09 maggio 2016

Roma Palermo, 9 maggio 1978: lo statista democristiano e il giovane siciliano


Palermo, aprile 1978 
Si riunisce cosa nostra, l'altro stato 
Spiega Bontade: «A Roma non sanno che cosa fare e ci chiedono aiuto. Ma un piano c'è: noi abbiamo Masino Buscetta in carcere a Milano. Ce lo facciamo trasferire a Torino – a questo pensano loro – dove ci sono tutti i capi delle Brigate Rosse che sono a processo. E Masino ci parla, voi sapete che è bravo, e si fa dire dove tengono Moro. Se non ci riesce con le buone, organizza una rivolta nel carcere, li afferra e e lo fa dire con le cattive. Se non funziona neanche quello, i carcerati propongono uno scambio, Moro al posto di Curcio.» 
Intorno c'è perplessità: «Ci esponiamo troppo». 
Bontade: «Sapete, è un favore che gli facciamo». 
Di Cristina è molto d'accordo. Michele Greco medita: «C'è Pippo Calò, a Roma, che ci dice di fare attenzione, perché secondo lui neanche la DC lo vuole tirare fuori. Dice che poi diventa un ingombro anche per loro». 
Bontade cerca di insistere: «E' un favore che gli facciamo ..» Nettamente contrario è invece Salvatore Riina. Il suo concetto dello Stato è molto diverso: «A me quel Moro non piace, non mi è mai piaciuto. Lui vuole portare i comunisti dentro il governo, e questo non è un bene per la Sicilia. Noi non ci dobbiamo entrare in queste cose». Anche Michele Greco si allinea. Di Cristina guarda Riina e lo sguardo che riceve non gli piace. 
Decidono di dire né si né no, che equivale a no. Prima di sciogliersi viene sollevato il caso di Gaetano Badalamenti, il capo famiglia di Cinisi. Dice che un suo nipote comunista, Peppino Impastato, che ha fatto una radio e parla alla radio contro di lui, gli manca di rispetto, lo fa apparire ridicolo, e che non riesce a farlo smettere. Lo stato siciliano scioglie la sua riunione, Michele Greco bacia e saluta tutti. 
Ognuno se ne sale sulla sua BMW con qualche pensiero in più.[Dalle testimonianze di Tommaso Buscetta al processo contro Andreotti] 
Roma-Palermo, 9 maggio 1978 
Le uccisioni di Aldo Moro e Peppino Impastato 
La mattina i giovani brigatisti che lo detengono da 55 giorni in un cubicolo dentro la «prigione del popolo» invitano il presidente DC a rivestirsi con la grisaglia che indossava il 16 marzo, il giorno che avrebbe dovuto segnare la svolta storica della politica italiana. Nel risvolto dei pantaloni Anna Laura Braghetti ha messo un po' di sabbia che lei stessa è andata a prelevare sulla spiaggia di Focene, per confondere gli investigatori. 
Moro ha la barba lunga di alcuni giorni. Viene portato in un garage e fatto accomodare nel bagagliaio di una Renault 4 di colore rosso. Gli sparano Mario Moretti, Prospero Gallinari e Germano Maccari. Poi la macchina si muove con il cadavere nel centro storico di Roma. 
Uno dei medici legali che vedrà il cadavere dirà: «Aveva un'espressione trasognata». 
Nella notte precedente, nel piccolo e sconosciuto paese siciliano di Cinisi, Cosa Nostra rapisce il giovane Peppino Impastato, «quello che mancava di rispetto». Lo uccidono e lo depositano sui binari della ferrovia. I carabinieri lo trovano la mattina e comunicano la morte di un terrorista rosso, mentre stava per compiere un attentato.Patria, 1978-2008 Enrico Deaglio

Strano paese l'Italia, che ha bisogno di eroi e di figure da venerare post mortem.
Paese dove, in quel maggio 1978, i destini di due persone quanto mai distanti si intrecciarono: il presidente della DC Aldo Moro, ministro, presidente del Consiglio, che aveva saputo far navigare il paese nelle torbide acque degli scandali, dei colpi di stato, delle stragi di Stato.
E il ragazzo nato e cresciuto in un piccolo paese di provincia, Peppino Impastato, cresciuto in una famiglia dove si respirava aria di mafia e che invece che adagiarsi in un destino familiare scritto, decide di combattere la mafia e il boss di Cinisi mettendoci la faccia.
Aldo Moro, rapito il giorno del giuramento del suo governo, il primo con l'appoggio esterno dei comunisti, finalmente sdoganati in barba a Jalta e alla guerra fredda. Rapito in un agguato in via Fani (con la strage della sua scorta) che ancora oggi solleva tanti misteri, in cui l'unica verità rimasta è quella dei brigatisti.
Rapito e lasciato in mano alle brigate rosse per 55 giorni in cui tra stato e br avvenne una lotta o forse una trattativa a colpi di comunicati (veri o falsi come quello di Cucchiarelli e del lago della Duchessa).
Moro fatto ritrovare cadavere in una Renault R4, in via Caetani, tra Botteghe oscure (sede del PCI) e via del Gesù (sede della DC), centro Roma. Anche qui, come per l'agguato, in una ricostruzione di Moretti e Morucci che fa acqua da tutte le parti.

Peppino Impastato aveva la sola colpa di essere “sanguepazzo”, era cresciuto a fianco di un comunista, il pittore Venuto, che l'aveva educato alla bellezza, con le poesie di Majakóvskij (“non rinchiuderti partito nelle tue fredde stanze..”).
Alla lotta a fianco dei più deboli, contro i soprusi e i lavori fatti dal comune per favorire gli amici della mafia, come l'aeroporto di Cinisi o l'autostrada Cinisi Mazara del Vallo (che passava sui terreni di amici degli amici e che veniva pagato a caro prezzo).
Ma Peppino aveva una colpa ancora più grave: non aveva il buon senso di abbassare lo sguardo e la voce di fronte ai mafiosi, come il boss di Cinisi Gaetano Badalamenti (ne servirebbe uno per ogni angolo della strada, avrebbe detto Andreotti secondo Tommaso Buscetta).
Voleva cambiare le cose e per questo nella sua radio colpiva i boss e il sindaco di “mafiopoli” prendendoli in giro, mancandoli di rispetto.

Aldo Moro e Peppino Impastato, Palermo e Roma che si intrecciano, come si intrecciano potere mafioso e potere politico, entrambi uccisi perché si erano messi in mezzo ad uno status quo, che non poteva essere cambiato.
Due storie senza giustizia: dei misteri del rapimento di Moro, sulla sua vera prigione (non il covo in via Montalcini), sulla sua morte, sui veri componenti del commando, sugli intrecci tra caso Moro e P2, la presenza di Gladio e del “Noto servizio”, del comitato di crisi di Cossiga .. se ne occupano ormai solo gli storici e qualche giornalista in qualche saggio che esce in stampa.
Quello che è stato uno dei punti cardine della nostra storia, che ha consegnato il paese al pentapartito non interessa la politica, che ha cercato solo di “pacificare” e dimenticare.

Di Peppino Impastato e della sua morte, archiviata come incidente mentre stava organizzando un attentato, non se ne è proprio parlato per anni fino a che, nel 1997 un pentito ammise che quello di Impastato fu un omicidio voluto da Badalamenti e portato in quella commissione della mafia di cui all'inizio.

Omicidio archiviato dal maggiore dei carabinieri Subranni, il carabiniere che secondo Agnese Borsellino sarebbe stato “punciuto”.

Moro, le convergenze parallele, la DC e i comunisti.
Moro e il rapimento e gli interessi della mafia (e anche dei boss della banda della Magliana).
Moro e le Brigate Rosse, le strane versioni di comodo dei brigatisti che diventano verità ufficiale.
La DC e i capibastone al sud, con la mafia, con i boss.
La mafia e quel piccolo siciliano che non ne voleva proprio sapere di avere il buon senso di starsene zitto di fronte alla mafia.
Strano paese, questo, dove tutto si intreccia.

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