31 dicembre 2016

L'anno del criceto

Avete presente il criceto? L'animaletto che si affanna dentro la gabbietta per far girare la ruota.
Per molti, questo è stato l'anno del criceto.
Tanto affannarsi, tanta fatica, tanto girare per niente.
Affannarsi per inseguire dei risultati che poi alla fine nemmeno si ricorda più.
Affannarsi per scappare da un pericolo.

Una volta era il pericolo della crisi.
Poi quello del terrorismo.
Poi quello dell'invasione degli immigrati.
Il terrorismo islamico, gli italiani che non ne possono più dei profughi e degli immigrati, l'insicurezza, i furti nelle case. Come siamo arrivati a tutto questo guardarsi indietro, a non potersi fermare mai, a non poter guardare al futuro per immaginare un mondo diverso?
La Oxford university ha coniato un termine per definire per definire il mondo delle informazioni, nell'epoca di Trump e della Brexit. La post-verità.
Non importa che la notizia sia vera, importa che la notizia sia virale, che il messaggio che porta con se sia facilmente comprensibile e che colpisca l'emotività delle persone.
Usciamo dall'Europa.
Torniamo alla lira.
Mandiamoli tutti a casa.
Alziamo i muri contro (i terroristi? I profughi? Tutti gli immigrati?)

E' così urgente il tema, nell'Italia della crisi, delle banche che stanno andando all'aria, dei poveri sempre di più e sempre più poveri, che il presidente dell'antitrust, in un'intervista al Financial Times ha proposto la creazione di una rete di agenzie governative (che rispondono ai governi, anche quello italiano) per filtrare le bufale. Le fake news che infestano il web.

Si punta il dito sulla luna e lo stupido guarda il dito.
Come mai tante persone sono disposte a credere a quello che leggono sui social (il 50% degli europei si informa così, in America siamo al 61% raccontava Saviano l'altra sera ad Imagine 2016)?
Forse perché il problema sta nella credibilità dei giornali, degli organi ufficiali di stampa, dei governi.
Perché, se un presidente del Consiglio racconta che i voucher non sono un problema, vanno solo regolamentati, può essere creduto da qualcuno, ma non dalle persone che invece lavorano con questo strumento devono vivere e lavorare.


Scrive Marta Fana sul Fatto quotidiano di oggi, che nel 2016 sono stati venduti 121 ml di voucher, corrispondenti a 50000 lavoratori full time, ma senza alcun diritto sociale.
E potremmo proseguire sulla Buona scuola, che è stata buona solo nella narrazione governativa mentre invece si è dimostrata molto imperfetta per gli insegnanti e le famiglie.

Le persone sanno se lavorano o no, jobs act o meno, dati dell'Istat o meno.
Le famiglie sanno come qual è la situazione nelle classi, a prescindere dai dati entusiasti del precedente governo e del presente, che lavora in perfetta continuità, nessuna autocritica.

Ma possiamo anche alzare le sguardo dal presente.
Vi ricordate quel presidente del consiglio che aveva raccontato la bufala di Ruby nipote di Mubarak?
Quello che non avrebbe toccato la Rai, che era un editore liberale, che aveva promesso meno tasse, un milione di posti di lavoro. Cosa sono state queste notizie, raccontate e amplificate da TG, giornali e pure internet?

Alzando ancora di più lo sguardo, la notizia spacciata dai governi, americano e inglese, delle armi di distruzione di massa di Saddam, è una fake news o no?
Le notizie sui finti ribelli siriani, quelli che combattono contro Assad e che sono dei terroristi spesso armati dai governi occidentali, sono anche queste fake news?
Come tanti criceti, abbiamo continuato a correre dentro la gabbietta, perché c'era il debito che saliva, perché c'era lo spread, perché senno arriva il terrorista (e dobbiamo essere tutti controllati), perché altrimenti arrivava il rumeno e ti portava via il lavoro (come i dipendenti Almaviva hanno scoperto), oppure il cinese, perché sono più competitivi, perché il costo del lavoro è più basso, perché non ci sono sindacati, articolo 18 …

E poi il debito pubblico sale. E salirà ancora perché si devono salvare le banche e anche Alitalia e anche le altre grandi opere utili solo a chi le realizza..
Il terrorismo non è stato sconfitto. E dobbiamo abituarci ai soldati, alle telecamere (eh bè, fa niente), ai trojan di stato.
Il lavoro nero non è diminuito (ancora aspettiamo che il ministero dia i numeri per confortare la sua tesi) dai voucher e i contratti a tempo determinato sono rimasti (e non diminuiscono).
La crisi delle banche (per i crediti concessi con troppa facilità ad imprenditori amici) è lungi dall'essere risolta: a proposito, la crisi di MPS verrà risolta con un intervento pubblico. L'uscita di Matteo Renzi sulle azioni della banca senese da comprare perché un affare dove va classificata?

Mentre in Italia ci scagliamo poveri contro poveri, non è stata trovato un accordo di pace per la Siria e nemmeno una soluzione a livello europeo per l'accoglienza.
La proposta del migration compact del governo Renzi è rimasta lettera morta e ora il Renzi bis ha ritirato fuori i CIE.
Perché in questa continua corsa a destra, in fondo a destra, non ci si deve far superare da Salvini e Le Pen.

Siamo in una situazione di guerra perenne, come in 1984 di Orwell dove, non a caso, esisteva un ministero della verità che stabiliva che notizie dovessero circolare o meno.


Nei giorni passati, nei giorni caldi in cui si discuteva di MPS, era uscito questo articolo per Repubblica: “Più poteri alla Consob per fermare Vivendi”.
Un privato che cerca di scalare un'altra azienda privata (che nel settore televisivo lavora in regime di semi monopolio) e Consob deve vigilare?
Su cosa?
Forse Consob avrebbe dovuto vigilare sulla questione dei diamanti venduti dalle banche, come investimento (l'inchiesta di Report aveva raccontato le storture del sistema).
Oppure sulle obbligazioni vendute dalle banche popolari.

Vi rendete conto che, per i truffatidelle popolari, questi enti (Consob, Bankitalia, lo stesso ministero di Padoan) non sono più credibili, come non sono credibili i giornali che danno questo racconto dei fatti?

E ora dovremmo prendercela con le bufale che escono in rete? Con una rete di agenzie “pronte ad intervenire e rapidamente se l'interesse pubblico viene minacciato”: ovvero trasformare la rete internet come la Rai, facendo diventare l'Italia come la Cina.
La rabbia della gente, il distacco dai media tradizionali, la perdita di credibilità spinge così in molti a cercare le notizie altrove.
La soluzione dovrebbe essere unamaggiore indipendenza dal potere (politico e finanziario) come scrive nel suo libro Raffaele Fiengo, altro che post democrazia col monitoraggio del web.
Sembra di rivivere la storia della sovrana che di fronte al fatto che “il popolo non ha pane” rispose dicendo “e che mangino brioches”.
Sappiamo come è andata a finire.

Un'ultima cosa, a proposito del populismo e dell'ostilità diffusa contro gli immigrati.
Ero in bici, in un sentiero in mezzo ai boschi dove c'è il divieto di far entrare i cani, anche se col guinzaglio.
Incrocio una coppia di signori, gente per bene, a spasso con una coppia di cani.
Ci mettiamo a parlare.
“Ma lo sa che l'altro giorno, abbiamo incontrato un signore che ci ha detto che qui i cani non possono entrare .. ”
“Era un rumeno .. ma come voi non rispettate le leggi e venite a dirci a noi cosa fare ..”.

Lo ripeto, erano persone gentili, educate, per bene.
Eppure, per loro, il rumeno che gli ricordava delle leggi (anche se discutibili lo ammetto), era solo uno straniero che non le rispetta, che chissà come vive..
Tutto ciò per dire che questo clima, da guerra tra poveri, di guerra perenne, di affannarsi per un obiettivo che non arriva (almeno per tutti), ha portato ad una specie di razzismo (e di superficialità di giudizio) che è ben dentro gli italiani.
Salvini è solo la punta dell'Iceberg.


E ora, buon 2017.

30 dicembre 2016

Il cuore del potere, di Raffaele Fiengo

Il Corriere della Sera nel racconto del suo storico giornalista.

Leggendo il libro di Raffaele Fiengo sui quasi cinquant'anni di storia del Corriere, si comprende come la parola “cuore” nel titolo abbia qui una duplice valenza.
Il cuore, ad indicare la passione con cui il giornalista, e anche rappresentante sindacale, ha svolto il suo lavoro di giornalista, non un lavoro qualsiasi, a qualsiasi prezzo per un giornale qualsiasi.
Ma cuore è inteso anche nel senso di parte centrale nel potere: una democrazia è veramente tale se i suoi cittadini sono persone informate, libere, consapevoli dei diritti e con tutti gli strumenti a disposizione per giudicare chi governa.
L'informazione sta alla democrazia come il famoso canarino della metafora di Gore Vidal, che avvisa il minatore quando l'aria non è più respirabile.
Questo spiega l'importanza di una libera informazione e, di riflesso, i continui attacchi subiti dal Corriere stesso, nel corso della sua vita: ai tempi del primo fascismo, quando direttore del giornale era Luigi Albertini, ma anche gli attacchi più recenti, che costarono la testa del direttore Ferruccio De Bortoli (due volte), per gli attacchi da Palazzo Chigi.

Ma gli attacchi possono avvenire anche in modo più subdolo, come quando dentro il Corriere si allungò l'ombra della Loggia P2 di Licio Gelli. Quando l'indipendenza del direttore e dei giornalisti fu messa in discussione, quando la proprietà vera del giornale si discosta da quella ufficiale, grazie a giochi societari, azioni passate da una mano all'altra.

Per difendere questa indipendenza, che è anche la nostra garanzia come cittadini, Raffaele Fiengo si inventò nel 1973 la “società dei redattori” all'interno del gruppo:
aveva la forma di una «società a responsabilità limitata», una SRL. Ogni giornalista entrava pagando una cifra simbolica, 5000 lire. Attraverso una possibile intesa con Giulia Maria Crespi [l'editore nei primi anni '70], i redattori avrebbero potuto prendere una quota nominale della proprietà per ancorare la valutazione giornalistica alcuni atti dell'amministrazione che potevano essere significativi per il giornale”.

Nel 1974, assieme al nuovo direttore Piero Ottone (che aveva preso il posto di Giovanni Spadolini, “licenziato come un lacché” dalla proprietaria Giulia Maria Crespi) vede luce lo “statuto dei giornalisti”:
un documento formale, il primo di questo genere in Italia, in cui la proprietà del giornale – e, in quella fase storica, quando si parla di proprietà si parla anche di editore – mise per iscritto un impegno ad accettare la consultazione preventiva nella nomina dei direttori”.

Erano gli anni in cui si assisteva ad una guerra per prendersi i giornali in Italia: sul Corriere si estendevano le mire di Cefis e della sua Montedison, una figura che faceva poco piacere a giornalisti come Fiengo, che già possedeva Il Messaggero a Roma.
Gli Agnelli possedevano la Stampa (detta la bugiarda, sebbene la famiglia Agnelli abbia sempre dato garanzie di libertà ai suoi direttori).
Il gruppo Sir di Rovelli si comprava La Nuova Sardegna.
Attilio Monti aveva Il resto del Carlino e La Nazione a Firenze..

Le mire di Cefis vengono bloccate nel 1973 quando nel capitale entrano Agnelli e Moratti, sulla prima pagina del 29 maggio 1973 si potevano leggere i comunicati dell'editore Crespi, il comunicato del Comitato di Redazione e un editoriale “Liberi come prima”: è la famosa Magna Charta, dove veniva messo nero su bianco “indipendenza delle pubblicazioni e dei giornalisti da ogni gruppo di pressione”.

Se un giornale è libero da condizionamenti è più forte sul mercato, specie oggi quando le informazioni arrivano da tutte le parti anche gratuitamente: per essere credibile, deve dare informazione di qualità, sia su carta che sulla rete.

Credibile in che senso?
Sono gli anni della conduzione del liberale Ottone, in cui sulle pagine del Corriere compaiono in serie gli articoli di Pier Paolo Pasolini (“Io so ..”, “Perché un processo..”...), la serie di inchieste di Giampaolo Pansa sui padroni della città e il clientelismo al sud dei signori dei voti (Gava, De Mita).
Sebbene l'articolo Che cos'è questo golpe fosse rimasto nel cassetto del direttore Ottone per diversi giorni, alla fine fu pubblicato, anche per le insistenze di Fiengo, che procurò al direttore un articolo di Prezzolini per pareggiare i conti.

L'arrivo dei Rizzoli.
Nel 1974, oltre all'uscita dal Corriere di Montanelli (assieme ad un gruppo di giornalisti), si registra l'ingresso nel Corriere dell'editore Rizzoli, che subentra alla Crespi come proprietario, ma, lo si scoprirà poi, è solo una questione di facciata. Dietro ci sono i soldi della Montedison.
Come si scoprirà poi che, nell'accordo tra Rizzoli e Montedison scoperto da Fiengo mentre era consulente della Commissione P2, si stabiliva che Rizzoli Spa “si impegna a nominare il responsabile del settore economico del Corriere in persona gradita a Montedison”.
Non solo, Fiengo, scopre che il Corriere si impegnava a sostenere “l'attività industriale e commerciale di Montedison Spa e dell'interno del gruppo..”.
Altro che indipendenza.

Gli anni della conduzione di Franco di Bella, degli articoli firmati da Maurizio Costanzo, delle notizie dal sudamerica che spariscono. Delle autointerviste a Craxi e dell'intervista a Licio Gelli, preparata come un pacchetto tutto compreso coi sottotitoli da Costanzo.
Gli articoli firmati da Silvio Berlusconi e presentati come un qualsiasi editoriale economico finanziario.
Come è stato possibile che non ci siamo accorti di quanto stava avvenendo – questa la giusta riflessione di Fiengo (e di altri giornalisti come lui in quegli anni in redazione).

Gli articoli che, con tono di sfiducia, tendevano a raccontare in modo espressamente negativo scuola e sanità. Gli elogi ai generali e all'esercito, che venivano presentati come moderni manager tesi a salvare le vite umane dopo il terremoto in Irpinia o a riportare la democrazia in Argentina.
E anche altri episodi che letti con calma, fanno venire la pelle d'oca: le telefonate di Fiengo che venivano registrate a sua insaputa, Antonio Padellaro che fu scortato da uomini di Gelli dopo una serie di articoli pubblicati sul sequestro Moro.

Nessuno si accorse dell’inquinamento sotterraneo che stava inficiando l’autorevolezza del Corriere: fino all'inchiesta dei magistrati Turone e Colombo, la perquisizione a Villa Wanda, la scoperta delle liste dei membri della Loggia P2, quei 963 nomi in cui comparivano generali, banchieri, giornalisti (tra cui Costanzo, Trecca e il direttore Di Bella), politici, imprenditori (come Berlusconi), ministri ….
Lista che venne pubblicata anche dal Corriere, si, ma con quei nomi messi uno accanto all'altro, senza una classificazione che aiutasse il lettore, un modo per dare la notizia ma renderla illeggibile.
Di Bella che era il capo cronista già citato da Fiengo per Piazza Fontana: era lui, assieme a Zicari, che aveva portato al Corriere dell'informazione la pista del ballerino anarchico, Pietro Valpreda, come autore della strage. Il mostro sbattuto in prima pagina...

Il dopo Di Bella, fu affidato al collega Alberto Cavallari che, per le cronache relative alla P2, decise di affidarsi ai lanci dell'agenzia Ansa:
Per decisione del nuovo direttore, e con il consenso dell’organismo rappresentativo dei giornalisti, questo lavoro quotidiano fu svolto dall’Ansa, in quanto la si riteneva più libera, non condizionata, rispetto allo stesso Corriere della Sera”.
Una scelta difficile che testimonia delle difficoltà del giornale in quei mesi, in quei anni.

Da Cavallari ad Ostellino e poi a Ugo Stille: nel 1998 fino all'arrivo come presidente di RCS al posto di Ronchey, anche grazie ai soldi della generosa buonuscita dalla Fiat, 105 miliardi di lire in contanti, che gli consentono di dire ai giornalisti “La garanzia dell'indipendenza del Corriere della Sera sono io!”.
Non a caso, il capitolo dedicato a questi anni si chiamaIl giornalismo in cerca di sé stesso”, dopo lo scandalo P2: nuovi modelli che sono quelli ispirati al modello liberale di cui parlava Luigi Einaudi.
La chiave del giornalismo è la sua indipendenza: indipendenza garantita da un comitato di fiduciari
composto da uomini di provata stima – con l'obbligo di approvare o meno la nomina di nuovi direttori e ogni trasferimento di azioni, assicurando in tal modo l'avvenire dei giornali.”.

Qualcosa di non molto lontano dal modello che lo stesso Raffaele Fiengo aveva in mente, lui che veniva considerato dagli avversari capo del “Soviet del Corriere della Sera”.
Anche in anni più recenti non sono mancati gli attacchi, contro l'ex direttore De Bortoli, dimissionario due volte da direttore nel 2003, il primo (per mano delle pressioni del secondo governo Berlusconi), il secondo nel 2015 per le pressioni del governo Renzi dopo un editoriale dove parlò dello stantio odore massonico nel suo governo.

La seconda parte del libro è invece dedicato al presente del mondo del giornalismo. Quali sono le forze in campo che si scontrano, con obiettivi diversi: il difficile rapporto con la pubblicità, l'informazione di confine, cioè quella pubblicità che viene presentata dai giornali come se fossero articoli comuni.
La difficoltà nel tenere separata la newsroom dal marketing, con quel muro (“the wall”): Fiengo cita diversi casi, come le pagine comprate dalle aziende dolciarie per difendere l'uso dei coloranti negli alimenti, pagine presentate come normali pagine normali.
Le inserzioni pubblicitarie comprate da Tod's ai tempi di Luna Rossa (sponsorizzata dal marchio Prada), che costrinse il giornale ad avere due pagine dedicate alle regate, per poter consentire la presenza delle inserzioni dei due marchi.

Quali i fondamenti di un giornale?
La carta, le rotative con cui si stampano le copie: un giornale che deve stare al centro della comunità (le rotative del Washington Post sono visibili dalla strada, ricorda l'autore).
L'importanza nel salvare le radici del giornale, come la sede storica di via Solferino che i giornalisti cercarono di salvare dalla speculazione immobiliare (che ha portato alla vendita del palazzo al fondo Blackstone). L'importanza dell'archivio del giornale, come patrimonio del giornale e del paese.
E la sincera diffidenza verso l'integrazione tra giornalismo e mercato: mescolare alto e basso nella cultura, non avere paura ad aprirsi ai conflitti, il revisionismo storico ..

Il giornalismo che non c'è e il giornalismo (forse del futuro).
Alla base di una buona parte dei problemi di questo paese c'è la questione di un “giornalismo che non c'è”: ci sono i giornalisti, ci sono i giornali, ma ancora manca la cultura del giornalismi di informazione, libero e indipendente.
Fiengo ricorda diversi episodi di questi anni: la mancanza in Italia di un vero Freedom of Information act, come esiste in America dai tempi di Lyndon Johnson nel 1966.
Mancanza che è stata in parte superata grazie alla riforma Madia del governo Renzi, nel 2016 (il Foia4Italy): una riforma che consente l'accesso agli atti della pubblica amministrazione senza l'obbligo di una motivazione. Pur con tutti i limiti della riforma, un mezzo miracolo.
La difficoltà nel pubblicare la biografia dei membri della Camera, in modo da raccontare ai futuri elettori chi fossero gli eletti grazie alla legge “Porcellum”, nel 2009.
Il Parlamento degli inquisiti, dei nominati dalle segreterie, del voto per “Ruby nipote di Mubarak”, delle leggi ad personam per favorire l'allora Presidente del Consiglio e i suoi interessi.

Il muro tra newsroom e marketing che si è voluto abbattere dentro Il New York Times nel 2014, per contrastare la diminuzione della pubblicità, e che è costato il posto a Jill Abramson che aveva voluto che ogni pubblicazione sponsorizzata fosse indicata chiaramente al lettore.

Il giornalismo che diventa narrazione e non più sola informazione: il caso Expo è l'ultimo degli esempi. Il giornalismo non era più l'attività principale, nei mesi di Expo, dove 50 ml di euro sono stati investiti dalla società (i cui conti ora sono stati ripianati anche dall'intervento del governo): “si è registrato uno scivolamento indubbio verso il prevalere dell'evento, della fiera, sui contenuti di fondo”.

Il futuro del giornalismo.

Il 2016 è stato l'anno della Brexit, dell'elezione di Donal Trump a presidente degli Stati Uniti, della minaccia del terrorismo che ha condizionato la politica dei paesi europei.
Dopo il crollo del muro di Berlino altrettanti muri si sono innalzati in Europa contro i migranti.
Le destre xenofobe si sono risvegliate e i governi delle democrazie devono tener conto, nelle loro scelte (coraggiose le parole della cancelliera Merkel dopo l'attentato di Berlino).
L'anno delle post verità e del populismo: non è importante la verità della notizia in sé, che le persone trovano sui social sempre più spesso (in America si informa sui social network almeno il 63% delle persone, in Europa siamo al 50%).

Come ci difenderemo dal populismo, dai partiti di estrema destra, dai fascismi, dalle chiusure e dai muri?
Prendo spunto dalla recensione che trovate sul sito dell'Ordine dei giornalisti, a cura di Antonio Andreini, che cita le ultime righe del libro:
Raffaele Fiengo, porta a soccorso, nelle ultime due righe del libro, una metafora: "Il giornalismo deve arrivare, come l'acqua, all'ultimo campo di riso". Gli ho chiesto di spiegarmela. Mi ha dato un breve testo di programma che aveva mandato una volta a tutti i redattori di via Solferino: “Nei villaggi di montagna, a Bali, i contadini badano bene di affidare la gestione dei campi di riso al proprietario dell'ultimo campo a terrazza raggiunto dall'acqua. Questa organizzazione della comunità (il "Subak") funziona bene e assicura due raccolti l'anno per tutti. Ognuno è sicuro che sarà fatto davvero quel che serve (piccole chiuse, gallerie, rimozione dei detriti e del fango, acquedotti sotterranei e all'aperto, scolmatoi) perché l'acqua possa compiere l'intero percorso e toccare anche il suo campo, senza fermarsi ad irrigare solo i terreni dei potenti e degli amici dei potenti”. Una metafora forse buona per capovolgere la Brexit, Trump e anche l'angoscia per l'Italia. Con il giornalismo.
(Antonio Andreini)

Gli altri post sul libro di Raffaele Fiengo “Il cuore del potere”

La scheda del libro sul sito di Chiarelettere e sul sito dell'Ordine dei giornalisti

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

29 dicembre 2016

L'indipendenza del giornalismo – da Il cuore del potere

La vera chiave del giornalismo è l'indipendenza del giornale: sta qui il suo valore aggiunto, la sua credibilità, il fatto che sia letto e non perda copie.
Che crei dei cittadini consapevoli, informati, non sudditi dentro un sistema feudale: questa la convinzione di Raffaele Fiengo, esposta nel suo libro Il cuore del potere”, un racconto della sua vita come giornalista nel Corriere.
Fiengo, in merito all'indipendenza i un giornale, cita la soluzione proposta da Luigi Einaudi (primo presidente della Repubblica):
Einaudi era convinto che fossero i privati a dover trovare gli strumenti per garantire l'indipendenza nell'informazione. Per fare questo si richiamava all'esperienza di un giornale britannico [..] l'Economist”.

Dopo la Seconda guerra mondiale (e la presa da parte del fascismo del Corriere e degli altri mezzi di informazione), Einaudi scriveva questo sul “futuro della stampa italiana”
Il momento attuale offre un'occasione insperata per adottare in Italia un metodo che credo abbia avuto inizio dapprima in Gran Bretagna, quando le aziende del «Times» e dell'«Economist» passarono dalle famiglie Walter e Wilson nelle mani di società per azioni. Si ritenne necessario garantirsi che questi istituti di fama mondiale non avessero a diventare proprietà di gruppi, finanziari o di altra specie, gli interessi dei quali potessero imporre direttive contrarie all'interesse pubblico.Fu creato un comitato di fiduciari (board of trusters) – composto da uomini di provata stima – con l'obbligo di approvare o meno la nomina di nuovi direttori e ogni trasferimento di azioni, assicurando in tal modo l'avvenire dei giornali.

Questo avrebbe salvato il Corriere dall'assalto della P2, quando il controllo della proprietà, passò dai soci accomandatari, ai proprietari delle azioni, le banche creditrici come il Banco Ambrosiano (e lo Ior, che prese le azioni come credito dei soldi dati a Calvi).
Un giornale indipendente dai gruppi economici (o peggio, da logge occulte come la P2, fuori dall'alveo costituzionale), ma anche dall'influenza dei partiti.
Einaudi, nel 1926, scriveva queste parole al direttore del Corriere Albertini:
[Il giornale] deve essere indipendente dal credo dei partiti politici. Il pubblico non vuole vedere ripetuto il programma del partito che conosce già; ma l'opinione specifica del giornale su questo o quel problema, ispirata dalla considerazione del problema in sé. È bene o è male questo o quest'altro? Non: è bene o è male dal punto di vista del partito? Per questa seconda via perderebbe circolazione.Perciò deve essere indipendente dai gruppi finanziari. Perderebbe circolazione.[La lettera è ripresa dal libro di Massimo Mucchetti Il baco del Corriere]

Questo è il modello di giornale di Einaudi e questo è il modello che Raffaele Fiengo ha cercato di portare dentro il Corriere: da qui sono nate le sue iniziative come la "società dei redattori" nel 1973 (con cui acquistò alcune azioni del Corriere per potere intervenire nelle assemblee dei soci), da qui è nato assieme a Piero Ottone lo "Statuto dei giornalisti".
Continua sull'argomento:
“Sono anche convinto che l'attuale impasse della società italiana abbia proprio nell'informazione il suo punto critico. In Italia manca proprio l'opinione pubblica. Non si forma (come invece avviene negli Stati Uniti, e anche altrove) a causa di una sostanziale non indipendenza di stampa e tv, dei media. Non c'è nessuno che credibilmente parli a tutti. La televisione pubblica, per esempio, è ben lontana dal modello BBC, importata ora in parte anche dalla Spagna”.

Gli altri post sul libro di Raffaele Fiengo “Il cuore del potere

28 dicembre 2016

La P2 nel Corriere – Il cuore del potere

A cominciare dal 1976 e poi in modo più deciso nel 1977 con la nomina di Di Bella come direttore al posto del liberale Ottone, la P2 entra dentro il Corriere.
I segnali per comprendere l'inquinamento alla libera informazione e, dunque, per la democrazia, c'erano tutti a volerli vedere, racconta Raffaele Fiengo nel suo libro sulla storia del Corriere (“Il cuore del potere”, Chiarelettere editore).
C'erano i cambi statutari delle società che detenevano le azioni, c'erano la nomina a direttore generale di Bruno Tassan Din, c'erano i debiti verso il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi (che dietro aveva la mafia e la massoneria).

Giovanni Spadolini, direttore del «Corriere» dal 1968 al 1972 e poi presidente del Consiglio e parlamentare, disse a Raffaele Fiengo
"Vedi, Raffaele, le tue sembravano denunce esagerate. In verità erano errate per difetto... Con la P2 sono arrivati in via Solferino i soldi della mafia e anche uomini espressione di quel mondo."Spadolini aveva preso con me il discorso su P2-soldi della mafia perché a quella cerimonia per il 25 aprile era presente Tina Anselmi, presidente della Commissione parlamentare sulla Loggia P2.  Fiengo, allora nel sindacato interno, racconta alcuni episodi di questo fase buia del Corriere.

Berlusconi e la scelta di di Bella
«A convincere Franco Di Bella a sostituire Piero Ottone alla direzione del Corriere della Sera è Silvio Berlusconi al ristorante Il Pappagallo di Bologna. Berlusconi e il nuovo direttore del 'Corriere' sono entrambi nelle liste della P2. Di Bella, lo scriverà nel 1982, ammira in lui 'la profonda cultura e una franchezza spontanea'.»Un Berlusconi ben presente (e importante) nelle faccende del 'Corriere' molto prima di quanto si pensi. Una conferma l'ho avuta da una testimonianza diretta.
La sera prima dell'uscita dell'Occhio, destinato a essere la punta di diamante dei progetti piduisti sul terreno del populismo, la prima pagina fu pensaa non in via Solferino, ma all'albergo della pensione Excelsior Gallia.Lì Maurizio Costanzo aveva il quartier generale per il varo dell'iniziativa.Un fattorino fu mandato in tutta fretta a prendere la pagina per la tipografia. Lui stesso mi racconta: «Mi sono fatto annunciare in portineria, il primo a scendere fu Silvio Berlusconi. E subito dopo Licio Gelli in persona assieme a Maurizio Costanzo».

Ci sono i rapporti con l'Argentina dei generali: il corrispondente Giangiacomo Foà che viene trasferito in Brasile e invitato a non scrivere più nulla del clima politico.
La lista dei desaparecidos italiani, che è rimasta nel cassetto dell'ambasciata fino al 30 ottobre 1982, cosa che farà scoppiare un caso internazionale.
La lista fu pubblicata poi da Cavallari.
In Argentina, per i mondiali del 1978, doveva andare come corrispondente Enzo Biagi, con l'obbligo però di scrivere solo di calcio.
Non della dittatura, non dei quindicimila desaparecidos, non delle diecimila persona scomparse e torturate. Enzo Biagi rifiuta l'incarico e non va.
Ci sono gli articoli a firma Silvio Berlusconi, presentati non come l'opinione di un esponente del mondo dell'impresa ma con la forma di un articolo di fondo.
I sette editoriali senza firma, con l'occhiello “Le cose che non vanno”:
Bisogno di pulizia
La giustizia umiliata
La scuola rotta
Le piaghe della sanità
La polizia liquefatta.

Un linguaggio che non usciva dalle stanze di via Solferino, ma che venivano da fuori, cartelline che arrivavano al direttore Tassan Din, per prerarare il terreno nell'opinione pubblica verso una svolta autoritaria.

L'intervista di Gelli a Costanzo
L'intervista di Maurizio Costanzo a Licio Gelli, il 5 ottobre 1980.
Un'intervista già preparata da Gelli, con tanto di foto e sommario.

E l'intervista non firmata a Craxi il 30 settembre 1979: scrive Fiengo
Ho riportato il testo integrale nel rapporto per la Commissione P2 nel 1983. E ho trovato, molti anni dopo, nel libro di Benedetta Tobagi, Come mi batte forte il tuocuore, i dettagli in un appunto di suo padre Walter da lei trascritto 
30 settembre 1979. Il «Corriere» pubblica oggi un'intervista anonima a Craxi. Se l'è scritta Craxi da solo. Pilogallo mi racconta che il testo l'ha passato a Tassan Din e Angelo Rizzoli alle otto e mezzo di sera, i quali l'hanno consegnato a Di Bella. E Di Bella ha ritagliato le risposte, le ha incollate su altri fogli, scrivendo di suo pugno (meglio: ricopiando) le domande che Craxi s'era fatte da solo.
È vergognoso: sia per Craxi che per Di Bella.

27 dicembre 2016

I padroni delle città (da Il cuore del potere)

Prima degli scritti “corsari” di Pasolini, sul Corriere dedicò una serie di articoli ai signori delle preferenze, i politici che coi loro voti controllavano le città: ne parla Raffaele Fiengo nel suo libro “Il cuore del potere”
Nel 1973, sul Corriere venne pubblicata un'inchiesta in più articoli sul Potere nelle città, di Gianpaolo Pansa.Il primo articolo è dedicato a De Mita:
Avellino è l'impero della corrente democristiana di 'Base' controllata con mano ferrea ma abilmente moderna da un 'leader' di quarantacinque anni, che ha 127.000 preferenze e un ministero a Roma – La fitta rete di potere lascia agli avversari soltanto uno spazio di rappresentanza – Una provincia che produce soltanto emigranti, disoccupati e pensionati”.
Un altro articolo della serie è invece dedicato a Gava:Gava e Napoli. Napoli e Gava. In questi giorni si è scritto molto sul rapporto anomalo fra quella famiglia di politici e la loro città e sulla rete di potere che essa ha teso intorno alla capitale del sud. Ma anche in altre parti d'Italia è riscontrabile, sia pure in forme e con intensità diverse, il rapporto che fa di Gava il padrone o uno dei padroni di Napoli. Il neofeudalesimo è un fenomeno diffuso, nel Sud come al Nord, un fenomeno che altera il rapporto corretto tra il politico e il cittadino, e quindi tra il cittadino e lo Stato. Chi sono i neofeudatari, i «city boss», i padroni delle città? In quale forma esercitano il loro potere? Che cosa dicono e come reagiscono le loro città? L'inchiesta tenterà di dare qualche risposta...

Gli articoli sono del 1973, si parla dell'Avellino di De Mita e della Napoli di Gava (e della Palermo del ministro Gioia, della Calabria di Mancini...).
Ma potremmo parlare, oggi, della Benevento di Mastella, della Salerno di De Luca, della Roma degli amici di Alemanno (e De Mita è ancora un politico che fa pesare i suoi voti in Campania)  ..

Il feudalesimo è ancora il presente del Sud. E aspettando Cristo, ad Eboli si sono invecchiati. 

Pasolini al Corriere – quello che gli italiani vogliono sapere (da Il cuore del potere)

Raffaele Fiengo nel suo libro “Il cuore del potere” (Chiarelettere) dedica un capitolo anche alla collaborazione col Corriere di Pier Paolo Pasolini.
Articoli scritti tra il 7 gennaio 1973 (“Contro i capelli lunghi”) e il 28 settembre 1975, circa un mese prima di essere ucciso sul lungomare di Ostia.
È l'articolo sul Processo alla DC: scrive Fiengo

L'ultimo articolo sullo scottante tema, intitolato Perché un processo, è pubblicato sul «Corriere» il 28 settembre del 1975 ed è una risposta ad un editoriale del «la Stampa». È un testo impressionante ancora oggi, aggiunge ciò che, secondo Pasolini, gli italiani vogliono consapevolmente sapere:


Voi dite, cari colleghi della «Stampa», che a far sapere tutte queste cose agli italiani provvede il gioco democratico, ossia le critiche che i partiti si muovono a vicenda - anche violentemente - e, in specie, le critiche che tutti i partiti muovono alla Democrazia cristiana. No. Non è così. E proprio per la ragione che voi stessi (contraddicendovi) sostenete: e cioè per la ragione che, ognuno in diversa misura e in diverso modo, tutti gli uomini politici e tutti i partiti condividono con la Democrazia cristiana cecità e responsabilità. Dunque, prima di tutto, gli altri partiti non possono muovere critiche oggettive e convincenti alla Democrazia cristiana, dal momento che anch’essi non hanno capito certi problemi o, peggio ancora, anch’essi hanno condiviso certe decisioni.  Inoltre su tutta la vita democratica italiana incombe il sospetto di omertà da una parte e di ignoranza dall’altra, per cui nasce - quasi da se stesso - un naturale patto col potere: una tacita diplomazia del silenzio.  Un elenco, anche sommario, ma, per quanto é possibile, completo e ragionato, dei fenomeni, cioè delle colpe, non è mai stato fatto. Forse la cosa è considerata insostenibile. Perché, ai capi di imputazione che ho qui sopra elencato, c’è molto altro da aggiungere - sempre a proposito di ciò che gli italiani vogliono consapevolmente sapere. 
Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia stato il vero ruolo del Sifar. 
Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia stato il vero ruolo del Sid. 
Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia stato il vero ruolo della Cia. 
Gli italiani vogliono consapevolmente sapere fino a che punto la Mafia abbia partecipato alle decisioni del governo di Roma o collaborato con esso. 
Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia la realtà dei cosiddetti golpe fascisti. 
Gli italiani vogliono consapevolmente sapere da quali menti e in quale sede sia stato varato il progetto della «strategia della tensione» (prima anticomunista e poi antifascista, indifferentemente).  
Gli italiani vogliono consapevolmente sapere chi ha creato il caso Valpreda. 
Gli italiani vogliono consapevolmente sapere chi sono gli esecutori materiali e i mandanti, connazionali, delle stragi di Milano, di Brescia, di Bologna. 

Davvero una vergogna. Riscrivo queste righe di Pasolini la mattina del 17 novembre del 2010 con accanto il «Corriere» di quel giorno che annuncia l'assoluzione di tutti gli imputati nel processo, dopo centosessantasei udienza in due anni, e apre con una foto storica di Piazza della Loggia subito dopo l'esplosione della bomba (otto morti e centodue feriti). Il titolo è: Anche la strage di Brescia resta senza colpevoli. Il commento di Stajano (La nuova ferita) si apre con le parole «Che vergogna».
[Da Il cuore del potere, Chiarelettere]

Tutti questi articoli furono poi pubblicati da Garzanti in Scritti Corsari e da Einaudi in Lettere Luterane.
Cosa avrebbe potuto scrivere oggi?
Gli italiani vogliono consapevolmente sapere se ci sono stati accordi tra lo stato e la mafia nella stagione delle bombe 1992-93. 
Gli italiani vogliono consapevolmente sapere chi sono i finanziatori dei partiti, delle fondazioni. 
Gli italiani vogliono consapevolmente sapere chi detta la linea politica nel M5S, una società privata, i meet up, gli elettori.. 
Gli italiani vogliono consapevolmente sapere se devono rassegnarsi ad un futuro senza un'industria nazionale, dove si dovrà lavorare alla giornata. 
Gli italiani, le giovani generazioni, vogliono consapevolmente sapere se si dovranno rassegnare ad un futuro precario e a fare le valigie per andarsene via.

26 dicembre 2016

Le domande sul terrorista

La morte in uno scontro a fuoco con lapolizia del terrorista tunisino, ha fatto sorgere in parte del giornalismo italiano la domanda su cosa fosse venuto a fare Amri in Italia, cosa cercasse e con quali identità fosse andato a spasso in Europa.
Dagli anni '70, dal lodo Giovannone (o lodo Moro), questo paese è stato crocevia di gruppi di terroristi arabi.
Rosario Priore e Valerio Cutonilli ne hanno scritto recentemente, del lodo Moro, dell'arresto di una cellula del fronte FPLP, l'inchiesta e il processo sui missili di Cortona per arrivare alla bomba alla stazione di Bologna.
Vero, falso, non lo sappiamo.
Veri sono i morti di Bologna come veri gli attentati sul suolo italiano a Fiumicino, nel 1973 e nel 1985.
Veri anche i morti dei killer di Gheddafi che nella primavera estate del 1980 giravano l'Europa per far fuori gli oppositori al regime.
E i nostri servizi sapevano di queste azioni.

Basterebbe guardarsi indietro nella nostra storia, per non sorprendersi troppo.
E in merito ai documenti falsi, mi è tornato in mente quanto aveva scritto Roberto Saviano nel suo libro:

Avevano iniziato ad andare ad assistere al processo che i peli in faccia spuntavano radi e adesso qualcuno di loro teneva una barba da soldato dell'Isis.
E ancora ci andavano presentando le stesse carte d'identità false che avevano mostrato due anni prima, quando il procedimento era alle prime battute.
Perché là dentro si entrava, certo, ma solo se si era maggiorenni. Procurarsele era stato uno scherzo. La città si era specializzata nella produzione di carte d'identità false per jihadisti, figuriamoci per dei guagliuncelli che volevano entrare in tribunale..

Da La paranza dei bambini, di Roberto Saviano 

Se conoscessimo la nostra storia, se comprendessimo la pericolosità della criminalità organizzata (di cui ormai se ne parla sempre meno), forse avremmo già delle risposte in più.

25 dicembre 2016

Neve, cane, piede di Claudio Morandini

Le prime avvisaglie dell'autunno spingono Adelmo Farandola a scendere in paese per fare provviste. La mattina, uscendo dalla baita, vede attorno alla malga l'erba dei prati intrisa di brina che stenta a sciogliersi. Venti gelidi insistono lungo il vallone, si insinuano fin tra le pareti della baita, sembrano battere alla porta, di giorno e di notte. Le nuvole si ingrossano, gravano sulle cose, e niente le sfilaccia più delle pareti di roccia.Giù in paese, allora, prima che sia troppo tardi e una nevicata renda difficoltoso il cammino.

Un vecchiaccio, le montagne e un cane che fa da compagnia all'uomo. Sullo sfondo i rumori del vento, della neve che si muove, gli odori della montagna.
E, ancora più sullo sfondo, un paese e i suoi abitanti, da cui il vecchio va a prendere le provviste per l'inverno.
Fanno compagnia ad Adelmo Farandola, che vive solo da anni, i suoi ricordi, spesso sbiaditi, di un passato lontano che si mescola al passato prossimo, rendendo la sua vita un eterno presente scandito solo dal passare delle stagioni.
I ricordi del fratello.
I ricordi della guerra e di quando i tedeschi rastrellavano la valle alla ricerca di renitenti e partigiani coi loro “pesanti cappotti grigi”.
Ricordi di persone conosciute tanti anni fa.
Ricordi dell'infanzia, di quella casa sotto i cavi elettrici, che facevano impazzire tutti..

Adelmo Farandola è un uomo, solo, il cui sporco gli è diventato una seconda pelle, i cui sapori scivolano via dalle papille gustative senza lasciare quasi alcuna emozione.
Un uomo solo, di quelli che non amano i curiosi, i signori che dalla città salgono in valle in cerca di formaggi di malga, di oggetti tipici. Curiosi scacciati via col muto silenzio e con qualche sassata se serve.
Silenzi e qualche sassata anche al povero guardiacaccia, che inutilmente cerca di stabilire con lui un minimo di relazione.
In quegli anni di guerra Adelmo Farandola ha imparato il conforto di parlarsi da solo e di immaginare le voci delle bestie e delle cose pronte a rispondergli”.

Nella vita dell'uomo solo, che nel racconto è sempre presentato col nome e cognome, Adelmo Farandola, ad un certo punto entra un cane, solo e sporco come lui.
E con questo cane inizia a parlare (o forse è solo anche questa un'immaginazione della sua mente che è rimasta troppo a lungo senza altri contatti), restio a dividere con questo povero essere i suoi pochi averi, ma che accetta accanto a se, nelle lunghe notti d'inverno, perfino accanto al letto.
Quando la neve là fuori isola la baita dal resto del mondo e quando i dell'inverno spaventano le persone:

Qualcuno bussa alla porta nei lunghi giorni d’inverno. Adelmo Farandola sente quei colpi la notte, ma anche di giorno, perché giorno e notte tendono a confondersi sotto gli strati di neve che trasformano la luce in un crepuscolo azzurro. Adelmo Farandola sobbalza, – Chi è? – chiede, poi finge di non essere in casa, perché non gli piace avere estranei tra i piedi, e resta immobile. Altri colpi alla porta. – Chi è? – chiede il vecchio, ma quasi sottovoce, perché non vuole sapere davvero chi bussa. E fermo, zitto, il respiro esitante.Il cane lo osserva, in attesa. – Che faccio, abbaio? – dice.No, fermo.Io d’istinto abbaierei.Lo so, ma non farlo. Quelli se ne andranno presto.Dici?Il cane inquieto aspetta i prossimi colpi, le orecchie dritte. Eccoli. Gli scappa un ringhio.No! – gli ordina Adelmo Farandola. – O ti ammazzo a calci.E il cane mugola per la frustrazione.La notte, i colpi sono più lenti, più vaghi. È la neve che bussa, lo strato spesso di neve che avvolge tutta la baita e la nasconde al sole fino a renderla un semplice rilievo sulla superficie. È la neve che chiede di entrare.Adelmo Farandola si sveglia a quei colpi. Ha il sonno sottile, sin dai tempi della fuga dalla guerra, gli basta poco per essere destato, e poi resta per ore con gli occhi fissi nel buio, in attesa di riprendere sonno. Ma quei colpi sono così vaghi e lontani che non sa se li ha sentiti sul serio o se li ha sognati, e non sa nemmeno se ora è sveglio sul serio o sta sognando di essere sveglio. In tali momenti, al buio umido della baita fredda, gli sembra di essere tornato nella caverna della sua gioventù, giù in fondo al budello della miniera di manganese. E ha paura di muoversi e di toccare con le mani o con un gomito le pareti di roccia che si stringono su di lui e lo avvolgono e lo ingoiano come le pareti di uno stomaco.Li senti anche tu – dice al cane di giorno. È un sollievo constatare che non se li sta sognando.Certo che li sento anch’io – dice il cane.Meno male.Che faccio, insomma, abbaio?No, no.La neve che grava su di loro si muove e vive e respira. Quei colpi sono manifestazioni della sua vitalità. Ora che li ha avvolti li sta digerendo con tutto comodo. Così viene da pensare talvolta al vecchio Adelmo Farandola. Al cane preferisce non parlare di questa sensazione, perché lo vede già inquieto e spaventato di suo, pronto ad agitarsi per ogni scricchiolio, per ogni sgocciolio. Chissà come reagirà agli schianti del ghiaccio in primavera, si dice l’uomo, visto che già ora basta un nonnulla a impaurirlo.(il brano è preso dal sito di Exorma)

Neve, cane, piede.
Allo sciogliersi del ghiaccio, la primavera successiva, quando uscendo all'aria aperta per “ubriacarsi di bianco e pulito”, un piede umano emerge da una frana caduta a fianco dalla casa.
A chi appartiene quel piede? Chi era quella persona? Come è morto? E a chi raccontare del morto?
Adelmo Farandola sarà costretto ad un'ennesima fuga, lontano da tutti, perfino dal cane.
Lontano. Isolato. Solo. Con le sue voci..

Nel libro di Claudio Morandini c'è la montagna raccontata non secondo la classica narrazione idilliaca, buona per i turisti: è una montagna che fa paura, brulla, dove la neve ricopre i sassi e conserva i corpi come un museo, per riscoprirli al disgelo. Un territorio in cui Adelmo Farandola si sente padrone: padrone del vallone dove abita, delle rocce e delle grotte, dei camosci e degli altri animali, dell'aria e dell'acqua.
E in quel vallone vive col solo desiderio (o pazzia senile) di isolarsi dal resto del mondo, di autoesilio: desiderio che viene portato all'estremo, in fondo ad una grotta buia ..
Laddove va cercato il mistero dell'uomo.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Exorma
Il blog dell'autore

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

24 dicembre 2016

Un brutto passato ci aspetta davanti a noi

Oggi Giuliano Ferrara scrive sulFoglio che all'Europa servirebbe una nuova Guantanamo (".. i tempi sono maturi per una Guantanamo europea").
Quella prigione che Obama non è riuscito a chiudere non per l'opposizione dei repubblicani, ma per incapacità della sua amministrazione.

Ieri, seguendo sui social la polemica per la diffusione dei nomi dei due poliziotti che hanno fermato e ucciso in un conflitto a fuoco l'attentatore di Berlino, ho notato che buona parte dei commenti era del tipo “chi se ne frega delle immagini del Duce (o dei commenti razzisti), l'importante è che abbiano fatto il loro dovere”.

Sempre ieri, Grillo, sull'onda delle emozioni (per modo di dire), ha lanciato il suo comunicato alla pancia della gente: via tutti i clandestini!

Ci aspetta davanti un grande passato, se queste sono le premesse ideali che girano nel paese.
La prigione della vergogna americana che non è servita a combattere il terrorismo o a rendere l'America più sicura.
Le immagini inneggianti al fascismo dei due poliziotti che vengono fatte passare come “veniali narcisismi social” (questo ha scritto Michele Serra su repubblica di oggi).
Forse è anche questo uno degli obiettivi delle persone che stanno sopra questi gruppi di attentatori.
Rinfocolare l'odio contro l'islam, sdoganare vecchi slogan (a quando i treni in orario?), condizionare la politica delle democrazie europee, l'uso dei mezzi straordinari per la lotta al terrore (le rendition, le carceri speciali, la tortura), il controllo dei cittadini con leggi speciali come il patriot act.
L'odio verso gli altri e la retorica degli eroi.


Tutti ingredienti che ci riportano indietro di anni e che, nel passato, non sono serviti a rendere il mondo un posto più giusto e civile per viverci.

23 dicembre 2016

Il giornale come strumento di potere






.. il giornale deve essere usato come strumento di potere attraverso gli articoli che pubblica, quelli che non pubblica e per il modo in cui essi vengono impaginati.Al momento della bomba di Piazza Fontana - l'inizio del periodo del terrorismo in Italia e della «strategia della tensione» - il «Corriere» avallò la tesi della strage degli anarchici. Ecco il mostro fu il titolo del «Corriere dell'Informazione», confratello della sera del Corriere, che riportava una foto del ballerino anarchico Pietro Valpreda, subito arrestato ma successivamente scagionato.Allo stesso tempo il «Corriere» non pubblica la notizia du un negoziante di Padova che aveva identificato le borse usate per l'attentato in cui erano morte diciassette persone, una prova che conduceva l'indagine verso la «pista nera», che si sarebbe rivelata quella giusta.
La libera informazione, i giornalisti sempre alla caccia della notizia, pubblicata anche se da fastidio al potente di turno .. 
Un'immagine di comodo nel mondo reale dei giornali, dove le notizie vengono censurate o autocensurate: in Italia poi, è quasi un'immagine favolistica.
Siamo un paese in cui "ci sono i giornalisti ma non c'è il giornalismo, se non episodicamente. E non si forma l'opinione pubblica se non in momenti eccezionali e davanti a fatti gravissimi come il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro e della sua scorta ..".
Sono parole di Raffaele Fiengo prese dal suo libro "Il cuore del potere", in cui raccoglie la sua esperienza di capocronista dentro il Corriere, negli anni neri quando era controllato dalla P2.

Il brano che richiama la strage di Piazza Fontana è invece preso dalla prefazione di Alexander Stille e punta il dito sul problema dell'informazione, laddove essa è usata come strumento per condizionare l'opinione pubblica, secondo interessi di comodo di chi sta dietro i giornali.
Cosa ancor più semplice in un paese dove non ci sono più editori puri e dove dietro questi ci sono imprenditori legati a doppio filo con la politica.

Così succede che il Corriere punta, grazie agli scoop del giornalista Zicari, sulla pista rossa, nascondendo i neofascisti e i livelli superiori a questi.
Così succede che la strage di Gioia Tauro, il treno fatto deragliare nel 1970 in Calabria per una bomba, diventa un incidente, per le pressioni ricevute dagli ambienti governativi sul direttore.

Le notizie scompaiono e gli scoop veri rimangono nel cassetto.
Altre notizie invece occupano le prime pagine e lì vi rimangono per giorni.

Notizie che fanno comodo a qualcuno e che servono invece per attaccare un altro partito, un altro gruppo avversario.
Il giornale è, anche oggi, strumento di potere: con le notizie da prima pagina (la foto del terrorista, Roma, Marra, Raggi, il governo che salva i risparmiatori) e quelle assenti.
Una democrazia è veramente tale anche misurando la sua libertà di informazione e il livello di coscienza civile dei suoi cittadini.
Per questo è importante conoscere la storia del Corriere, come la racconta Raffaele Fiengo da dentro "Il cuore del potere".