburo battente. Aspetti, anche mezz'ora, quaranta minuti.
A fine turno, nonostante nel contratto ci fosse scritto «cassiera», Chiara e le sue colleghe dovevano pulire i bagni, tutti. Chiara è riuscita a trovare un lavoro subito e a farsi sfruttare come si deve; le dichiarazioni della Fornero però rimangono non solo offensive, ma anche fuorvianti. Per la legge della domanda e dell'offerta, se tre milioni di persone sono disoccupate e altrettante scoraggiate – cioè non lavorano e si sono stancate di cercare – significa che la prima offerta neppure esiste. Lo dimostra il numero di posti vacanti, cioè disponibili, rispetto al totale dei posti di lavoro esistenti. Un indicatore che misura la domanda di lavoro da parte delle imprese, a ben vedere fanalino di coda europeo tra il 2009 e il 2016.
Ma perché i giovani? Perché se avessero preso coscienza di non essere sfigati – cioè di aver fatto tutto quello che veniva loro richiesto – avrebbero potuto rievocare uno spettro pericoloso: il conflitto.
Così i giovani avevano bisogno di una dose, più massiccia, di distrazioni di massa, che dirottasse la frustrazione ed evitasse ad ogni costo che questa si tramutasse in voglia di riscatto. Andava alimentata una guerra tra poveri e diseredati, mascherata da guerra intergenerazionale: padri contro figli, prima di tutto. Poi è arrivato il tempo degli immigrati, che però nel frattempo erano costretti a lavorare gratis.Senza girarci attorno, ciò che emerge dalle parole di chi è stato chiamato (dall'allora presidente Giorgio Napolitano, con la fiducia in primis del PD) s governare il paese all'esplodere della crisi è un profondo disprezzo nei confronti dei lavoratori e dei disoccupati, chiamati solo a sacrificarsi sull'altare della competitività e dei profitti delle imprese finanziarie e non.


Non è lavoro, è sfruttamento – Marta Fana, Laterza editore

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