15 novembre 2016

Venditori di pentole

I venditori di pentole prima o poi si fanno riconoscere.
Come Berlusconi che, dopo le promesse liberali, se ne è uscito fuori con un decreto salva ladri, durante i mondiali di calcio.
O perché, più recentemente in America, dopo gli slogan contro il sistema, di metti al tuo fianco un estremista bianco come consulente o l'AD di JP Morgan al tesoro.
Si, certo, le promesse sulle centrali a carbone, sui clandestini, sugli islamici.
Come se nei suoi casinò e cantieri lavorassero solo maschi bianchi di razza caucasica e non immigrati che si prendono pure uno stipendio inferiore a quello di altri colleghi.

Ripeto, prima o poi, l'anima del venditore di pentole viene fuori.
Ma a differenza del piazzista, per un presidente non c'è diritto di recesso.

E noi in Italia ne siamo esperti: in questi giorni sto leggendo Hans Tuzzi, "Perché Yellow non correrà". Ad un certo punto, due dei personaggi del libro parlano di un sottosegretario che ha attraversato indenne il ventennio per finire la carriera nella democrazia.
«L'Italia è una nazione che espone la propria marmaglia come bandiere alle finestre»[..]«Un paese cafone e orfano della propria storia. Un paese protofascista per natura profonda. Venisse un piazzista di aspirapolveri a promettere il paese dei balocchi, gli italiani, con voto democratico, sarebbero capaci di portarlo a Palazzo Chigi».
Ognuno pensi all'esempio che più gli aggrada: siamo noi a scegliere i politici, consapevolmente o meno. E se un intero paese sceglie seguendo la pancia, le paure, quello che grida di più, poi diventa un problema di tutti.

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