18 settembre 2015

L'abbazia dei cento delitti, di Marcello Simoni

PrologoCittà di Ferrara 13 marzo 1329, mattinaL’uomo in catene varcò le mura attraverso la Porta di San Paolo, tenuto al capestro da due armigeri. Stremato e con gli abiti laceri,stringeva le braccia al petto per combattere la morsa del tardo inverno.Era di corporatura gracile e poco avvezzo alla fatica, ma il bagliore in fondo alle iridi lasciava trapelare un animo focoso. L’unico segno di cedimento l’ebbe nel momento in cui volse lo sguardo al cielo e, sotto uno stuolo di nembi, vide una torre incombere su di sé.
«Miserere mei!», gridò, cadendo in ginocchio. Da quelle merlature si usava appendere i bestemmiatori e i fraudolenti per farli precipitare tra i flutti del Padus.Uno strattone di corda placò il suo sgomento, obbligandolo a proseguire per la Via Grande. Non fu facile. La pioggia della notte precedente aveva trasformato le strade in un pantano di sterco e fango, rese ancor più squallide dal fetore esalato dagli scorsuri fino ai fossati esterni. Odori assai più rivoltanti, tuttavia, si levavano dalle carogne impalate sulle picche lungo la strada, vestigia delle famiglie ghibelline rastrellate dai servi di Avignone.Il popolo lo attendeva più avanti, all’imbocco della piazza. Una distesa di sagome bigie premute l’una all’altra, intabarrate in guarnacche, cappe e mantelli di cenci. Il prigioniero ebbe l’impressione di imbattersi in un’orda di topi, abbrutita dalla fame e da un’ignoranzatale che le avrebbe impedito di conoscere persino Dio, se qualcun altro non avesse cercato di illuminarla.Quei volti facevano spavento. Esprimevano un rabbioso disprezzo che tracimava nella ferocia, come se a tutti fosse manifesta la sua colpa.

Questo romanzo è solo il secondo capitolo di un saga (del Codice Millenarius) iniziata con “L'abbazia dei cento peccati”, che proseguirà ancora: si fa un po' di fatica ad inizio lettura, a prendere confidenza coi protagonisti e col loro passato, nonostante i rimandi dell'autore al precedente capitolo.
Perché al centro del racconto c'è un mistero, che potrebbe mettere a rischio la tenuta della cristianità nel mondo oppure salvarla dall'Apocalisse.
Per questo mistero, legato ad antiche reliquie della passione di Cristo, ci sono persone potenti disposte a tramare, a ordire complotti, a tradire ed uccidere.
Siamo in Italia nell'anno 1347, in piena cattività Avignonese: il papato si è appena trasferito nella città francese. A Ferrara, dopo l'assedio alla città da parte delle truppe del cardinale Bertrand du Pouget, è tornata in mano agli Este. A Rubizzo III d'Este.

Questo capitolo della saga inizia con la scoperta del cadavere del monaco Facio di Malaspina, da parte del cavaliere Maynard de Rocheblanche:
Sedeva in un angolo della stanza, all’unico tavolo presente. Le braccia ciondoloni, la testa piegata in avanti, il mento appoggiato sul ripiano. Dalla bocca socchiusa sporgeva la lingua, oltre il limite consentito. Era stata tirata fuori a forza e inchiodata con un pugnale sulla superficie di legno. Maledicendo la sorte, Maynard de Rocheblanche si avvicinò al cadavere per studiarlo.

Facio di Malaspina, lo leggiamo nel prologo, si era salvato dall'accusa di eresia pochi anni prima, sfruttando l'esistenza del libro segreto. Lapis exilii.
Un segreto sulle cui tracce ci sono, oltre a Maynard, anche il cardinale Bertrand du Pouget (che spera di ottenere la carica pontificia) e le sue spie.
Gli altri protagonisti del racconto sono il giovane Gualtiero, figlio di un pittore arrestato per eresia, e Isabeau, che accompagna Maynard come fosse la sorella, ma che in realtà si è unita al cavaliere sulla via francigena.
L'abate Andrea, dell'abbazia di Pomposa, dentro cui aveva trovato ospitalità Facio.
Infine Eudeline, sorella di Maynard che, dopo in seguito a traversie, ha preso il velo per diventare madre superiora a Reims.

Maynard , che a suo tempo ha giurato di recuperare delle reliquie sottratte a suo tempo dall'abbazia di Mount-Fleur e di proteggere il segreto del Lapis, dovrà conquistarsi la fiducia dell'Este per accedere alla corte ed indagare sulla morte del monaco.
Gualtiero deve scoprire la sorte della sorte della madre, arrestata assieme al padre e a scoprire anche la verità sui suoi genitori. Entrambi sono alla ricerca di qualcosa di importante ed entrambi attraverseranno tante avventure nel corso del libro, che metteranno a rischio la loro vita.
Ma un'altra minaccia incombe su di loro e sull'intera Europa: è la peste nera che, in pochi anni, decimò la popolazione europea.
Stanco di essere tenuto all’oscuro, il francese pestò un piede a terra e sbottò: «Volete dirmi una volta per tutte cosa sta accadendo?».Il vescovo sollevò le bianche sopracciglia. «L’ira dell’Onnipotente, messere», e nascose una smorfia di terrore sotto il cappuccio della cappa. «La peste imperversa su queste terre».Maynard lo fissò sbalordito. Consultò con un’occhiata incredula l’abate di Pomposa, poi si piegò in ginocchio davanti al vescovo. «Ma come può essere accaduto… senza alcun preavviso?»«La morte ha forse bisogno d’invito?»

Il libro racconta dell'impotenza della scienza medioevale nel contrastare il male, i tentativi di spiegazione esoterici, le congiunzioni astrali, i segni dell'Apocalisse che annunciava la fine del mondo.

Difficile, leggendo le pagine di questo romanzo, non pensare ai romanzi ambientati nell'alto medioevo di Ken Follet: “I pilastri della terra” e soprattutto Un mondo senza fine”, o a "Il nome della Rosa" di Eco.
Dall'autore inglese, questo libro eredita l'accuratezza nella ricostruzione storica delle corti, delle usanze, delle credenze dei tempi. La capacità di mescolare la storia con la fiction: molti dei personaggi sono realmente esistiti, come Bertrand du Pouget, il signore di Ferrara Obizzo III d’Este, il vescovo Guido di Baisio.
E, prima di tutto, la capacità di non stancare mai il lettore e di tenere sempre alta la tensione nel lettore.

Marcello Simoni, a fine lettura, parla anche del grande segreto che si cela nelle pagine del libro (e che in parte rimarrà celato per tenere viva l'attenzione per i prossimi capitoli della saga).
Il Lapis exilii è “in parte leggenda documentata, in parte mia interpretazione personale. Mi sono imbattuto per la prima volta in questo nome nel Parzival dello scrittore tedesco Wolfram von Eschenbach”, scrive.
Fino ad arrivare a re Artù e la mitica tavola rotonda.

Buona lettura!

Qui potete leggere l'incipit.
La scheda del libro sul sito di Newton Compton.

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