21 giugno 2017

La bomba, i fascisti, le responsabilità dello stato

Chi va dicendo in giro che odio il mio lavoronon sa con quanto amore mi dedico al tritolo,è quasi indipendenteancora poche orepoi gli darò la voceil detonatore. [Il bombarolo, Fabrizio de Andrè] 

Ci sono voluti 43 anni per arrivare ad una sentenza di condanna definitiva per la strage di piazza della Loggia, la bomba esplosa il 28 maggio 1974 a Brescia durante una manifestazione indetta dai comitati antifascisti e dai sindacati.
Da oggi possiamo dire che era una bomba fascista, messa in quella piazza in quel momento per creare panico, terrore. Per spegnere la fiamma della passione che ardeva quelle persone (come Manlio Milani e la moglie), la passione civile nell'impegnarsi per cambiare il paese in quel lavorio quotidiano di cui parla l'articolo 1 della Costituzione ("L'Italia è una Repbblica fondata sul lavoro").

Alla matrice fascista della strage si aggiunge un altro tassello, messo nero su bianco dalla sentenza della Cassazione: lo stato sapeva ma non ha agito per prevenire quella strage, per evitare quelle 8 morti e quei 102 feriti.
Quando si intende lo stato è bene chiarire subito che si sta parlando di una sua parte: il medico veneziano Carlo Maria Maggi, del gruppo neofascista Ordine Nuovo, aveva l'appoggio di quella parte dei servizi segreti italiani che avevano usato la lotta al comunismo come schermo per impedire il cambiamento degli assetti politici in questo paese.
Destabilizzare (e creare terrore) per stabilizzare questo paese.
Fino ad altre bombe, quasi 20 anni dopo, quelle del 1992-93. 

Ma sono cose che, per chi ha letto i libri che hanno raccontato quegli anni, gli anni di piombo, della strategia della tensione, della democrazia a sovranità limitata, erano già note.
I depistaggi (la falsa pista Buzzi), le prove distrutte (quel capitano dei carabinieri Delfino, che poi tornerà con la cattura di Riina e forse non è un caso), i magistrati a cui non arrivavano tutte le prove e che non sempre hanno dimostrato la volontà di andare fino in fondo.
E poi, ancora, Gladio e la presenza dei servizi americani (l'ordinovista Carlo Digilio era informatore della CIA come Maurizio Tramonte dei nostri servizi), i tentativi di golpe come segnali da mandare alla politica affinché recepisse il messaggio.
Questo è il contesto delle stragi, non solo quella di Brescia ma anche quella di Milano, la bomba alla banca dell'Agricoltura del 12 dicembre 1969. Piazza Fontana, quando abbiamo perso la nostra verginità. 

La sentenza della Cassazione dimostra che non si deve mai smettere di lavorare per la ricerca della verità giudiziaria, non è mai troppo tardi: questo vale anche per tutti gli altri buchi neri della storia dell'altro paese.
Magari un giorno la suprema corte stabilirà che Falcone è stato ucciso in Sicilia e non a Roma, con una bomba che ha fatto saltare per aria un pezzo di autostrada per dare un segnale al paese, non solo per una vendetta contro il magistrato e contro i politici che avevano tradito il patto con la mafia.
E Borsellino, 55 giorni dopo, è stato ucciso perché aveva saputo della trattativa in corso per trovare nuovi accordi tra stato e antistato.
Ma anche perché, come Falcone, aveva capito quale fosse il giro dei soldi della mafia, che dal sud finivano al nord, per inquinare l'economia delle regioni del nord, dove la mafia non esiste.
La mafia è entrata in borsa, aveva intuito Falcone: mafia, appalti, politica. 

Chissà, forse un giorno anche quest'ultimo tabù, dopo quello delle stragi fasciste degli anni 70, cadrà.
E saremo un paese più libero.

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