18 gennaio 2016

Il caso Xylella e i fondi per l'agricoltura alla mafia – Presa diretta

La Puglia è la regione con più ulivi al mondo, sono circa 5 ml sono quelli secolari, molti di questi sono definiti “monumentali”, perché con più di mille anni.
Tutto questo rischia di scomparire per il disseccamento, una malattia che potrebbe essere causata dal batterio della Xylella, diffuso dalla “cicala sputacchina”. Il batterio fa morire di sete la pianta: la soluzione consigliata dagli scienziati è l'abbattimento delle piante malate, con un indennizzo da 150 euro.

Sul caso Xylella è scoppiata la bomba dell'inchiesta della procura di Lecce che ha coinvolto scienziati e commissari del governo, oltre ai vertici regionali: Presa diretta ha raccontato il caso Xylella e la truffa dei fondi europei dell'agricoltura (e a seguire un servizio sulla legge 194, non applicata in Italia).

Il caso Xylella.
Presa diretta ha iniziato a seguire il caso mesi fa, quando la malattia era già nota: secondo la regione si dovrebbero abbattere tremila piante, per non lasciare in piedi nulla di infetto.
Così molti proprietari hanno abbattuto senza poter raccogliere le ulive. Oggi, molti attivisti contrari agli abbattimenti hanno messo una croce, altri hanno fatto la veglia per proteggere le piante: contestano il piano del commissario Siletti, che prevede solo tagli.
Al momento non esistono pubblicazioni scientifiche che correlino la Xylella al disseccamento: in assenza di certezze, di analisi complete sui batteri, si dovrebbe stare più cauti con gli abbattimenti.

A settembre 2015 il commissario emana un ordinanza per cui si estende l'abbattimento per ettari attorno ad una singola pianta malata: al posto degli uliveti rimarrebbe così solo terra arsa.
A Torchiarolo, Brindisi, gli abitanti hanno bloccato la strada per protestare contro questa decisione: abbattere ulivi sani e carichi di frutti per poche piante malate.

A Bari, mesi fa, il giornalista di Presa diretta ha incontrato Silletti, ora dimissionario: l'epidemia è cresciuta in modo esponenziale, spiega, si dovrebbe abbattere di più, tutte quelle malate.
Si dovrebbe abbattere anche se ti danno addosso tutti quanti”, ma ammette che la ricerca è da costruire, la legge non è coadiuvata da una base scientifica.

Al CNR è stato intervistato il dottor Boscia, nel comitato medico scientifico degli abbattimenti: qui cercano la prova che la Xylella sia l'unico responsabile della malattia, ma ancora non è stata trovata, sebbene si ritenga che sia abbastanza verosimile che altri funghi siano aggravatori.
Gli abbattimenti sono una buona misura? “No, questa è l'unica carta tecnica”, spiega.
Secondo Boscia l'agricoltura del Salento è spacciata: o speriamo in un miracolo, oppure dobbiamo ripensare la cultura nel Salento, spostandoci dall'ulivo alla vite, lasciando solo gli ulivi monumentali.

A Gallipoli, dove c'è l'epicentro dell'epidemia scoperta nel 2011, si trovano migliaia di piante morte.
Schito è il resp. del laboratorio regionale sanitario: all'accusa sul perché non sono intervenuti prima risponde che non erano stati coinvolti nelle prime indagini.
L'osservatorio fito sanitario applica la ricetta europea: che nella versione iniziale prevedeva un abbattimento nel raggio di 200 metri.
Anche Schito ammette che in assenza di metodi alternativo, l'unica è abbattere.

L'indagine della procura si basa sul fatto che non esista correlazione tra Xylella e disseccamento: ci sono ulivi col batterio dove non c'è disseccamento – racconta al giornalista il procuratore Motta, che non è voluto entrare nel merito dell'inchiesta.
L'intervento di eradicazione non avrebbe senso, come gli altri provvedimenti messi in atto in regione: non sappiamo nemmeno da quanto tempo il batterio è nel Salento, che sarebbe presente da tanto tempo.

C'è un problema legato alla gestione scientifica? Sarebbe servita una maggiore umiltà, per cercare un confronto, per trovare una soluzione, non solo quella radicale.
L'Europa ha detto che si deve continuare ad abbattere: ma potrebbe essere stata messa in errore, perché le sono stati dati inattendibili.

I soldi sono stati impegnati per l'abbattimento, per l'emergenza, solo una minima parte sono stati impegnati per la ricerca e niente per le cure.

Il ricercatore Lops, sta provando prodotti fito-sanitari con risultati incoraggianti: usa concimi, induttori di resistenza, stimolanti. Gli ulivi sembrerebbero riprendersi, ma serve una sperimentazione.

Altra ricerca quella del ricercatore Scortichini: in laboratorio è riuscito ad eliminare la Xylella e i sintomi del disseccamento.

L'oliveto dell'avvocato Conte è stato uno dei primi ad ammalarsi: è convinto che alla base ci sia l'avvelenamento dei terreni, per l'eccessivo dei diserbanti e per l'avvelenamento della faida.
I terreni sono poveri di minerali, di sostanze organiche: tutta colpa dello sfruttamento dei terreni.
Oggi c'è la Xylella, domani potrebbe esserci un'altra malattia perché le piante sono deboli.

Potature, terreni rimineralizzati, sostanze organiche nei terreni: nel Salento non serviva tagliare le piante, ma curarle: anche per questo il piano Siletti è inapplicabile, perché non si può tagliare tutte le piante, comprese quelle nei giardini.

Inoltre curare le piante costa meno che tagliarle: perché lo Stato non spende i soldi per curare le piante, allora? 50-60 euro a pianto potrebbero essere sufficienti all'anno, a pianta, dice un coltivatore. Alla fine, la burocrazia ha ammazzato più ulivi della Xylella.

L'attacco alla scienza.
Il direttore del CNR Accotto è il responsabile dei ricercatori ora indagati: si dispiace di vedere che le persone che per anni si sono dedicati alla malattia dell'ulivo ora si trovino indagate.
C'è stato, da parte della procura un attacco alla scienza? - ha chiesto il giornalista. Un attacco no, ma l'inchiesta è un po' troppo, “forse la procura ha seguito troppo le opinioni di persone della zona, legate ad associazioni”.
In realtà anche la procura ha usato la scienza, come i ricercatori del CNR della regione: perché dovrebbe essere meno autorevole rispetto a quelli che dicono che si deve abbattere?

Il batterio della Xylella si deve contenere, per non rischiare la fine di tutta l'ulivocultura: si abbatte in attesa di capire qualcosa di più del batterio e che si trovi un rimedio.
La malattia che ha attaccato l'ulivo però non va confuso con la Xylella fastidiosa: nelle piante morte è stato trovato il batterio ma non sappiamo se questo sia la principale causa della sua fine.
Le decisione sono del livello politico – dice il ricercatore – la scelta di abbattere è del politico.

Peppe Laganà ha letto le carte della procura: si indagano gli scienziati non in quanto tali, ma per il loro ruolo di consulenti. Il cuore dell'inchiesta è capire se è vera emergenza e se la Xylella è la vera causa della malattia.
In gioco c'è tutta la produzione dell'ulivo nel Mediterraneo.

Le truffe nei fondi europei
Nel secondo servizio, Antonella Pusceddu ha raccontato come parte dei soldi europei per l'agricoltura siano finiti nelle mani della mafia.
Il servizio è partito dal documentario “Fondi rubati all'agricoltura” che racconta la guerra degli agricoltori per tenersi la terra, perché è con la terra si prendono i fondi europei.
La terra gli viene loro tolta con le intimidazioni e dietro ci sono le organizzazioni criminali: i proprietari delle terre si sentono minacciati, osservati da persone che girano attorno alle loro proprietà: lo scopo è cacciarli dalle loro terre perché più terra hai, più fondi prendi, anche se non lo lavori. Così, nell'interno della Sicilia trovi ettari di terreni non coltivati, recintati e lasciati a pascolo.

Il presidente del parco degli Ebrodi, Antoci, deve girare sotto scorta: la sua colpa è aver tolto i terreni ai mafiosi, tra Messina ed Enna. Terreni che, per anni, fruttavano ai boss anche 500mila euro in fondi europei.
Ora tutti quelli che vogliono i terreni del parco devono avere la certificazione antimafia: si deve essere certi che le persone che vogliono quei terreni non hanno niente a che fare con la mafia.

È brutto scoprire che, per anni, l'UE ha finanziato la mafia, senza che nessuno se ne accorgesse, a Roma e a Bruxelles. E la mafia non rischiava niente, in questo business.
Sarebbe bastato controllare, anche a campione, sui destinatari dei fondi: c'è stata la compiacenza a livello locale e nazionale, all'AGEA, al ministero di Roma.
I truffatori prendevano fondi anche per terreni che non erano loro, come quelli dell'aeroporto di Trapani: tutte le richieste partivano dai centri di assistenza agricola, gli operatori individuavano le particelle che non avevano fatto domanda di fondi e la usavano in modo fittizio, all'insaputa dei proprietari.

I fondi sono arrivati a Salvatore Seminara, presunto boss, che ha intascato fondi per centinaia di migliaia di euro: nessun controllo è stato fatto dai centri di assistenza (CAA), che, spiegava l'impiegato, non ha gli strumenti per fare le verifiche. “Per noi è un soggetto qualsiasi” .
L'AGEA avrà fatto i controlli allora?

Anche il fratello di Totò Riina ha preso dei fondi europei.
AGEControl è la società pubblica che dovrebbe fare i controlli sui fondi: ma al centro rispondono che per i tagli, i controlli non si possono più fare.
Ci sono al massimo due persone – dice il responsabile a Palermo.

In Sicilia arrivano 5 miliardi, dei 50 miliardi che spettano all'Italia per l'agricoltura: l'ARSEA, la società regionale di controllo che doveva partire è oggi chiusa, rimane solo il direttore, parcheggiato in un ufficio della regione.
Così in Sicilia si scopre (ma è questa la parola giusta) che boss mafiosi si sono presi fondi europei, mentre agricoltori onesti ancora devono prendere i soldi per gli indennizzi per dei danni.

Casi analoghi si sono verificati in Puglia e Calabria.
La giornalista di Presa diretta è salita fino a Roma, all'AGEA: di questa società Presa diretta se ne era occupata nell'inchiesta sulle quote latte, quando aveva scoperto che nel database erano registrate più mucche di quelle reali.
Agea andrebbe chiusa e inglobata nel ministero, si diceva, ma l'ex commissario straordinario Iannelli è durato solo 7 mesi …


All'Agea non hanno accettato l'intervista, hanno mandato a Presa diretta solo un dossier: un po' poco per una società pubblica, pagata dai contribuenti.

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