09 novembre 2016

La cappella di famiglia (e altre storie di Vigata) di Andrea Camilleri


Condensato in questi otto racconti, si trova tutto il mondo surreale, tragico e tragicomico di Vigata. Storie ambientate tra la fine dell'ottocento, poco dopo l'unità d'Italia fino ai primi anni '50.
Un mondo fatto di meschinità, tradimento e odio, desiderio carnale, ambizioni. E protagonisti sono contadini, parrini, uomini d'onore, medici, baroni e contesse ..
Rispetto ad altri racconti di Camilleri in alcuni di questi emerge quel pizzico in più di malignità, come se l'autore avesse voluto prendersi beffe del lettore.
Mi riferisco a quei racconti dove i protagonisti sono raccontati con una luce di quasi santità, per poi rivelarsi di una pasta ben diversa.
Come Teresina, la donna chie riesce a far diventare uomo lo smorto Giacomino, biglio della "Baronissa Caterina Argirò". Per poi svelare in volto più da dark lady.
Come Fofò Sferra, l'uomo onesto, che ha sacrificato tutta la sua vita per la famiglia, non la sua in quanto scapolo, ma quella allargata alle cognate e alle nipoti.
Un uomo onesto, un santo, anzi "la rettitudine fatta persona" ... Chissà.

Ma in questi racconti si ride anche delle piccole vigliaccherie dell'animo umano: lo sapevate che a Vigata, nel 1912 ci fu un'epidemia di duelli (Il duello è contagioso)?
Da una piccola offesa tra il professor Michele Piazza e il colonnello Capatosta si trasforma in un duello all'ultimo sangue. Secondo quanto prescrive il codice Gelli.
Che si estende poi, per una parola di troppo, ai suoi "patrini", ai patrini dei patrini come un'epidemia appunto.
Che sarà estinta dall'arrivo dei "carabbinera": "fermi tutti, siete in arresto".

Si ride anche nel racconto che da il titolo al romanzo, La cappella di famiglia: tante storie si intrecciano attorno al cimitero di Vigata. L'odio per una questione di eredità tra i fratelli Gregorio e Liborio.
'Ntanto il sei di majo tutta Vigàta era stata mittuta a canoscenzia che il Tribunali civili di Montelusa aviva ditto la parola difinitiva, senza cchiù possibilità d'appello, nella causa che da trent'anni si strascinava tra i dù frati Cammarata, Liborio e Gregorio. Il loro patre, don Calorio, ricco sfunnato, pirsona grevia, superbiosa e cori di petra, era morto ottantino quanno oramà Liborio aviva quarantun anni e Gregorio uno di meno. Tra i dù frati c'era stata sempri 'n'antipatia profunna, 'nsormontabili, 'na cosa 'stintiva, senza 'na vera raggiuni, ma accussì forti che manco si salutavano e si parlavano quanno per caso si 'ncontravano. Ma puro il patre da anni non parlava coi sò dù figli e per la stissa midesima raggiuni per la quali Liborio e Gregorio non s'arrivolgivano la parola: gli erano stati 'ntipatici già dalla culla. Gli erano parsi dù vermi, e vermi li considerò e l'acchiamò fino a che ebbi vita. Tri jorni appresso al funerali del patre, Liborio e Gregorio si erano apprisintati, a deci minuti di distanzia l'uno dall'autro, dal notaro Cumella che l'aviva 'nformati d'essiri 'n posesso del testamento di Calorio. E ccà avivano attrovato al notaro Cumella chiuttosto 'mparpagliato e strammato. Li aviva fatti accomidare e li taliava, assittati davanti a lui a debita distanza l'uno dall'autro, e non s'addicidiva a raprire la busta sigillata con dintra il testamento. «C'è cosa?» s'era addeciso a spiare Liborio. «Beh, sì» aviva arrispunnuto il notaro. «Parlasse chiaro» aviva ditto Gregorio. Prima di rapriri vucca, il notaro si era schiaruto la gola e aviva sputato nella sputazzera. «Ho ricevuto tre telefonate da tre colleghi notari. Sisillo da Montelusa, Bonocore da Sicudiana e Tripepi da Montereale. Guardate la data su questa busta: 12 dicembre 1899. È il giorno nel quale vostro padre è venuto qua a fare il testamento. Senonché, nella stessa giornata, si è recato a Montelusa, a Sicudiana e a Montereale e ha fatto altri tre testamenti. Naturalmente tanto io quanto gli altri notai eravamo all'oscuro di tutto, ognuno di noi credeva di essere in possesso dell'unico testamento. Ora aspetto notizie dai miei colleghi che intanto si stanno consultando sul modo migliore di procedere. Tornate domani ». «Che grannissimo cornuto!» fici dintra di lui Liborio pinsanno a sò patre. «Che gran figlio di buttana!» fici dintra di lui Gregorio pinsanno a sò patre.
C'è il fimminaro Bebè che cerca di fare una corte a modo suo alla bella vedova Agrò, pregando sulla tomba dei genitori, di cui non gliene mai importato una beneamata minchia.
Ci sono due coppie di amanti che rischiano di scoppiare.
E il tutto si chiude nel giorno della festa dei morti, che poi era il giorno in cui i bambini ricevevano i doni dai loro parenti defunti. Mai i morti "si erano addivertuti tanto come in quel dù di novembrino".

Il racconto "Il palato assoluto" invece tratta di una malattia: esiste l'orecchio assoluto, nei grandi direttori d'orchestra, che riescono a distinguere i diversi suoni degli strumenti, per il povero Catarino esiste anche il palato assoluto. Ovvero la capacità di saper conoscere ritutti gli ingredienti in un piatto, distinguendo la loro genuinità, la loro freschezza.
Un pregio che però, alla lunga, diventa un peso per Catarino:
"Il primo jorno che Caterino arrivò con la merendina che gli aviva dato sò matre, la maestra Ersilia gli disse che nella loro scola era proibbito portarisi la merendina da casa e che avrebbiro dovuto mangiare quello che priparava sò soro, la maestra Giustina. E che sinni stassero tutti tranquilli, pirchì quello che avrebbiro mangiato, e naturalmenti pagato a parti, non era robba accattata nelle putìe, come per esempio la mortadella che non si sapiva se era fatta con carne di sorci, ma era tutta prodotta dagli armali di propietà di un loro cugino. Quel primo jorno, alle unnici, la maestra Giustina portò ai picciliddri un panino e un ovo sodo a testa. Appena Caterino ebbi dato un muzzicone all’ovo, lo risputò. “Che c’è?” “Non mi piaci”. “Pirchì?” “Non è frisco”. “Ma se l’hanno portati stamatina!” “’St’ovo havi tri jorni”. "
Anche ne "L'oro a Vigata" si parla di un dono: quel del piccolo Tanino che, girando per strada si imbatte in monete, orecchini, piccoli gioielli caduti a terra.
Una fortuna, per lui e la famiglia.
Ma su questo dono ricadono anche le brame di un avvocato, che intende usare questa sua fortuna per arricchirsi.
Ma quando la voce di questo dono arriva al federale della provincia (si era in epoca del fascismo), il dono diventa un peso per il povero Tanino, rabdomante per conto del governo di Mussolini per trovare nientemeno che il petrolio nella Pianura padana ..
Una storia in cui emerge il tratto tragico del regime fascista, qui raccontato in chiave grottesca: lo sbatter dei tacchi, le camice nere, il compiacimento del superiore nell'organigramma del partito (fascista), l'autarchismo masochista di un paese bisognoso di materie prime. 

Infine, quelli che reputo i due racconti migliori.
Il morto viaggiatore, perché il più divenrtente e grottesco.
La storia di un morto che, tomo tomo, cacchio cacchio, se ne va in giro.
Trasportato di quà e di là da gente, ignara luna dell'altro, che se lo ritrova di mezzo.
Fino ai due giornalisti che lo scoprono, sulla strada dell'obitorio, e ne scrivono sul giornale 
"Un morto si reca all'obitorio, ma cade strada facendo".

Lo stivale di Garibaldi invece racconta di una storia vera, anche se sembra inventata, per l'assurdità della storia.
Che è quella del prefetto Enrico Falconcini che, da Livorno, viene mandato a Montelusa (Agrigento) e qui rimane, dopo aver provocato (per colpa sua e per le sfortune che gli capitano) un disastro dopo l'altro per pochi mesi. Eppure avrebbe dovuto capirlo: partito in nave col mare in tempesta, sbarcato a Palermo e accolto da una scossa di terremoto.
C'erano tutti i segnali per capire che sarebbe stata difficile.
Ma Falconini, come tanti altri uomini del regno sabaudo mandati dal nord in Sicilia, non capiva quel mondo. Non solo non ne conosceva il dialetto, non ne conosceva i problemi, non comprendeva la tortuosità della politica, i suoi bizantinismi. L'alleanza coi briganti da parte di deputati di un regno che quei briganti li stava combattendo.
Una classe dirigente italiana impreparata ad affrontare i problemi di ordine pubblico, le questioni sociali, il governo della cosa pubblica e che sapeva solo applicare in modo ottuso, stupido, gli ordini ricevuti. Che non aveva capito la doppiezza della nobiltà locale da una parte, delle arsure rivoluzionarie portate da Garibaldi stroncate dall'esercito sabaudo stesso.
Il racconto si basa sul libro "Cinque mesi di prefettura in Sicilia" scritto da Falconcini ed edito da Sellerio:
Bisogna dire che nei cinque mesi che Falconcini fu prefetto di Girgenti capitò tutto quello che poteva capitare. Da tempo la situazione in Sicilia era assai tesa. Garibaldi insisteva col suo “O Roma o morte”, il re protestava contro l’intenzione del Generalissimo, il partito garibaldino cominciava a formare campi militari, si armava, reclutava seguaci entusiasti e violenti un po’ dovunque. Poi c’erano i renitenti alla leva che si erano dati alla latitanza. Poi c’erano i briganti sempre più numerosi che mandavano ai ricchi tante di quelle terrorizzanti lettere di “scrocco” da intasare la distribuzione della posta. L’8 Agosto, al Molo di Girgenti erano sbarcati duemila uomini di truppa, il 10 nel capoluogo s’accampava un battaglione di bersaglieri. Il pomeriggio stesso dell’arrivo del nuovo prefetto giunge un generale con truppa e artiglieria di campagna. In serata, la città viene completamente circondata dalle truppe regolari. Ma numerosi soldati disertano per unirsi ai volontari garibaldini. Insomma, possiamo essere certi che in quella sua prima nottata girgentana Falconcini non pigliò sonno. Le cose stavano a questo punto quando il 21 dello stesso mese Cuggia, prefetto di Palermo con autorità sugli altri prefetti dell’isola, proclamò lo stato d’assedio. Scoppiano rivolte, sparatorie, incendi di case. L’unica buona notizia Falconcini la riceve diciotto giorni appresso il suo insediamento: Garibaldi, ferito, è stato disfatto in Aspromonte. Ma la notizia non significa tranquillità, il partito garibaldino organizza una strepitosa manifestazione contro il governo, Racalmuto insorge, sbarcano altri cinquecento bersaglieri di rinforzo. Ma capita anche un fatto inaudito, unico nella storia d’Italia: ben quarantatre impiegati statali firmano le loro dimissioni come segno di solidarietà a Garibaldi. Di fronte a un fatto simile (paragonabile forse all’apparizione di un’Idra a sette teste nella centralissima via Atenea) e cioè con la Burocrazia girgentana che si schierava a favore di un rivoluzionario, Falconcini come minimo avrebbe dovuto domandare asilo politico in Svizzera. S’arrabattava, povirazzo, spedendo a dritta e a mancina circolari, proclami, ordini che o cadono nell’indifferenza generale o ricevono risposte di formale adesione. In più, è un uomo molto riservato, non ha amicizie locali, non si fa vedere nei due circoli importanti della città, a molti sta antipatico. 
[Dalla prefazione di Camilleri]

Cosa c'entra lo stivale di Garibaldi? 
E gli capita tra capo e collo, il 26 ottobre, lo stivale di Garibaldi. Stivale insanguinato portato a Girgenti dall’avvocato Ricci-Gramitto, luogotenente del Generale ad Aspromonte, e venerato come una reliquia. Il partito garibaldino girgentano reclama l’autorizzazione di una grande manifestazione in onore del reduce Ricci-Gramitto e dello stivale. Dopo averci a lungo ragionato, il prefetto concede l’autorizzazione, “onde evitare ulteriore turbativa”, ma si attira l’inimicizia della borghesia conservatrice e della nobiltà. Di questa autorizzazione però noi italiani dobbiamo essere grati a Falconcini. Fu infatti in occasione di quella manifestazione che Caterina Ricci-Gramitto, sorella di Rocco, conobbe un garibaldino compagno d’armi del fratello, tale Stefano Pirandello. I due si piacquero e si sposarono: dalla loro unione nacque Luigi Pirandello.
[Dalla prefazione di Camilleri]

I racconti in questo romanzo:

  • Il duello è contagioso
  • La cappella di famiglia
  • Teresina
  • Il palato assoluto
  • La rettitidine fatta persona
  • Il morto viaggiatore
  • Lo stivale di Garibaldi
  • L'oro a Vigata

La scheda del libro sul sito dell'editore Sellerio e sul sito di Vigata
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