11 settembre 2017

Prevenire le tragedie

Viviamo nell'epoca della paura e delle minacce: ma mentre osservavamo con ansia quanto si stava preprando in centro America con l'uragano Florida o anche quello che succede in Corea col dittatore che sta sfidando il mondo, la minaccia dal cielo è caduta su Livorno.

250 mm di acqua in poche ore, una bomba d'acqua che ha gonfiato torrenti che, usciti dagli argini, hanno spazzato via cose e case che si sono trovate davanti.
Era arrivata sì l'allerta arancione, ma ne arrivano tante, che nessuno si aspettava quello che è successo.
Un'intera famiglia uccisa nella propria casa, sommersa da acqua e fango.
Ora leggiamo delle polemiche tra sindaco e protezione civile: hanno torto entrambi e forse il sindaco qualche torto in più.
Perché ormai lo sappiamo come vanno le cose: non piove per mesi e poi arriva la bomba e allora si deve essere preparati.
Andando a sistemare problemi causati da altri, come le costruzioni a ridosso di torrenti o sotto il livello dell'acqua.
Andando a ripulire gli argini, i tombini. Creare dei piani di intervento in modo che le persone siano preparate.

Come a Genova, anche a Livorno si è costruito dove non si sarebbe dovuto, cementificando e intombando torrenti: Gian antonio Stella sul corriere

Spiega l’ Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale in uno studio recente che il consumo di suolo effettivo «a meno di 150 metri da corpi idrici permanenti» vede una media italiana del 5,2%, col Veneto al 6,9%, il Piemonte al 7,2%, il Trentino all’8,0%. Per non dire della Liguria (dove Rapallo chiede da anni l’abolizione dai dizionari della parola «rapallizzazione») che svetta addirittura al 19,2%. Quanto al cemento «all’interno delle aree a pericolosità idraulica» nel Veneto occupa il 9,6% del territorio, in Trentino il 10%, in Emilia-Romagna e in Toscana l’11%, nelle Marche il 13%. Con uno stratosferico 30,1% in Liguria. Prova provata, se mai ce ne fosse bisogno, della cecità con cui per anni si è costruito e si continua a costruire. Confidando nella buona sorte. Il tutto in un Paese dove «le aree a elevata criticità idrogeologica (rischi frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10% della superficie del territorio nazionale (29.500 chilometri quadrati)», «riguardano l’89% dei comuni (6.631)» e sono colpite dal «68% delle frane europee».  
C’è chi dirà: è colpa del clima che cambia! No, non tutta. I nubifragi, anche se il sommo poeta non avrebbe potuto chiamarle bombe d’acqua, c’erano anche ai tempi di Dante Alighieri che nell’Inferno descrive una tempesta in Lunigiana: «Tragge Marte vapor di Val di Magra / ch’è di torbidi nuvoli involuto; / e con tempesta impetuosa e agra». E un secolo e mezzo fa Jessie White Mario, nella cronaca dei funerali di Garibaldi, confermava: «Il cielo quasi si velò come alla morte del Giusto, e gli elementi scatenati aggiunsero il loro fragore a quello del cannone, e i venti schiantarono le bandiere...». Ci sono sempre stati, gli improvvisi diluvi. È l’ambiente, che troppo spesso non è più in grado di sopportare i cazzotti più violenti della natura. Perché siamo noi ad averlo stravolto. Per poi piangere, Dio ci perdoni, lacrime di coccodrillo.

Dopo ogni tragedia, da Genova a l'Aquila alle ultime scosse ad Ischia, si parla sempre di prevenzione, di cura del territorio, di mettere in sicurezza le abitazioni.
Sarebbe anche arrivato il momento di dare effetto a queste parole.

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