07 settembre 2015

La fine della prima repubblica – l'esilio del crapone

Nel lungo viaggio “al termine della notte” di Valerio Varesi ne “Lostato di ebbrezza”, non poteva mancare il capitolo su Tangentopoli: l'inchiesta sulla corruzione milanese partita quel 17 febbraio 1992, con l'arresto di Mario Chiesa, il direttore del Pio Albergo Trivulzio. Un mariuolo, l'aveva definito Craxi, cercando di minimizzare la portata dello scandalo.
Da lì era partita poi la slavina.
Un mariuolo, ecco che cos'era 'sto lestofante d'un Chiesa! Gliele aveva cantate chiare il purissimo! Tutta l'Italia incazzata l'avrebbe fatto a spezzatino. E gli italiani sono sempre predisposti all'esorcismo. Vogliono vedere il male con la faccia di qualcun altro per potercisi scagliare contro e illudersi di essere immuni. Mario Chiesa li purificava tutti più di una penitenza. Era il volto della colpa, il reprobo. Guardavano la sua foto sul giornale e si sentivano già assolti. S'erano già assolti dal fascismo, dalla vigliaccheria, dall'inerzia e da mille colpe private perché il fatto non sussiste.Non gli era proprio piaciuta la parte del cireneo al Chiesa!Dalle celle di San Vittore, il mondo è tutto un altro panorama. Gliel'avrebbe ridata lui la tinta giusta a quei sepolcri imbiancati! Mica era uno di trinariciuti comunisti come Primo Greganti, che potevi torturarli e non gli avresti cavato un mogugno! Il crapone non aveva capito niente. Se voleva far cadere la prima repubblica ci era riuscito meglio di un candelotto da dinamite. S'era così messo a cantate come un cacatua del Mato Grosso il reprobo! Propalava segreti che era un piacere 'sto fior di suocera! Aveva tenuto una conferenza nell'ufficio del procuratore Francesco Saverio Borrelli con tutti i sostituti a prendere appunti. [..]Chiesa era diventato il Picasso della corruzione: te la faceva vedere da tutte le angolazioni.

Gli italiani, anche forse i suoi stessi elettori, lo aspettano fuori: c'è bisogno del rituale collettivo per vedere il re che cade. “Bettino vuoi pure queste” gli gridano: dopo l'amara scoperta che tutta l'orgia degli anni ottanta, la corruzione, le bustarelle, la spesa pubblica per le cattedrali nel deserto al nord e al sud, aveva portato il paese alla rovina e qualcuno avrebbe dovuto pagare il conto.
Il conto l'avevano già pagato gli italiani a stipendio, i cirenei con addosso il cilicio del fisco. Ciampi, per raddrizzare la baracca, gli aveva sfilato da sotto il naso la scala mobile impoverendoli di botto. Non ne avevano proprio più di sangue da donare! A forza di prelievi si ritrovavano tutt'un buco! Così in molti s'era dati appuntamento a Roma, davanti all'hotel Raphael per donare anche gli ultimi spiccioli al Craxi appena uscito indenne dal Parlamento che l'aveva assolto. Faceva ancora paura il Crapone ai suoi sodali! Bastava che li guardasse a uno a uno i vecchi compagni di merende, per farli cagare nelle braghe. Il sistema maggioritario al rodaggio non aveva portato abbastanza nuove facce a Montecitorio. Così era calato il velo protettivo dell'immunità sul più resistente simulacro del vecchio potere. [..] M'ero imbattuto davanti al Raphael quel 30 aprile del 1993. Il santuario dei socialisti e dei fasti anni Ottanta era un'arena gladiatoria in attesa della vittima sacrificale, che i veri processi, in Italia, sono sempre stati in piazza e perdipiù con sentenze inappellabili. Lo vedo ancora il Crapone che esce con lo sguardo smarrito. Ha annusato la fine. Ne ha sentito l'odore fin dalla suite all'ultimo piano. Hai voglia a spruzzar profumi! Non te la togli di dosso la condanna! Gli suggeriscono di rintanarsi, di aspettar che finisca la buriana che l'attende di sotto. [..] No, mica gli piacerebbe un ritorno mesto alla cavezza ! Ha sufficiente sfrotatezza per affrontare la gente a muso duro. Che poi tanto duro non è. Appena mette piedi fuori dall'albergo la canea lo sovrasta, ha lo sguardo del monarca deposto. Lì davanti osserva il suo patibolo fatto di tanti fedeli delusi. Son le sue stesse promesse a rivoltarglisi contro, l'immagine infranta di sé. Non c'è mai magnanimità nel servo che si rivolta.Che parapiglia! Non si capisce più niente dentro la bolgia se non chi le dà e chi le prende. Gli urlano tanti di quei buoni nomi che non ne ha detti uguale un portale in carriera. Gli grandinano addosso le monetine, quelle lire che lui ha rimpicciolito così tanto da poterle scagliare con meno spreco di uno sputo.
[..]Ma il Crapone resiste. Osserva ancora quello che è stato il suo regno. Vi passa sopra il suo sguardo: l'ultimo prima dell'esilio. Difatti appare identico all'Umberto di Savoia, il timido re di maggio.

Lo stato di ebbrezza, di Valerio Varesi – Frassinelli.

Qui potete leggere l'incipit.

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