21 giugno 2016

Milano disco inferno, di Riccardo Besola

“Non è sempre facile da dire, la verità.”

Il titolo non tragga in inganno: non si parla di musica anni '70 in questo nerissimo noir di Riccardo Besola (in questo romanzo senza il resto della compagnia di Ferrari e Gallone). Anche se al centro della storia c'è un disco, di quelli in celluloide, è un romanzo in puro stile poliziottesco, una storia di mala, di gangster dall'aria anonima e di poliziotti corrotti, di brava gente che si trova al posto sbagliato al momento sbagliato. E che si ritrova a compiere scelte sbagliate .. Di figli che seguono le orme sbagliate dei padri. E in mezzo, a far da collante a tutte queste vite intrecciate un disco, quel disco, che passa di mano in mano.

16 luglio 1975 – provincia di Milano casa di incisione dischi FuturAudio
Tutto parte da un'incisione su un disco, in una delle tante fabbrichette nella Brianza monzese: cosa c'è di strani, direte voi?
Di strano c'è che a venire incisi sono numeri e lettere.
Che questa richiesta, a Mario Spitz, era arrivata da un tale conosciuto in un bar, che gli aveva promesso un centone facile facile per quel lavoro.
E dai Mario, fai il bravo. Verrà un uomo. Devi incidere qualcosa su uno dei dischi che fate lì in ditta da voi”.

Una sera, dopo la chiusura, sarebbe arrivato da Mario un tale che gli avrebbe chiesto un lavoro. Quello facile facile.
E che poi, finito al lavoro, anziché dargli quel centone (facile, facile), gli punta una pistola in volto.

Ed ecco che entra in scena il secondo protagonista della storia, coinvolto per caso. Quel caso che ti porta ad essere nel posto sbagliato eccetera eccetera.
Bruno Moriago, si chiama: costretto a tornare al capannone perché si è dimenticato lì il portafoglio. E sulla Comasina c'è appena stato un incidente e allora era entrato in un locale per telefonare quando si era accorto del portafoglio.

Il caso dunque e la necessità di dover decidere in fretta quando ti trovi davanti ad una scena da film: un tipo sconosciuto con una strana camicia che minaccia il tuo collega. Prendi una sbarra e ..
E poi? Denunci alla polizia, mandando in rovina il principale che in quel capannone tiene dentro anche roba in nero?
Oppure continui a prendere la decisione sbagliata: disfarti del corpo gettandolo nelle acque del Lambro.
Ma quell'uomo non era una persona qualunque, uno con un lavoro, che prende uno stipendio ogni fine mese, per dire.
Era solo la punta dell'iceberg di una banda. Che non dimentica. E che si mette sulle tracce di Mario e Bruno.
Era come se fossero finiti anche loro nel Lambro, insieme a quello sconosciuto e alla Lancia Beta color amaranto.”

Di errore in errore: quell'uomo morto aveva una brutta faccia, e Bruno Moriago di brutte facce se ne intende. Prima di metter su famiglia, sposarsi e avere un figlio, Raul, anche lui aveva frequentato cattiva gente:
“aveva iniziato a capire che quella era una storia maledetta e complicata e le storie maledette e complicate non si risolvono con una sbarra di ferro e una Lancia Beta color amaranto fatta andare giù nel Lambro”.

A chi chiedere un aiuto allora? Alla sua vecchia banda di in piazza Wagner, quando veniva chiamato bistecca e si occupava di rubare le auto su commissione.
Qui incontra una vecchia amicizia, un uomo magrolino, ossuto, insignificante: un uomo da niente, ma con una brutta faccia, che gli racconta un altro pezzetto della storia dietro quel disco maledetto.
Una storia di una banda, di sbirri corrotti ma con forti coperture in alto. Di ricatti e di miliardi su un conto in Svizzera.
Il cui codice viene diviso in due: metà agli sbirri e la seconda metà incisa su quel disco. Capito adesso perché così importante?
Bruno capisce che per salvarsi, dovrà continuare a fare altri sbagli, altri errori, per sfuggire a quelli che gli stanno alle calcagna:
“La vecchia banda non se n’era mai andata, mai, neppure per un secondo, se lo ricordavano sempre, ogni giorno, e se lo erano ricordati dopo anni interi.”

Come tutti i dischi, anche questa storia ha un lato A e un lato B. Il lato A, la prima parte del racconto, si chiude sempre in quel luglio torrido del 1975. Davanti un pozzo asciutto in una cascina sperduta a Quinto Romano, “un grumo di case e quella strada che passava nel mezzo” estrema periferia milanese.
Si chiude con due morti, che le indagini della polizia archivieranno come una brutta storia di spaccio.
E quella brutta faccia, che nella mala viene chiamato Mezzanotte, che finisce in carcere.

Milano 1978, carcere di San Vittore
La cosa strana di San Vittore è che sta in mezzo alla città. Nel raggio di un chilometro si possono trovare Porta Vercellina con le sue eleganti boutique, la darsena dei Navigli, la basilica di Sant’Ambrogio,..”.

Il lato B del libro è una storia di vendetta, per cui vale la pena aspettare mesi e anni, e anche una storia della caccia all'oro, per cui vale la pena pestare a sangue e uccidere.
Di colpe dei padri che ricadono sui figli.
Una lunga corsa verso un finale dove non troveremo più buoni o cattivi ma dove l'importante è rimanere vivi.

Ed è destino, quel destino maledetto che non guarda in faccia a nessuno tra i cattivi e i meno cattivi, che questa storia finisca ancora a Quinto Romano, periferia di quella Milano “che non appartiene a nessuno”.

Un romanzo duro e nero, “come il vinile” scrive Luca Crovi: una trama ben ingegnata con diversi colpi di scena, con personaggi preda delle loro debolezze, della loro rabbia, del dolore che si portano dentro.
Con le loro bugie e coi loro vuoti interiori.
Un personaggio della mala che è l'incarnazione del male. Uno di quelli cresciuti a fregare il prossimo.
Una storia dura, niente lieto fine all'uscita, che lascia una profonda sensazione di amaro in bocca.
Solo la speranza di rimanere vivi.
E, sullo sfondo, la Milano anni '70, con la sua nebbia (che fine ha fatto?) la mala, gli scontri tra rossi e neri.
Tra Tarantino e Scerbanenco.
Buona lettura!

La scheda del libro sul sito di Novecento editore .

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