31 luglio 2016

100 giorni alle elezioni americane

100 giorni ci separano dalle prossime elezioni americane.
Elezioni che potrebbero portare alla Casa Bianca il candidato Repubblicano Donald Trump.
Sabato mattina leggevo la notizia dei malumori, dentro la Casa Bianca, nel condividere dossier non classificati della Cia con Trump: era consuetudine dai tempi di Truman che i servizi segreti mandassero parte dei rapporti ai due candidati usciti dalle nomination.
Giovedì, durante un briefing con la stampa, il press secretary Josh Earnest ha detto che l’amministrazione si fida di Hillary Clinton e confida che l’ex segretario di Stato capisca l’importanza di mantenere il segreto sulle informazioni classificate. Interrogato su Trump, Earnest ha glissato dicendo che si tratta di una decisione che deve prendere il direttore della Cia. “Non posso esprimermi io”, ha detto. Ma secondo i giornalisti presenti, Earnest ha lasciato intendere che l’Intelligence potrebbe operare una selezione tra i candidati nel condividere informazioni classificate.

Questo per dire del clima che si sta vivendo in America.
Dove il candidato Repubblicano ha invitato i servizi di un paese “non amico” come la Russia, di indagare sulla rivale Clinton.
Dove si mormora, vero o falso che sia, che per la campagna elettorale sia stata finanziata da soldi russi, per l'interesse di Putin di far crescere nel resto del mondo i partiti nazionalisti.
Nazionalisti e populisti come Trump: il politico del muro lungo il Messico, quello che andrà a dialogare con Putin ma non andrà a far nulla contro la Turchia di Erdogan.

La Turchia di Erdogan è una delle sconfitte della politica estera dell'amministrazione Obama: come hanno potuto non accorgersi di quello che stava diventando la Turchia di Erdogan, che da alleato strategico in pieno medio oriente, si è trasformata da serpe in seno.
Il contro golpe di Erdogan, che magari ci ha salvato da un nuovo Al Sisi, sta facendo un repulisti nel paese che dovrebbe preoccuparci tanto quanto la visione “trumpiana” dell'America, bianca, estremista, intollerante.
Altrettanto intollerante è la massa che sta occupando le piazze turche per difendere Erdogan, le cui immagini riempiono le facciate dei palazzi (come l'immagine del grande fratello di Orwell, volendo fare un sinistro paragone)
Erdogan che, in una torsione a 180 gradi ha aperto il dialogo con Putin e ora anche con Assad.
E ricordiamoci Assad, il dittatore Assad, è all'origine della guerra in Siria, coi suoi 470mila morti.

Che scenari internazionali si preparano nel mondo, nel prossimo semestre?
Nel 2017 si voterà anche in Germania e poi in Francia, dove i partiti di destra (populisti e nazionalisti) scalpitano da tempo, puntando su immigrati, sicurezza, il prima noi poi gli altri ..

Certo, noi italiani possiamo consolarci con le storie del nostro giardino: il salvataggio di MPS col bollino blu di BCE e Commissione Europea (e nessuno che si chiede come abbia fatto a scendere così in basso la banca più vecchia d'Europa), le crescite da decimali dei posti di lavoro, per lo più di precari stagionali. La conclusione dei lavori sulla Salerno - RC, i cui lavori di ammodernamento  però si fermeranno un pelino prima di Reggio. 
Anche noi abbiamo il nostro Trump, qui in Italia, che si limita però a portare sul palco delle bambole gonfiabili per far ridere il suo pubblico.

Ma nei prossimi mesi, in Turchia, in Siria, in America e anche qui in Europa, ci sarà poco da ridere.


29 luglio 2016

La pista di destra (da I segreti di Bologna)

Le sentenze della magistratura sulla bomba di Bologna parlano chiaro: a compiere l'attentato alla stazione di Bologna sono stati gli esponenti dei NAR Valerio Fioravanti, Francesca Mambro assieme all'allora minorenne Luigi Ciavardini.
La pista “nera” fu imboccata subito dai magistrati e dalle forze dell'ordine, anche il presidente del Consiglio di allora Cossiga, di fronte al Parlamento, parlò di strage nera.
Le bombe che uccidono in modo indiscriminato, per creare tensione e spostare l'asse politico a destra, le mettono i fascisti.
Tutto questo sebbene nel 1980 il progetto di unità nazionale era fallito e non eravamo più ai tempi dell'autunno caldo del 1969.
E le minacce all'Italia da parte del gruppo militare di Habash FPLP (con l'annuncio di azioni terroristiche come ritorsione al lodo Moro)? Gli allarmi lanciati dal direttore del Sismi Santovito a Zamberletti, prima di firmare l'accordo con Malta (che tagliava fuori la Libia di Gheddafi)? E le pressioni, sempre dei servizi, nei confronti dei giudici di Chieti e L'Aquila, per avere clemenza nei confronti degli imputati al processo sui missili di Ortona?
La verifica di una pista di destra per la strage di Bologna è un fatto scontato sotto il profilo investigativo. A suscitare perplessità, invece, è l'immediata esclusione di tutte le restanti ipotesi. Il telegramma della Questura di Bologna lo dimostra in modo inequivocabile. Nell'assenza dichiarata d'indizi, o di rivendicazioni attendibili, si è rinunciato a priori all'indagine a tutto campo. La scelta è incomprensibile, considerato che da diversi mesi Sismi, Sisde e Ucigos hanno certificato il pericolo di un attentato dell'Fplp.Com'è possibile che, proprio quando i fatti sembrano convalidare i timori palesati nelle informative, la pista palestinese scompaia improvvisamente nel nulla?Gli apparati di sicurezza sembrano in preda ad un'amnesia collettiva molto poco convincente. Nessuno ricorda gli allarmi arrivati da Beirut e dalla stessa Bologna.Viene rimossa anche la notizia dell'incontro tra Habash [il rappresentante del gruppo FPLP] e Carlos [lo sciacallo, il terrorista in contatto col FPLP] per concordare un'azione ritorsiva. Cadono nel dimenticatoio le richieste di clemenza inoltrate dagli uomini del Sismi ai magistrati di Chieti e L'Aquila, per scongiurare il rischio di una vendetta del Fronte popolare. Nessuna traccia di questo si troverà nei rapporti giudiziari destinati ai magistrati di Bologna. Anche la sottoscrizione del trattato italo maltese, avvenuta proprio negli istanti in cui la stazione ferroviaria è saltata in aria, sarà tenuta nascosta a lungo.Al ritorno in Italia, Zamberletti, scosso dalla coincidenza temporale e dalla reazione angosciata di Mintoff alla notizia dell'esplosione, chiederà lumi al direttore del Sismi. Il generale Santovito, l'uomo che nelle settimane precedenti lo aveva scongiurato di non grattare la schiena alla tigre, ora sembra tirarsi indietro. Esclude qualsiasi nesso tra il trattato di protezione militare e l'attentato di Bologna, che è stato commesso sicuramente dai neofascisti”.



Va chiarita una cosa: nemmeno gli autori del libro, l'avvocato Cutonilli e il giudice Priore, arrivano alla prova provata di una responsabilità da parte del gruppo di Carlos né di altri membri del gruppo FPLP.
Qui si vogliono solo rivelare delle incongruenze nel come è stata raccontata la storia, nelle indagini e nella spiegazione, dell'atto terroristico, che è stata data al paese.

Gli altri post sul libro:
La strage di Bologna – la pista palestinese
Le due anime della politica italiana (e i venti di guerra della primavera 80)


La scheda del libro “I segreti di Bologna” sul sito di Chiarelettere

Voi dell'ufficio istruzione - Rocco Chinnici l'inventore del pool

«Ma cosa credete di fare all'ufficio istruzione? La devi smettere Chinnici di fare indagini nelle banche, così rovini tutta l'economia siciliana .. ». 
Ad usare queste parole contro l'allora capo dell'ufficio istruzione Rocco Chinnici era il procuratore generale di Palermo nel 1982, Giovanni Pizzillo, che così esprimeva il suo modo di vedere la giustizia e il contrasto alle mafie.
Cari giudici, tenetevi lontano dalle banche che riciclano le immense fortune dei boss.
Anzi, cari giudici, tenetevi proprio lontano dai "processoni" sui mafiosi, sui potenti, sui politici..

Nel suo diario il 18 maggio, Rocco Chinnici annotava:
"Ore 12 vado da Pizzillo … Mi dice chiaramente che devo caricare di processi semplici Falcone, in maniera che cerchi di scoprire nulla perché i giudici istruttori non hanno mai scoperto nulla"

Questi sono i magistrati che piacciono ad una certa giustizia, quella che piange lacrime di coccodrillo ad ogni commemorazione importante, quella che i giudici è meglio che non scoprano niente.
Le vie del denaro mafioso.
I collegamenti con gli istituti finanziari.
I rapporti do ut des con la politica per quella "convergenza di interessi" poi illustrata nella sentenza di rinvio a giudizio del maxi processo. 
Rocco Chinnini, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino erano il nucleo del pool antimafia poi guidato da Caponnetto quando un'autobomba piazzata davanti casa uccise Rocco Chinnici, il portiere del suo stabile oltre al maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l'appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta.

Perché nonostante gli avvertimenti dell'eccellenza pizzillo, il pool di Chinnici aveva continuato ad indagare sui livelli superiori della mafia, nella zona grigia dei professionisti che si mettevano a servizio dei boss.
Aveva portato avanti le indagini sui delitti politici, da Pio La Torre a Mattarella, dal giornalista Mauro Francese all’omicidio Dalla Chiesa con la convinzione che dietro ci fosse una comune regia
Il famoso terzo livello:
Certe cose a Palermo non bisogna dirle. Anzi è consigliabile, per essere «apprezzati», negarle smentirle. Invece Chinnici andava a ruota libera, pensava ad alta voce. E pensava anche – dimostrando in questo un'incoscienza senza pari – che il terzo livello esiste, e che senza il terzo livello la mafia che spara, che fa le stragi, che taglieggia popolazioni intere, non avrebbe motivo d'esistere. Spiegò pochi giorni prima della sua morte: «c'è la mafia che spara; la mafia che traffica in droga e ricicla soldi sporchi; e c'è l'alta finanza legata al potere politico (..) Stiamo lavorando per arrivare ai centri di potere più elevati». Se l'avessero lasciato fare avrebbe certamente raggiunto l'obiettivo.Tratto da Venticinque anni di mafia - Saverio Lodato: capitolo “Beirut? Belfast? No, Palermo”. Pagine 133-134 

Il 29 luglio 1983, alcuni giornali titolavano "Palermo come Beirut": non eravamo in medio Oriente ma in una città europea di una nazione dentro il G7, anni in la mafia ammazzava magistrati, prefetti, uomini delle forze dell'ordine, eppure non era emergenza nazionale.
Chinnici comprese, ben prima di altri uomini dello Stato, dell'importanza di apristi alla società civile, ai giovani soprattutto, per far comprendere loro l'importanza della lotta alla mafia, che significava fare una lotta per la libertà.
"[...] sono i giovani che dovranno prendere domani in pugno le sorti della società, ed è quindi giusto che abbiano le idee chiare. Quando io parlo ai giovani della necessità di lottare la droga, praticamente indico uno dei mezzi più potenti per combattere la mafia. In questo tempo storico infatti il mercato della droga costituisce senza dubbio lo strumento di potere e guadagno più importante. Nella sola Palermo c'è un fatturato di droga di almeno quattrocento milioni al giorno, a Roma e Milano addirittura di tre o quattro miliardi. Siamo in presenza di una immane ricchezza criminale che è rivolta soprattutto contro i giovani, contro la vita, la coscienza, la salute dei giovani.Il rifiuto della droga costituisce l'arma più potente dei giovani contro la mafia".
La magistratura che dialoga con le persone (nel rispetto del segreto delle indagini, certo), che non ha timori di entrare nelle stanze del potere e dell'economia.
Quanto siamo distanti da quanti ancora oggi sostengono che la lotta alla mafia sia solo una questione di repressione, che i magistrati con la loro azione danneggiano l'economia.

28 luglio 2016

Come grattare la schiena alla tigre (da I segreti di Bologna)

Primavera estate del 1980, venti di guerra sull'Europa: la nuova politica del governo Cossiga in direzione contraria a quella filo araba dei governi di solidarietà nazionale e col disconoscimento del lodo Moro.
I tentativi di insurrezione contro il regime di Gheddafi (in cui sono coinvolti anche degli italiani e pezzi dei nostri servizi). La questione di missili americani Cruise in risposta agli SS 20 puntati contro le capitali europee.
E la vicenda dei missili di Tortona, l'intrigo internazionale al centro del libro “I misteri di Bologna” di Priore e Cutonilli: i missili terra aria sequestrati ad un gruppo di italiani, di autonomia, condannati dalla procura di Chieti per traffico d'armi assieme allo studente giordano Abu Saleh. Rappresentate italiano del gruppo militare FPLP.

Il generale Santovito, direttore del Sismi nel 1980

Infine, l'accordo italo maltese per la protezione dell'isola (e del banco petrolifero di Medina) che prevedeva l'allontanamento dei libici. Un'altra questione che oltre ad irritare l'ex alleato Gheddafi (nonché partner commerciale), preoccupava i vertici dei servizi di sicurezza, come il generale del Sismi Santovito, che erano a conoscenza del loro Moro (l'accordo coi palestinesi che consentiva loro il passaggio di terroristi ed armi sul nostro territorio purché fosse risparmiato da attentati):
Santovito cerca di convincere Zamberletti a compiere un passo indietro.Il direttore del Sismi lo avvisa che espellere i libici da Malta è come grattare la schiena alla tigre. Metafora quanto mai efficace per rappresentare l'imminenza di un grave pericolo.Il regime di Tripoli, infatti, ha già reagito in modo negativo alla decisione, non ancora ufficiale ma nota, di collocare i missili nucleari a ridosso delle coste libiche. L'accordo con Mintoff renderebbe colma la misura. Al direttore del Sismi non sfugge l'imbarazzo del governo per gli omicidi dei dissidenti libici avvenuti in Italia nei mesi precedenti. E' turbato anche dalla partecipazione di cittadini italiani al golpe che il governatore della Cirenaica Sheybi sta organizzando con l'aiuto occidentale. Ha motivo di ritenere che, in un contesto simile, la sottoscrizione del trattato maltese porterebbe allo scontro aperto con la Libia. I danni, non solo economici, che possono derivarne non troverebbero compensazione nei vantaggi generati dal controllo italiano su Malta. Santovito tiene a ricordare al rappresentante del governo che la Libia è in stretti rapporti con le principali centrali terroristiche. A Zamberletti non serve uno sforzo d'immaginazione per cogliere l'allusione all'Fplp...

Tutto questo è stato causa della bomba alla stazione di Bologna?
I responsabili (politici, militari) dell'epoca o sono morti (da Gheddafi a Cossiga e Santovito) o hanno scelto il silenzio.
La bomba di Bologna ha un responsabile,per la giustizia, sono i terroristi dei NAR Mambro e Fioravanti.
Difficile però, non pensare al contesto internazionale, alle tensioni sul Mediterraneo, a quell'aereo dell'Itavia abbattuto tra Ponza e Ustica probabilmente in uno scontro con caccia militari.
Sappiamo veramente tutto sulla strage di Bologna?

La scheda del libro “I segreti di Bologna” sul sito di Chiarelettere


Sulla guerra di religione (ma questa non è religione)

A parlare in modo chiaro è stato il papa, con la sua visione (non certo di tutta la chiesa né di tutti i cristiani ) su terrorismo islamico e accoglienza.
Parole chiare, nette, di fronte al presidente polacco, uno dei paesi che dei presunti valori europei accetta solo quelli in euro.
“Abbiamo bisogno di dire questa verità: il mondo è in guerra perché ha perso la pace, parlo di guerra sul serio, non di guerra di religione.C'è guerra per interessi, soldi, risorse della natura, per il dominio sui popoli. Qualcuno parla di guerra di religione, ma tutte le religioni vogliono la pace. La guerra la vogliono gli altri, capito?”. 
Chi vuole questa querra nei territori del Califfato? Chi vuole questo stato di tensione crescente, di paura, nell'attesa del prossimo attentato da parte del terrorista fai da te, quello radicalizzato all'ultimo momento, che nemmeno conosce veramente la religione ma che nell'islamismoha trovato le risposte alla sua rabbia e alla sua frustrazione?
Il terrorismo uccide occidentali cristiani o meno, come anche musulmani in Iraq e Afghanistan, come quello contro la comunità degli Hazara, sciiti, durante un corteo in cui chiedevano al governo la corrente per le loro case.

Si fa la guerra per invadere un territorio, per creare tensione sociale, per dividere anziché unire.
Chi, di fronte agli attacchi di queste settimane dà risposte facili, le solite, non aiuta a risolvere il problema.
Non saremo mai al sicuro di fronte ad attacchi isolati, di gruppi che sfuggono ai servizi o di attentatori pure schedati (e coi braccialetti, quelli sperimentati anche da noi): non possiamo mettere un poliziotto o un militare dietro ogni italiano, dietro ogni francese, dietro ogni tedesco.

Quello che si deve fare è aiutare i musulmani ad aiutarci: le comunità stesse devono denunciare i reclutatori, i giovani ragazzi che arrivano ad ammirare i tagliagole del Daesh: il puntare il dito, il guardare con sospetto le persone di un altro colore, il muro contro muro sulle moschee, sull'accoglienza, non fa che portare acqua a chi fa campagna d'odio.  

In tal proposito, interessante il punto di vista di Gérard Biard , caporedattore di Charlie Hebdo, intervistato da Luana de Micco:
Rispetto a un anno e mezzo fa, gli attentati si fanno sempre più frequenti. Che cosa sta succedendo in Fra n c i a?Si sta concretizzando ciò di cui parlavamo a Charlie sin dal 2006, cioè dalla vicenda delle caricature di Maometto. Siamo entrati in un ciclo, un attentato segue l’altro. I francesi ne hanno preso coscienza, non dopo Charlie, ma dopo il 13 novembre, quando ci si è resi conto che il terrorismo riguarda tutti. Ci stiamo abituando a convivere con gli attentati quotidiani. Pensare di poterli prevedere tutti è impossibile, soprattutto se non ci si trova di fronte a filiere ma a terroristi fai-da-te.
La destra accusa il governo di non fare abbastanza per garantire la sicurezza dei f ra n ce s i ...La paura implica una richiesta forte di sicurezza ma non si può mettere un poliziotto dietro a ogni francese. Il governo ha il dovere di proteggere la popolazione. La questione è: fino a che punto si può spingere? Dopo Nizza la destra ha persino detto che se i soldati fossero stati armati di lanciarazzi si sarebbe evitata la strage. Ma si tratta solo di discorsi elettorali. Il caso di Trump negli Stati Uniti mostra che le idiozie sono i discorsi che funzionano meglio quando in ballo ci sono sfide politiche. 
Come Adel Kermiche, che ha ucciso il prete di Sain-te -Ét ien ne- du- Rou vray, molti jihadisti si sono radicalizzati dopo Charlie.I giovani che oggi guardano i video di Daesh assomigliano ai giovani tedeschi che negli anni 70 attaccavano alle pareti i poster di Andreas Baader (a capo dei terroristi della Baader-Meinhof) e ai giovani italiani affascinati dalle Brigate rosse. Solo che all’epoca a quei ragazzi venivano date delle alternative. Oggi nessuno osa dire loro che non bisogna solo leggere il Corano o, che so, un altro libro sacro. Ci si paralizza quando si tratta di religione.
Che fare?Il successo di Daesh è di essere riuscito a trasformare qualcosa di intimo come la religione in un’ideologia politica. In passato la Francia ha già portato avanti una lotta politica contro il cattolicesimo, prima con la Rivoluzione del 1789 poi la legge del 1905 sulla separazione della Chiesa e dello Stato. Non è stata una guerra contro i cattolici, ma contro il cattolicesimo come forza politica. La Francia dovrebbe portare avanti lo stesso tipo di battaglia contro l’islamismo, in quanto ideologia, ma ha paura. Ma non si può fare una guerra senza dare un nome al proprio nemico.
Quale è il ruolo della satira?La satira deve cercare di fare luce su certe discorsi e situazioni. Si criticano spesso le caricature perché sono provocatorie. Ma un disegno è come un pugno nello stomaco. Se non scatena una reazione forte, se non veicola un’idea, non è un buon disegno. Disegnare una colomba della pace che piange, dopo gli attentati di Nizza, come ha fatto Plantu per Le Monde, per me è penoso. Che cosa dice degli attentati? Nulla.

27 luglio 2016

Un caimano più caimano del caimano

Fa specie vedere il caimano alle prese con un caimano più caimano di lui, per come Vivendì si è comportata sulla vicenda Mediaset Premium.
Son finiti i bei tempi del Caimano che governava e si curava (non in questo ordine) dei suoi interessi: ora c'è un  Berlusconi, convalescente dall'operazione delicatissima al cuore, alle prese con un partito spaccato, costretto a fare opposizione di facciata per placare certi colonnelli ma con la voglia di tornare a sedersi al tavolo del nazareno (come gli chiede Confalonieri) per salvare le aziende di famiglia.
Prima che Bollorè, l'ex amico, se le pappi tutte.

Che fare ora?
Alzare il prezzo con Renzi con un'opposizione estiva alle riforme?

Fabrizio D'Esposito sul Fatto Quotidiano di oggi:
Fedele ci riprova, dopo il No l’obiettivo è rifare il Nazareno 
Nel quadro di questo sorprendente crepuscolo –Bolloré, il Milan, Forza Italia affidata a Stefano Parisi, guarda caso manager della comunicazioneed ex ad di Fastweb –s’inseriscono i ripetuti appelli di Fedele Confalonieri, presidente diMediaset e coetaneo del Condannato, per riapprodare sulla sponda nazarena delle lar-ghe intese con il Pd di Matteo Renzi. A questo punto dell’estate,la tattica berlusconiana è chiara:fingere di dire No al referendum e poi sedersi di nuovo al tavolo in autunno. La nomina di Parisi va in questa direzione, accompagnata dalla speranza di fare piazza pu-lita dentro Fi. Forse anche stavol-ta sta confidando un po’ troppo nella sua forza. Gli anni passano e niente è più come prima. Dopo quello che è successo ieri, quando B. e Renzi si ritroveranno a par-lare potrebbe essere tardi per entrambi.

26 luglio 2016

Le due anime della politica italiana (e i venti di guerra della primavera '80)

Nella seconda parte del saggio “I segreti di Bologna”, Rosario Priore e Valerio Cutonilli si concentrano sui mesi che precedono la strage di Bologna (2 agosto '80) inquadrandoli nel contesto politico internazionale.
Sono i mesi dove si decide l'installazione degli euromissili in Europa (e in particolare in Italia) in risposta agli SS 20 dei russi, puntati sui paesi della Nato.
Sono i mesi del golpe contro Gheddafi (in cui erano coinvolti anche italiani) e la repressione del rais in Europa (e in Italia, con l'aiuto del Sismi, scrivono Priore e Cutonilli nel libro “I segreti di Bologna”).
Gheddafi che si deve guardare dagli oppositori interni ma anche dalla Francia e dall'America di Cater, che in vista delle rielezioni, decide di puntare tutto sulla politica estera e sulle azioni di forza.
Azioni di forza come quelle dei russi, con l'invasione dell'Afghanistan e degli studenti di Komeini, che hanno assaltato l'ambasciata americana a Teheran.
Sono i mesi in cui si passa dal governo di solidarietà nazionale di Andreotti e la sua politica filoaraba (col rispetto del loro Moro) al governo di Cossiga, che quel lodo lo ha messo in discussione.
E che non ha fatto nulla per “proteggere” il militante del gruppo FPLP Abu Saleh dalla condanna dei magistrati di Chieti (è la vicenda dei missili di Tortona):
Per capire cosa è accaduto nelle stanze del potere, occorre fare un passo indietro. Nel febbraio del 1980 il governo sembra arrancare. Cossiga è sostenuto da una maggioranza esigua ed eterogenea che si divide sulle questioni interne e fatica a difendere le scelte di politica internazionale. Non c'è solo l'opposizione, infatti, a contestare l'approvazione degli euromissili o il deterioramento nei rapporti con la Libia.Anche una parte della Dc teme che il nuovo corso stia nuocendo agli interessi italiani nel Mediterraneo. Nei palazzi del potere serpeggia il timore di un arruolamento dell'Italia nella crociata contro Gheddafi che francesi e americani stanno per intraprendere. Attorno alla questione libica è riesploso il tradizionale conflitto tra le due anime della politica italiana. La prima tesa a ribadire l'ineludibilità del vincolo atlantico e di tutti gli impegni che potrebbero derivarne.La seconda volta a tutelare i rapporti economici con il regime di Tripoli. Rapporti ritenuti imprescindibili per via della dipendenza energetica, compensata peraltro dall'ampio volume di esportazioni e di commesse in nostro favore. Lo scontro sulle questioni internazionali sembra riflettersi, in modo simmetrico, sugli affari interni. Sia la sinistra democristiana che la corrente guidata da Andreotti contestano la linea di cossiga, tesa a costituire un asse con il Psi «anticomunista» di Craxi”.

Mettiamo da parte la teoria dell'ex giudice Rosario Priore e del giornalista Valerio Cutonilli, sulla pista palestinese per la bomba di Bologna.
Concentriamoci sull'attentato, sull'abbattimento dell'aereo dell'Itavia sui cieli del Tirreno (Ustica), sulle tensioni internazionali, sulla nostra ambiguità nella politica internazionale.
La moglie americana e l'amante libica.

Ma nel 1980 siamo veramente arrivati ad un passo dal far scoppiare una guerra?

Il mondo impazzito

Ieri era il pacco bomba a Milano per fortuna finto. L'altro giorno era il profughi siriano che si è fatto esplodere ad Ansbach, con tanto di video inneggiante all'Isis, per far arrivare meglio il messaggio.
Oggi la trottola impazzita del terrore e della paura ritorna in Francia, a Ruen, col parroco sgozzato.
Sono gli episodi che ci colpiscono di più, perché vicino a noi e le vittime sono persone che percepiamo come noi.
Non come le vittime degli attentati a Baghdad e Kabul, islamici sciiti dunque invisi all'Isis come i cristiani.
Perché muoiono anche i musulmani, ma forse a noi non interessa questo.
Perché ora, dopo questo ennesimo delitto a sfonso religioso cominceremo a guardare gli altri (quelli con la pelle di un colore diverso, quelli col velo, con la barba) con sospetto.
Non ci sentiremo sicuri da nessuna parte, altro che militari nelle strade.
Questo è quello che vuole l'Isis, instaurare terrore e creare odio e diffidenza, terreno fertile per reclutare poi le persone con dentro tanta rabbia o con problemi mentali.
Il fatto che siano schegge impazzite ci rassicura?
Non credo, come non ci può rassicurare il fatto che i futuri pretendendi al potere, in America come nella vecchia Europa, siano persone altrettanto instabili capaci solo di portare avanti idee sbagliate che acuiranno altre tensioni nei loro paesi.

Ci diranno ancora che siamo in guerra, che questi sono gli effetti dell'immigrazione incontrollata.
E' il sistema che è fuori controllo: il sistema che consente ad un dittatore di rimanere al comando perché tiene lontano da noi i profughi siriani.
Profughi di una guerra che non si riesce a fermare perché bisogna prima mettersi d'accordo con Putin.
E mentre ce la prendiamo con i disgraziati che sbarcano sulle nostre coste, ancora attendiamo una risposta europea sul tema dell'accoglienza.
Si delega tutto a prefetti e al buon cuore dei comuni.
Si scarica sulla povera gente, mettendo contro italiani contro immigrati.
I clandestini, dicono, che si prendono i nostri servizi e i soldi dallo Stato.
E che magari nascondono al loro interno i futuri attentatori.

Anche se non sappiamo come si mettono in contatto questi nuovi terroristi (fai da te, mi verrebbe da dire).
Anche se non sappiamo come vengono reclutati e da chi.

Ma questo è un ragionamento troppo sottile per certi politici.

Quelli che parlano alla pancia della gente

C'era un politico, più noto nei salotti televisivi che all'europarlamento, che voleva difendere i valori del cristianesimo portando avanti una battaglia in difesa del presepe.
Lo stesso politico che, ad ogni caso di violenza contro le donne da parte di un immigrato, invoca misure drastiche contro 'sti immigrati, dalla castrazione chimica a quella fisica.
Lo stesso politico che, di fronte alla questione dei profughi che scappano dalle guerre o dalla fame, invoca il tutti a casa (loro).
Le ruspe contro i rom (specie a Milano dove la Lega aveva amministrato sgomberando i campi da un posto all'altro).
Le navi da guerra per pattugliare i nostri mari.

Avessero almeno una certa efficacia, certe idee, che una volta si sentivano solo nei bar e che oggi abbiamo portato pari pari nel dibattito politico, abbassando pericolosamente l'asticella che separa quello che si può dire dall'insulto.
E' il partito per cui si può dare dell'Orango ad un avversario politico.
Della bambola gonfiabile al Presidente della Camera.
Quelli che fino a ieri erano i "Roma ladrona" e contro i napoletani ...

Non capiscono questi signori, nella loro piccolezza, che questo non è parlar chiaro ma semplicemente parlare alla pancia della gente. Nel breve termine qualche voto lo prendi, cavalcando anche le paure e le preoccupazioni della gente.
Il dirsi contro il politically correct (come Trump il difensore dei valori americani)..
Ma alla lunga lo trovi sempre qualcuno più scorretto di te che ti da del pirla. 
La fortuna di questi personaggi sta nel protrarsi della crisi da una parte e in un sistema (quello europeo, delle regole e dei trattati) che si arrocca sempre più su se stesso.

25 luglio 2016

La strage di Bologna – la pista palestinese (dal libro Il segreto di Bologna di Priore e Cutonilli)


Nel saggio “I segreti di Bologna”, l'ex giudice Rosario Priore e il giornalista Valerio Cutonilli indicano una nuova pista sui responsabili della bomba alla stazione di Bologna, il 2 agosto 1980.
La strage sarebbe stato un attentato organizzato dalla FPLP (Fronte popolare per la liberazione della Palestina) ed eseguito materialmente dal gruppo Carlos, come ritorsione per la violazione degli accordi (mai ufficializzati in Parlamento) tra OLP e governo italiano. L'accordo, o lodo Moro, fu sancito tra esponenti del nostro governo (dove Moro era ministro degli esteri) e OLP per consentire il passaggio di questi gruppi e delle loro armi sul nostro territorio, in cambio dell'esclusione di obiettivi italiani per i loro attentati.
L'accordo, scrivono gli autori, sarebbe stato firmato nell'ottobre 1973 dopo un incontro al Cairo: siamo in piena emergenza terrorismo per tutti gli attentati nelle città europee che colpivano aerei della compagnia di bandiera israeliana. A seguito della sconfitta della guerra dei sei giorni da parte del fronte anti-israeliano, c'era stato infatti in cambio di strategia da parte dei gruppi militari palestinesi: portare la guerra in Europa, colpire gli israeliani nei loro spostamenti.

Scrivono gli autori: “Ufficialmente il lodo Moro non è mai esistito. Ancora oggi l’accordo di sicurezza con la resistenza palestinese viene negato in modo risoluto, soprattutto dai rappresentanti delle istituzioni che hanno concorso alla sua stipulazione”.
Il lodo Moro, mai ratificato dal Parlamento e mai ammesso ufficialmente, avrebbe funzionato almeno fino al 1978: niente attentati in Italia e niente problemi per i commando palestinesi in giro nella nostra penisola
Gli esempi concreti di applicazione del patto di sicurezza non mancano. Il 6 marzo 1976 tre terroristi arabi vengono perquisiti a Fiumicino. Spuntano pistole e bombe a mano. Il caso imbarazza le nostre autorità perché uno degli arrestati è in possesso di un passaporto diplomatico rilasciato dalla Libia. Il Tribunale di Roma li condannerà per direttissima a sette anni di reclusione per i delitti di introduzione, detenzione e porto illecito di armi comuni e da guerra. I terroristi rinunciano all'appello e la sentenza passa subito in giudicato. Ciò consente al Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, di concedere la grazia ai tre terroristi, che potranno abbandonare il nostro paese a bordo di un velivolo militare. Questo è il lodo Moro”.I segreti di Bologna, Rosario Priore e Valerio Cutonilli

Cos'è successo poi?
C'è stata la morte di Aldo Moro e la questione dei missili di Ortona, nel novembre del 1979: con l'arresto di alcuni esponenti dell'estrema sinistra (che si scoprirà essere poi in contatto col terrorista Abu Saleh) che viaggiavano in un furgone dove poi i carabinieri scopriranno dei missili terra aria Strela di fabbricazione sovietica.
Abu Saleh, cittadino giordano, sarebbe il rappresentante in Italia del FPLP di Habbash e sarebbe stato in contatto col gruppo terroristico di Carlos lo sciacallo.

Questa la teoria dell'ex giudice Rosario Priore (che come magistrato ha indagato sulle stragi di Ustica e sulla morte di Moro) e del giornalista Valerio Cutonilli.
Tutta da verificare, tenendo conto che sulla bomba di Bologna esiste già una sentenza passata in giudicato che ha portato alla condanna di Fioravanti e Mambro dei Nar.
E tenendo conto di come le piste medio-orientali sulla strage siano state considerate dei depistaggi da parte del Sismi.

Il libro comunque merita una lettura, almeno per un approfondimento di un periodo storico nemmeno troppo lontano nel passato in cui l'Italia e l'Europa erano terreno della guerra fredda per lo scontro tra i due blocchi, quello atlantico e quello orientale.
Una guerra in cui si inserisce anche il terrorismo, per i contatti e i finanziamenti (sempre negati ma abbastanza certi) tra le BR e i servizi dell'est e per i legami tra queste e i terroristi palestinesi.
Una storia di intrighi e di spionaggio, oltre che di dirottamenti e di bombe.

Il libro si divide in due parti: nella prima si fa una ricostruzione storica del contesto in cui sarebbe maturato l'accordo, il lodo Moro, che avrebbe avuto come garante politico Aldo Moro e come riferimento nei servizi il colonnello Giovannone.
Nella seconda i due autori si concentrano sulla strage di Bologna, per spiegare (in base alle prove raccolte) la loro teoria sulla pista palestinese che mette assieme il lodo Moro, il Fronte Popolare di Liberazione (FPLP) e l'area dell'autonomia dell'estrema sinistra.
Per questa teoria si sono avvalsi anche di documentazione raccolta dalla commissione parlamentare Mitrokhin, alcuni dei quali sono stati riportati in appendice al libro.

Gli autori non credono alla pista dei Nar, nonostante le sentenze in giudicato e nonostante la magistratura che pure ha seguito anche la pista palestinese, sia arrivata alla richiesta di archiviazione.

A conforto di questa tesi (la pista palestinese, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, il gruppo del terrorista Carlos) c'è la scoperta che il terrorista Thomas Kram era presente a Bologna dal pomeriggio del 1 giugno. Ufficialmente per trovare un'amica, presentandosi col suo vero nome
[Thomas Kram] è anche un esperto di documenti falsi. Il fatto che la sera del 1 agosto 1980 si presenti in albergo con la sua patente di guida fa pensare che non stia per eseguire un attentato in città.Contraddizioni analoghe, del resto, sono emerse nel corso della nuova inchiesta. Nell'ultimo decennio, a cadenza sistematica, sono ricomparsi molteplici indizi che consentono di ricollegare l'esplosione di Bologna alla crisi del lodo Moro e al progetto ritorsivo dell'FPLP.Tali indizi però, valutati sul presupposto che quello di Bologna sia un attentato voluto e perfettamente riuscito, mostrano limiti non trascurabili. Limiti che vengono sminuiti o enfatizzati a seconda delle esigenze.Sarebbe utile, invece, capire se il compendio probatorio acquisito possa rivelarsi più efficace verificando un'ipotesi investigativa di segno differente.Si può escludere, ad esempio, che a devastare la stazione di Bologna sia stata in realtà una detonazione non prevista da chi trasportava l'esplosivo?


Cosa è successo allora quel 2 agosto 1980: forse un'esplosione accidentale durante il trasbordo della bomba che doveva esplodere da un'altra parte?
Gli autori non arrivano alla prova finale che scagioni i Nar e confermi la pista "rossa". Nonostante siano passati tanti anni, nonostante le sentenze, ci sono ancora dei punti ancora poco chiari in questa storia. Di dolore e sangue.

Sfortunato il paese dove non si riesce mai a mettere fine (o a far luce) sui suoi "misteri" e a chiudere i conti col passato..



La scheda del libro sul sito di Chiarelettere:
È arrivato il momento, dopo trentasei anni, di spiegare fatti rimasti finora in sospeso. Gli italiani hanno assistito inermi ad attentati di ogni genere: omicidi di militanti politici, poliziotti, magistrati. E stragi crudeli, terribili, come quella alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 che causò 85 morti e 200 feriti e che, nonostante la condanna definitiva dei tre autori, continua a essere avvolta nel mistero. Dopo interminabili indagini giudiziarie e rinnovate ipotesi storiografiche, gli autori di questo libro, esaminando i materiali delle commissioni Moro, P2, Stragi, Mitrokhin, gli atti dei processi e degli archivi dell’Est, e documenti “riservatissimi” mai resi pubblici, hanno tracciato una linea interpretativa sinora inedita, restituendo quel tragico evento a una più ampia cornice storica e geopolitica, senza la quale è impossibile arrivare alla verità.La loro inchiesta chiama in causa la “doppia anima” della politica italiana, le contraddizioni generate dalla diplomazia parallela voluta dai nostri governi all’inizio degli anni Settanta e, in particolare, lo sconvolgimento degli equilibri internazionali provocato dall’omicidio di Aldo Moro, vero garante di un patto con il Fronte popolare per la liberazione della Palestina finalizzato a evitare atti terroristici nel nostro paese. Senza questo viaggio a ritroso nel tempo è impossibile capire la stagione del terrorismo italiano culminata nell’esplosione del 2 agosto 1980.

L'intervista a Rosario Priore su Farhenheit
L'articolo di Dino Messina sul Corriere “Strage di Bologna, in un libro tutta l'altra verità”


I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Profezie che si avverano



Il titolo di domenica di Libero mi ha colpito: più immigrati = più attentati.
Vedendo quello che sta succedendo in Germania in questi giorni sembrerebbe di sì.
A Monaco il ragazzo che ha sparato era di origini iraniane.
Era afgano il ragazzo salito sul treno che ha colpito i passeggeri con l'accetta.
L'uomo che ha ucciso una donna nel Baden-Wurttemberg a colpi di machete era un rifugiato siriano.
Il ragazzo che si è fatto esplodere ad Ansbach era anche lui un profugo, che si era visto respingere la domanda di asilo.

Tutti stranieri o figli di immigrati.
Prima che iniziasse la psicosi contro gli immigrati (dai paesi arabi) e il collegamento col terrorismo islamico avremmo approfondito l'aspetto del disagio.
Perché è assolutamente vero che l'immigrazione, da paesi così lontani, di persone che hanno già alle spalle problemi gravi e che in Germania non sono riusciti ad integrarsi (o non hanno voluto integrarsi) causa dei problemi sociali e non solo nella pur attrezzata Germania.

Detto ciò, non si deve fare né il solito allarmismo inutile ma nemmeno ignorare il problema, per cercare di dare una risposta alle tante domande: tutti questi attentati hanno un legame tra di loro? Sono legati all'Isis?
E, infine, la domanda rivolta a quelli del "mandiamoli a casa": una volta che chiudiamo le porte a siriani, afgani, iracheni, cosa pensiamo che succederà?


24 luglio 2016

Per comprendere i fatti nel mondo globalizzato

Gli ultimi dieci anni sono stati duri per il mondo del giornalismo, soprattutto a livello locale. Oltre una decina di quotidiani cittadini ha chiuso i battenti. Nel 2014 gli introiti delle testate giornalistiche sono stati meno della metà rispetto a dieci anni fa e migliaia di cronisti hanno perso il lavoro. Certo, c'è stata la rivoluzione online. Molti sosterrebbero che attualmente abbiamo a nostra disposizione molte più informazioni che in passato e che dunque non abbiamo più bisogno del giornalismo investigativo tradizionale.Noi non siamo d'accordo.[Tradimento, Il caso Spotlight, edizioni Piemme]

Domenica scorsa scrivevo di un mondo che sembra aver preso una accelerazione senza controllo: il terrorismo, gli spari contro i poliziotti, l'Isis e il terrore dell'Isis, l'assurdo attentato a Nizza e poi il fallito golpe in Turchia.
Questa settimana l'accelerazione è andata avanti con le purghe del democratico Erdogan contro magistrati, professori, giornalisti facendo nascere più di un sospetto che certe liste fossero già state scritte prima del golpe dei militari del 15 luglio.
La nomination ufficiale per il partito repubblicano di Donal Trump per le presidenziali, in una convention dove erano presenti, oltre ai parenti del miliardario, anche groppuscoli religiosi come quelli che esultano per la morte dei gay. E dove non erano presenti i senatori "storici" del partito.
Abbiamo scoperto, molto dopo, che a Nizza non erano presenti sufficienti misure di sicurezza, che forse il lupo solitario non era così solitario e che aveva studiato per tempo l'operazione. Rimanendo, lui e i suoi contatti, fuori dai radar dell'intelligence.
In Germania c'è stato un primo episodio di terrorismo, il profugo che ha assalito la famiglia cinese su un treno. E, infine, la sparatoria del ragazzo di origini iraniane fuori dal Mc Donald in centro a Monaco.
Venerdì, nel tardo pomeriggio, è stato il caos informativo sui mezzi di informazione e, ovviamente, sui social.
Terrorismo. I signori dello scontro di civiltà con l'Islam erano già sicuri: Formigoni, Nicola Porro, Magdi Allan, Salvini ... siamo sotto attacco, dobbiamo reagire.


Per ore si è parlato di tre attentatori che avevano sparato e che poi si erano dileguati per le strade di Monaco. Lo stesso modus operandi di Parigi e di Bruxelles.

Ci sono volute ore per inquadrare la strage di Monaco nella sua corretta cornice (il ragazzo con problemi personali che alla fine ha deciso di farsi giustizia da solo)  distante dal terrorismo islamico e di estrema destra.
Ma il caos della comunicazione, anche da parte dei media tradizionali, quelli che dovrebbero essere cauti nello scrivere, è servito a far crescere ancora di più la paura nei confronti di possibili attacchi (.. e ora dove colpiranno .. quando toccherà anche in Italia ..) e dall'altra parte la voglia di sicurezza.
Dove per sicurezza si intende maggiore presenza di militari e poliziotti nelle strade e nei luoghi a rischio, come ha fatto Hollande in Francia, coi riservisti.
Servirà questo a renderci veramente più sicuri, quando prenderemo un treno, o entreremo in un aeroporto per fare la coda al check in, o la coda in un museo..?

Dopo le stragi di Parigi e a Bruxelles si era chiesto di arrivare ad un'unica intelligence europea, almeno ad un maggiore scambio di informazioni tra le polizie dei paesi.
Si era chiesto, e lo aveva detto anche il nostro Presidente del Consiglio, serviva investire anche in cultura e integrazione. Ogni euro speso in sicurezza deve avere anche un euro investito nelle scuole, nelle periferie.
Non tutto quanto promesso è stato fatto: la Francia ha allungato la fase di emergenza (lo stesso in Turchia) e l'argomento immigrazione (e gestione dei profughi) è costantemente argomento di tifo politico (non parlo di discussione, intendo proprio di tifo).
Tanto che questo ha bloccato, magari non direttamente, l'approvazione della legge sul reato di tortura.
Nei giorni dove diciamo che dobbiamo difendere i nostri valori, che non dobbiamo abbassarci allo stesso livello dei terroristi, serve aver presente quali sono questi valori.
Per esempio quelli calpestati nella notte cilena di Genova durante il G8, i pestaggi alla Diaz e le violenze anche psicologiche a Bolzaneto.
Violenze per cui nessun poliziotto ha pagato fino alla sentenza della magistratura, con le pene accessorie che hanno sospeso dal corpo i dirigenti condannati (e che pure avevano fatto carriera).
Se dobbiamo difendere i nostri valori e vogliamo dirci veramente democratici (non come Al Sisi per il caso Regeni, non come Erdogan che imprigiona i giornalisti), serve questa legge che consenta alle forze dell'ordine di agire, anche con le durezze richieste dalla situazione. Ma che non consenta mai più i fatti di Genova.

Tutto questo discorso per tornare al libro da cui sono partito, "Tradimento", il libro sull'inchiesta portata avanti dal team Spotlight del Boston Globe, sul "sistema" degli abusi nell'arcidiocesi di Boston. Le coperture del cardinale Bernard Law, i preti che venivano spostati da un posto all'altro, un sistema di omertà e coperture di cui tutti sapevano ma di cui nessuno voleva parlare.
È servita l'inchiesta dei giornalisti del Globe, che si misero contro la curia e una parte della città, per mettere nero su bianco e una volta per sempre i fatti.
Un'inchiesta che è raccontata anche dal bel film, "Il caso spotlight" che rimane un bel film sul mestiere del giornalismo: un lavoro fatto anche con carta e penna se serve, dove si deve camminare e faticare per seguire e cercare le fonti. Incrociare i dati, trovare conferme, studiare.
Insomma, un lavoro che costa molta più fatica che non starsene comodi negli uffici a twittare sciocchezze che alimentano la pancia del paese.
Nell'epoca dei social, della globalizzazione, non è vero che c'è più informazione.

Un'informazione che ci racconterebbe come il nostro paese e l'Europa abbia già vissuto momenti drammatici come questo. Si citava il film Munich, venerdì sera, con la strage degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972 (e le Olimpiadi che andarono avanti come se nulla fosse). Un paragone fuori luogo, visto quanto si è scoperto.
Forse sarebbe stato più corretto citare la strage di Utoya, di quel Breivik che voleva fare pulizia nel mondo.
Ma, ripeto, per questo serve un sistema di informazione che non abbia la fretta di occupare il presente e la scena per dare ora e subito tutte le informazioni.

E servirebbe una classe politica che abbia la forza di guardare a lungo termine e non solo i sondaggi e le prossime elezioni.

22 luglio 2016

Destra o sinistra


Due articoli, il primo dal sito de l'Unità, quotidiano fondato da Gramsci, una volta antiberlusconiano oggi renziano.

Il secondo da Libero, quotidiano berlusconiano, oggi lo stesso.

Si parla del direttore del Fatto Quotidiano in una posa particolare.
Due giornali, stessa foto, stessa insofferenza per il giornalismo libero.

Il sistema delle banche

Più si sente ripetere che il sistema delle banche è solido, più si capisce quanto questo sia a rischio e si voglia solo evitare l'effetto panico.
Più si susseguono le leggi e i provvedimenti d'urgenza sulle banche, più si comprende la superficialità con la quale si è affrontato il problema delle sofferenze bancarie.
Ieri le borse hanno avuto un rialzo dopo le parole di Draghi: si possono salvare le banche coi soldi pubblici.
Ma come, per mesi si è sentito che basta salvataggi pubblici, d'ora in avanti "ce lo chiede l'Europa" di far pagare la crisi prima ad azionisti e obbligazionisti

E' chiaro che questo sistema finanziario, delle regole, politico ed economico diventi agli occhi della gente (quella che non deve capire e starsene solo zitta) sia poco credibile.
Certo, esiste la norma 45 delle norme europee sul sistema bancario che prevedono la protezione pubblica se ci sono problemi di stabilità finanziaria.
Ma cosa si aspetta allora? Le file agli sportelli come in Grecia?

Servono soldi per salvare le banche e i risparmiatori.
E serve che finalmente si faccia chiarezza sulle responsabilità: perché le sofferenze non sono solo colpa della crisi, ma anche dei prestiti concessi senza troppe garanzie agli amici.
Come i soldi prestati da MPS a Verdini, a Surgenia, i prestiti di Unicredit all'imprenditore Bulgarella

Intervistato da Marco Palombi, il deputato Boccia parla di inadeguatezza del ministro Padoan, della soluzione di sistema per le banche, del fondo Atlante:
Parliamone allora: cosa c’è che non va nella “soluzione di mercato” per Mps?Ma quale soluzione di mercato? Noi compriamo dei “soldi-ponte” per garantire l’aumento di capitale di Monte dei Paschi e se va male paga lo Stato senza neanche sapere se funzionerà. L’unica cosa cer-ta di questa operazione è che Jp Morgan, che la organizza, ci guadagna 80-100 milioni in ogni caso (l’ex ministro Vittorio Grilli è il presidente corporate banking per l’Europa, ndr). Aggiungo: io mi fido di tutti, però mi ricordo che Goldman Sachs faceva l’advisor del governo greco per il debito con una mano e con l’altra invitava i clienti a vendere. Allora non si fida affatto.Diciamo che avrei preferito vedere le grandi banche internazionali mettere i soldi dentro Atlante: tanto più che intermediando il debito pubblico italiano si portano a casa commissioni per 2 miliardi e più all’anno.Niente soluzione di mercato. Che si fa?Si mettono i soldi. I soldi veri. Si sa da tre anni che solo per le situazioni più difficoltose servono 10-12 miliardi per gli aumenti di capitale (dalle due venete a Mps, da Banco Popolare ad alcune Bcc emiliane e altro ancora) e giusto un po’meno per gestire le sofferenze di minore qualità. Insomma, servono una ventina di miliardi di euro. E l’unico che può metterli è lo Stato.In questa fase sì: si prende Cassa depositi e prestiti e si mette almeno la metà della cifra che serve. Poi se vogliono continuare a fare gli ipocriti, si può usare Atlante o un altro fondo in cui ci sono le banche e dire a Bruxelles che si trattadi un’operazione privata...E invece?E invece facciamo gli “esteti del mercato”. Quando nel 2015 dicevo che non si potevano tosare gli obbligazionisti subordinati retail di Etruria & C. al Tesoro mi dicevano “il mercato non capirebbe”. Poi abbiamo fatto tre decreti per i risarcimenti. Che poi gli “esteti” dovrebbero ricordarsi che, quando c’è un fallimento del mercato, deve intervenire lo Stato: a forza di prendere scorciatoie si finisce in strade senza uscita.

21 luglio 2016

Servitori dello Stato - Boris Giuliano


E' leggendo la storia di servitori dello Stato fedeli come Boris Giuliano (o come Paolo Borsellino), che si comprende a capire perché lo stato non sempre ha voluto vincere la lotta alla mafia.
Boris Giuliano era, prima di tutto, un poliziotto che aveva seguito il principio del follow the money: i soldi della del traffico della droga che la mafia riciclava dalle banche siciliane. 
Non si faceva scrupolo, ne aveva paura di seguire le piste investigative che lo portavano dentro le banche e dentro i rapporti mafia-politica.

Subentrò a Bruno Contrada come capo della Mobile di Palermo, dove fu ucciso da Luchino Bagarella il 21 luglio 1979.
Il suo successore,  Giuseppe Impallomeni aveva in tasca la tessera P2 n. 2213.
Mentre Questore a Palermo diventerà Giuseppe Nicolicchia "di cui verrà rinvenuta, tra le carte di Castiglion Fibocchi, la domanda di affiliazione alla Loggia di Gelli" (wikipedia).

La mafia lo chiamava lo sceriffo, per questo suo muoversi senza paura, quasi da solo.
Noi lo chiamiamo servitore dello Stato, come Piersanti Mattarella, Gaetano Costa, Rocco Chinnici, Cesare Terranova e tutte le altre vittime della mafia uccise in quegli anni.

Maigret e il caso Nahour, di Georges Simenon

Incipit
Lottava, cercando di respingere qualcuno che lo aveva agguantato per la spalla a tradimento. Tentò anche di sferrare un pugno, con la sensazione umiliante che il braccio si rifiutasse di obbedire e rimanesse moscio, come anchilosato.«Chi è?» urlò, ed ebbe la vaga impressione che la domanda non fosse del tutto appropriata.Ma riuscì davvero a emettere un suono?«Jules! .. Il telefono ..»

Maigret viene risvegliato, nel mentre di un incubo, da una telefonata del dottor Pardon da cui si è appena congedato dopo la consueta cena mensile.
Nella richiesta di raggiungerlo nuovamente nel suo studio, Maigret avverte un tono di paura: per questo abbandona il letto in una fredda notte e affronta le strade ghiacciate di Parigi.
In rue Voltaire, il medico gli racconta della vista di due persone, un uomo e una donna: lei con una ferita da arma da fuoco, lui che gli ha raccontato una storia poco credibile sull'incidente.
Entrambi ben vestiti, con un cappotto lungo lui e una pelliccia di lontra lei: ma appena il medico li ha lasciati soli, dopo l'intervento di primo soccorso sulla ferita, se ne sono andati via dallo studio senza dare il nome.
Come Pardon, era convinto che l'uomo e la donna si conoscessero. Il fatto che si fossero dileguati senza dire una parola, come due complici, approfittando dei pochi minuti trascorsi dal dottore nello stanzino delle visite, non ne era forse la prova?”.

Perché allora questa coppia ha raccontato tutte queste bugie al dottor Pardon: la macchina che si avvicina alla donna e un uomo che si sporge e spara, il fatto di non conoscersi? Perché poi avrebbero dovuto lasciare lo studio alla chetichella se non avessero qualcosa da nascondere?
Ci sono casi che si presentano fin dall'inizio sotto una luce tragica, e che conquistano immediatamente i titoloni in prima pagina. Altri, in apparenza banali, ottengono al massimo tre o quattro righe in sesta pagina, finché non ci si accorge che un semplice fatto di cronaca nascondeva in realtà un dramma avvolto nel mistero”.

Maigret si getta dentro il caso e inizia a mobilitare la sua rete di contatti, nei commissariati di zona, negli aeroporti, per capire dove siano andati questi due personaggi: lui elegante e con connotati da persona straniera, lei ferita alla spalla, con lineamenti nordici.
«Si sforzava, suo malgrado, di immaginare quella coppia di stranieri eleganti, sbucata Dio solo sa da dove nello studio di un modesto medico di quartiere. Pardon aveva capito subito che quei due non appartenevano al suo mondo, né a quello di Maigret o della gente che, come loro, abitava attorno a rue Picpus.
«Capitava spesso, al commissario, di imbattersi in personaggi di quel tipo, che a Londra, New York o Roma si sentono come a casa propria, prendono l’aereo come gli altri prendono il métro, scendono in alberghi di lusso e, a qualunque latitudine, ritrovano le loro abitudini e i loro amici.
«È una sorta di massoneria internazionale, e non solo del denaro, bensì di un certo stile di vita, di certi atteggiamenti, e anche di una certa morale, diversa da quella del comune mortale.
«Con loro Maigret non si sentiva mai del tutto a proprio agio, e a stento reprimeva un’irritazione che si sarebbe potuto scambiare per invidia».

La stessa notte, il signor Nahour viene trovato morto nel suo studio: un colpo alla gola, sparato da una pistola di grosso calibro. Era un signore di origine libanese la cui professione non era chiara: nessuna delle persone presenti in casa ha sentito nulla. Nulla dalla cameriera olandese, che pure fatica a comprendere il francese, niente dalla donna di servizio (che pure si dimostra quasi ostile alle domande) e niente nemmeno dal segretario Fouad Ouéni, libanese pure lui, che seguiva Felix Nahour da anni:
Il volto dell'uomo era impassibile. Raramente a Maigret era capitato di ottenere così poca collaborazione come da quando aveva messo piede in quella casa. La donna delle pulizie rispondeva in modo evasivo, ostile. La cameriera olandese parlava a monosillabi. E ora Fouad Ouéni, impeccabile nel suo completo nero con camicia bianca e cravatta grigio scuro, ascoltava il commissario guardandolo con la più assoluta indifferenza, se non addirittura con disprezzo.

Maigret intuisce, dalle risposte ricevute (e grazie al suo intuito) che i due casi sono incrociati: la moglie del morto è una ex modella olandese e corrisponde proprio alla donna che l'amico Pardon ha curato.
Si erano sposati anni prima e ora vivevano ciascuno seguendo la sua vita, dormendo in camere separate e separati pure dai figli, in Costa Azzurra affidati alla tata.

Chi era e che lavoro faceva Felix Nehour, per vivere? Perché la signora è uscita proprio quella sera, per tornare ad Amsterdam? Qualche risposta gli arriva dal fratello di Felix, Pierre, banchiere:
«Da alcune scoperte che ho fatto in questa stanza, deduco che suo fratello è diventato giocatore di professione ..»«Se la si può chiamare una professione. Un bel giorno abbiamo scoperto che aveva abbandonato gli studi di legge per frequentare dei corsi di matematica alla Sorbona .. Per diversi anni lui e mio padre non si sono parlati..».

Ma per il resto è tutto un girare a vuoto: tutti i personaggi che Maigret incrocia nell'inchiesta gli raccontano solo bugie, anche puerili, con un atteggiamento quasi infantile o superficiale.
Maigret non riuscì a trattenere un sorriso. Ce ne fosse stato uno che non mentiva, in quell'inchiesta! Tutto era cominciato la notte prima dai Pardon con quella storia campata per aria del colpo sparato da un'auto e dall'anziana signora che aveva indicato la casa del medico”.

Il commissario si trova catapultato in un mondo di menzogne, di mentitori professionisti, quasi irreale e lontano dalla realtà che Maigret è abituato a conoscere: d'altronde anche il morto era un giocatore d'azzardo, sebbene con un suo metodo scientifico. Da dove partire allora, per smontare gli alibi di queste persone? La moglie di Nahour, il segretario e la cameriera?
Dove aveva letto quell'adagio: cerca sempre l'anello debole?Gli era venuto in mente durante il tragitto in taxi. Quattro persone sapevano la verità – o quanto meno una parte della verità – sul caso Nahour. Le aveva interrogate tutte e quattro, e alcune due volte. Tutte avevano mentito almeno in un'occasione, e certe in più d'una.Quale di loro rappresentava l'anello debole?”

La scheda del libro sul sito di Adelphi

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