03 novembre 2015

PPP – Pasolini un segreto italiano, di Carlo Lucarelli


Incipit:
Nel corso della mia vita mi è capitato di incontrare Pier Paolo Pasolini parecchie volte.Anche se mai di persona.Ovvio, è una cosa che potrei dire di tanti altri scrittori per me importanti e significativi, molti dei quali erano già morti prima che nascessero i miei genitori e pure i genitori dei miei genitori, ma per P.P.P. è diverso.È come se la sua faccia, la sua magrezza, ce le avessi avute davanti da sempre, prima di sapere come era fatto, perché mi è sempre sembrato che le sue parole avessero una fisicità vera, di uno che stava lì davanti, a dirle con la sua voce, la sua sola voce.

Un adolescente, timido e un po' chiuso, impara a conoscere il mondo , leggendo i rotocalchi trovati nella casa di “campagna” dei genitori, tra l'Emilia e la Romagna.
E su queste pagine, inizia a conoscere lo scrittore, poeta, regista, intellettuale Pier Paolo Pasolini.

L'incontro con Pasolini
Il primo incontro avviene leggendo i suoi articoli sul “rotocalco” (come lo avrebbe chiamato lui) Tempi illustrati, nella casa di Mordano, tra l'Emilia e la Romagna “a pancia in giù, le gambe piegate all'indietro con le caviglie incrociate sul sedere come fanno i bambini quando leggono”: tra il 1968 e il 1970 aveva collaborato con la rivista “Di solito a pagina 15 o 19, e comunque sempre nelle prime trenta, c'è una rubrica che si chiama 'Il caos'.
Dentro un riquadro a tutta pagina sormontato da una piccola stella ci sono capitoletti in corsivo che hanno titoli sottolineati: Il cerimoniale della violenza, Ho sognato un verso, Una giornata a Bologna.
Li firma Pier Paolo Pasolini.

Un incontro che per il giovane Carlo Lucarelli è spiazzante:
Come farmi paura con un film di Totò [il film Uccellacci e uccellini di Pasolini con protagonista Totò e Ninetto Davoli]”.
Una continua sorpresa, per la parole che usa lo scrittore, per il tono con cui risponde ai lettori sui vari temi, mandandoli a Ko ma dopo un regolare combattimento.
Perché le parole di Pasolini sono stranianti, spiazzano: come quei versi scritti per Valle Giulia nel '69
quando ieri a Valle Giulia/avete fatto a botte coi poliziotti/io simpatizzavo coi poliziotti”.

Leggendo libri gialli, come i romanzi di Giorgio Scerbanenco, Lucarelli aveva iniziato a comprendere l'uso della violenza (gli schiaffoni di Mascaranti per far parlare le persone in Questura), da parte dei cattivi e da parte delle forze dell'ordine. Ma la poesia di Pasolini scardina le certezze: chi sono i buoni e i cattivi?
Dunque, aspetta, se gli studenti sono fighetti figli di papà avvocati, notai, industriali e ministri e i celerini sono poveracci figli di poveracci, ma gli studenti protestano in nome di una maggiore giustizia sociale e i celerini gli spaccano la testa per ordine di quei papà avvocati, notai, industriali e ministri, fermo, fermo, non torna più niente.Il caos, appunto”.

Radici sotto le foglie
Nel racconto, Lucarelli spiega al lettore come per lui le parole di Pasolini siano state un qualcosa che è rimasto sempre sul fondo: “Radici, appunto, sotto le foglie”.
Come le canzoni di Tenco, erano radici ben piantate nel terreno sotto le foglie del quotidiano (le letture di tutti i giorni, le canzoni ascoltate tutti i giorni).

Da questi articoli ha imparato il mestiere del giornalista, “l'istinto del mio mestiere” - come lo chiamava Pasolini:
Così, per esempio, un giorno, ancora nel periodo di quella pasolinianità carsica e spontanea mi torna tra le mani un articolo pubblicato da P.P.P. sul Corriere della Sera nel 1974, Che cos'è questo golpe, che poi diventa Il romanzo delle stragi negli Scritti Corsari e che molti conoscono come Io so.Un concetto, soprattutto: “Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore”.Seguire quello che succede, immaginare quello che non si sa o che si tace, rimettere insieme i pezzi disorganizzati e frammentari, ristabilire la logica dove regna l'arbitrarietà, la follia il mistero.Il mistero.Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere”.”

L'istinto del mio mestiere, scrive, ovvero:
Mettere in scena meccanismi misteriosi e scomodi, di cui qualcuno vuole che non si parli, attraverso la logica della narrativa”.
La violenza degli anni 70
Lucarelli attraversa la vita del poeta, fino al racconto della sua morte (40 anni fa all'idroscalo di Ostia), del suo assassinio: uno dei tanti episodi di violenza di cui erano pieni gli anni '70.
Stragi, bombe, omicidi, pestaggi, gambizzazioni.
Omicidi politici, come quello di Pasolini, omicidi di mafia, di Camorra, di ndrangheta.
Ma nono sono solo anni di violenza: in quegli anni in Italia venne introdotto il nuovo diritto di famiglia, lo Statuto dei lavoratori, la legge sul divorzio, la legge sull'interruzione volontaria di gravidanza, l'obiezione di coscienza e la legge Basaglia.
"C'era Giorgio Gaber" che cantava “vorrei essere libero come un uomo”.
E anche i jeans scampanati, le camicie aperte, gli stivaletti con la punta. Oltre a questo, purtroppo, il nostro era un Paese violento, con quasi cento organizzazioni che praticavano la lotta armata e provocavano quasi ogni giorno tante vittime, della politica e della mafia.

Il mistero della sua morte
Chi ha visto il film di Marco Tullio Giordana, o anche la puntata di Blu Notte dedicata all'omicidio di Pasolini sa che su questi non sono state condotte indagini, che la scena del delitto non era stata protetta (i bambini continuavano a giocare lì attorno). Che la versione di Pelosi faceva acqua da tutte le parti, nonostante questo per anni l'unica verità possibile era una sola. Quella di Pasolini era una morte nel mondo degli omosessuali: "perché così muoiono gli omosessuali"

Dunque il delitto Pasolini, e tutti i dubbi, i perché (perché quel pestaggio brutale, chi c'era oltre a Pelosi, c'erano picchiatori fascisti, magari con l'accento siciliano?), diventa un altro dei misteri italiani: ma in questa storia, come anche per Ustica, Bologna, Piazza Fontana, non ci sono misteri.
Ci sono segreti: “Segreti italiani”.
"Le bombe, le fucilate e le sprangate, e tutto quello che ci sta dietro, sono fatti concreti, azioni umane. Ciò che non sappiamo sta nella mente di qualcuno che non parla. Insomma, non sono Misteri, quelli. Sono Segreti. Segreti Italiani".
Lucarelli sostiene un'altra teoria, assieme ad altri giornalisti come Giovanni Lo Bianco e Sandra Rizza,
Per quello che ho letto e che ho raccolto, analizzato, verificato e pesato, io credo – e non sono il solo – che P.P.P. fosse lì per un appuntamento”.
Pelosi sarebbe stato solo un'esca per attirare PPP in una trappola, per dargli una lezione: una trappola che nasce dal furto degli originali del film Le 120 giornate di Salò”.

Perché evidentemente non era bastata la persecuzione che aveva vissuto da vivo: le aggressioni fisiche dopo le proiezioni dei suoi film, le denunce per oltraggio alla morale e alla religione di stato (sì, c'era anche questo negli anni '70)
Non avevo mai pensato che la sua voce comunque gentile fosse per tanti una odiosa vocetta stridula.Dal 1949, quando viene denunciato per i ragazzini di Casarsa, fino al marzo dello stesso 1975, non c'è anno ma si potrebbe anche dire mese – in cui P.P.P. non si trovi trascinato in tribunale, dal pretore o in caserma.Soltanto per i suoi film viene denunciato 33 volte”.

Era un personaggio scomodo Pasolini, un frocio, un comunista e un intellettuale che andava eliminato, spiega l'autore, ricordando anche quanto aveva scritto in proposito sulla rivista Micromega assieme all'amico Gianni Borgna, cui il libro è dedicato.


L'Eni, Cefis, Petrolio
Per cosa è stato ucciso Pasolini? Per i suoi articoli sul corriere (“Io so .. ma non ho le prove”)? Per i suoi film (censurati dalla magistratura e poi sbloccati)?
C'è una pista che porta dritta all'Eni, alla morte (o forse all'omicidio) di Enrico Mattei, al rapimento del giornalista dell'Ora di Palermo Mauro De Mauro (cui Francesco Rosi aveva chiesto una consulenza per il film su Mattei).
P.P.P.?Cosa c'entra?C'entra, perché petrolio è proprio di questo che parla, di Mattei, di Cefis, dell'Eni come “topos del potere” e della politica italiana.

Pasolini, nell'ultimo periodo della sua vita si stava dedicando alla narrazione civile, all'utilizzo del romanzo per raccontare dell'Italia del potere. Il romanzo, lasciato incompiuto, si chiama Petrolio: le cause della sua morte sono da ricercare in quello che stava scrivendo su Cefis, sull'Eni, sulla strategia della tensione?
Difficile.
(Il mio sogno di giallista me lo ha insegnato Scerbanenco.E anche P.P.P., ma lo dico sottovoce.Tenere sveglio il lettore tre notti consecutive.La prima perché non può smettere di leggere il romanzo finché non ha finito.La seconda a pensare, merda, ma davvero succedono queste cose?La terza: come si fa a cambiare?La mano davanti la locomotiva.Io, anch'io, mi fermo sempre alla prima.)Non si muore per un romanzo, non in Italia.La DC, l'Eni, i notabili di Stato, la strategia della tensione.Lo dice Pasolini.Chi, quel comunista?Quello incazzato con tutti?Intanto lo prende nel culo.E poi sono cose che sappiamo già tutti.Io so.Lo abbiamo sempre saputo anche noi.

Più probabile, chiude il romanzo Lucarelli, è che sia stato ucciso per aver fatto le domande giuste alle persone giuste, in un momento particolare in cui si stavano muovendo particolari equilibri. E dalle domande.
Roba da complottista. Roba da giallista, come Lucarelli, appunto.

La scheda del libro sul sito di Rizzoli.
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