30 agosto 2014

La banalità del male - Eichmann a Gerusalemme di Hannah Arendt


La giustizia non permette nulla di tutto questo: richiede isolamento, vuole più dolore che collera, prescrive che ci si astenga il più possibile dal mettersi in vista.

Sono stato spinto alla lettura di questo saggio della filosofa Hanna Arendt dopo aver visto il bel film di Margarethe Von Trotta (rimasto purtroppo nelle sale solo per pochi giorni, per lasciar spazio alle cine- immondizie): sono grato a chi mi ha spinto all'approfondimento letterario perché “La banalità del male” è una di quelle letture, impegnative, che però ti allargano la mente. 


Tanti altri autori (da Primo Levi a Simon Wiesenthal) si sono occupati della Shoa, di come funzionava la macchina dello sterminio, il male assoluto del secolo passato. Ma in questo libro l'autrice fa un passo avanti: ha cercato di dare una spiegazione, il genocidio degli ebrei (e dei comunisti, degli zingari, degli omossessuali, delle vite indegne) da parte dei nazisti. Chi erano queste persone che hanno architettato la macchina dello sterminio? Erano dei sadici violenti oppure persone comuni che smisero di pensare come uomini, con la loro mente, in un momento particolare della storia europea?

Queste risposte furono messe nero su bianco nei suoi articoli scritti per il New Yorker, in occasione delle sedute del processo ad Adolf Eichmann, a Gerusalemme, nel 1961. E furono articoli che suscitarono numerose polemiche.
I giudici, e in particolare il procuratore che sostenne l'accusa, cercavano il mostro, per un processo che doveva avere più valenza politica che non dare giustizia alle vittime del più grande genocidio moderno.
Ma i giudici si trovarono di fronte solo un mediocre burocrate di stato, cresciuto in una misera famiglia, con l'ambizione di entrare nell'alta società. Con la sindrome da perseguitato della sfortuna.
Quanto più lo si ascoltava, tanto più era evidente che la sua incapacità di esprimersi era strettamente legata ad un’incapacità di pensare dal punto di vista di qualcun altro. Comunicare con lui era impossibile, non perché mentiva, ma perché le sue parole e la presenza degli altri, e quindi la realtà in quanto tale, non lo toccavano.
Lui, Adolf Eichmann, nato a Linz nel 1907 era diventato tristemente famoso perché a capo dell'ufficio B-4 della sezione IV delle SS, l'esperto della questione ebraica all'interno del Terzo Reich, su cui gli alti vertici delle SS scaricarono tutte le colpe relativamente alla soluzione finale.
E' vero: il suo ufficio fu responsabile per le deportazioni degli ebrei da tutti i territori annessi al Reich millenario (nelle intenzioni di Hitler) prima, e delle evacuazioni ad est poi, quando al problema della questione ebraica fu data una soluzione "finale".
Da una vita monotona e insignificante era piombato di colpo nella “storia” , cioè, secondo la sua concezione, in un “movimento” che non si arrestava mai e in cui una persona come lui – un fallito sia agli occhi del suo ceto e della sua famiglia che agli occhi propri – poteva ricominciare da zero e far carriera”.


Eichmann non era il mostro: era semplicemente un uomo che aveva obbedito alle leggi criminali dell'epoca in cui viveva, senza opporsi, senza chiedersi se violassero qualche principio superiore.
Sta tutta qui la mostruosità che Hannah Arendt ha raccontato nel suo resoconto nato seguendo il dibattimento in aula per il processo a Gerusalemme.
La banalità del male, dell'uomo senza pensieri propri: “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso”.


Ma il lavoro importante della giornalista fu anche quello di riportare ai suoi lettori la ricostruzione della macchina dello sterminio, per come emerse dal dibattimento in aula. 
Non solo Eichmann non aveva tutti i poteri esecutivi che gli furono imputati (erano molti gli uffici nel Reich che si occupavano materialmente della deportazione degli ebrei e della loro liquidazione), ma Eichmann si occupò prima ancora della soluzione finale, della della loro deportazione fuori dal suolo occupato dai tedeschi. 
Veramente Eichmann avrebbe spostato tutti gli ebrei in Madagascar, come gli era stato inizialmente ordinato. Non solo, era così “onesto”, nel suo lavoro (uso impropriamente questo termine e mi dispiace), che non fu uno che si arricchì con gli ebrei: egli faceva parte dell'ala non moderata delle SS, diversamente da Himler, per esempio, che predispose per gli ebrei ricchi dei campi di concentramento dove si poteva sopravvivere (come il ghetto Theresiendstadt, campo dei vecchi di Bergen Belsen).
L'arresto illegale di Eichmann era giustificabile (e così fu infatti giustificato agli occhi del mondo) solamente perché già si sapeva come si sarebbe concluso il processo.Qui però si vide che il ruolo a lui attribuito nella soluzione finale era stato grandemente esagerato - un po' per le sue vanterie , un po' perché a Norimberga e in altri processi i criminali di guerra avevano cercato di scaricare su di lui le colpe, e molto perché i funzionari ebraici avevano avuto rapporti quasi esclusivamente con lui, essendo egli l'unico funzionario tedesco "esperto in affari ebraici".
Per colpa della sua memoria (che ricordava episodi banali, ma non le tappe fondamentali della pianificazione dello sterminio) Eichmann, non riuscì a discolparsi (ne avrebbe potuto farlo del tutto) sui capi di imputazione che l'accusa gli imputò:
Da alcune occasionali menzogne [i giudici] preferirono concludere che egli era fondamentalmente un “bugiardo” – e così trascurarono il più importante problema morale e anche giuridico di tutto il caso. Essi partivano dal presupposto che l’imputato, come tutte le persone “normali”, avesse agito ben sapendo di commettere dei crimini; e in effetti Eichmann era normale nel senso che “non era una eccezione tra i tedeschi della Germania nazista”, ma sotto il Terzo Reich soltanto le eccezioni potevano comportarsi in maniera “normale”. Questa semplice verità pose i giudici di fronte ad un dilemma insolubile, e a cui tuttavia non ci si poteva sottrarre”.

Eichmann sapeva dei campi di sterminio, conosceva il vero significato dell'espressione trattamento speciale, sapeva che il suo lavoro significava la morte di migliaia di persone: ma probabilmente è altrettanto vero che non uccise mai nessun ebreo di persona, né partecipò e vide lo sterminio nei campi

Il fatto è che Eichmann non vide molto. È vero, egli visitò più volte Auschwitz, il più grande e il più famoso dei campi della morte, ma Auschwitz, che si trovava nell’Alta Slesia e che si estendeva per una superficie di quasi trenta chilometri quadrati, non era soltanto un campo di sterminio: era una gigantesca industria e contava fino a centomila ospiti, dove tutti i tipi di prigionieri erano rappresentati, anche i non ebrei e i forzati non destinati alla morte per gas. Era facile evitar di vedere gli impianti di sterminio..”.
La questione della crisi di coscienza
Un argomento importante affrontato nei suoi articoli e nel libro è quello relativo alla crisi di coscienza dei tedeschi, durante la guerra. Si resero conto, gli ufficiali che presero parte al complotto contro Hitler, di quello che stavano facendo? C'era un'opposizione interna che si rendeva conto della mostruosità che stava avvenendo?
La legislazione dello stato ebraico cui i giudici facevano riferimento era evidentemente riferita agli ebrei che collaborarono allo sterminio (ma su questo l'autrice ritornerà più avanti):

Dappertutto, nell’operazione di sterminio, i tedeschi si erano serviti di Sonderkommando ebraici, cioè di “unità speciali” che avevano commesso atti criminosi “al fine di salvarsi dal pericolo immediato di morte”, e i Consigli degli anziani ebraici avevano collaborato perché speravano di “sventare conseguenze più gravi di quelle concretamente verificatesi”.

La conclusione cui giunse la corte fu che non fosse vero che non ci si poteva sottrarre all'ordine, perché si rischiava la corte marziale:
Una volta egli disse che l’unica alternativa sarebbe stata per lui il suicidio; ma questa era una menzogna, poiché noi sappiamo che elementi delle squadre di sterminio lasciavano quel lavoro con stupefacente facilità, senza gravi conseguenze per la propria persona”.
Relativamente agli alti ufficiali implicati nella congiura di luglio 1944
Il coraggio di molti di loro fu ammirevole, ma non fu ispirato da sdegno morale o dal rimorso per le sofferenze inflitte ad altri esseri umani; essi furono mossi quasi esclusivamente dalla certezza che ormai la sconfitta e la rovina della Germania erano inevitabili”.

Pensavano di poter scendere ancora a patti con gli alleati, nonostante le colpe, nonostante lo sterminio, nonostante le leggi razziali.
Illusi, come illuso lo era anche Himmler:

L’ordine dato da Himmler nell’autunno del 1944 di sospendere lo sterminio e di smantellare gli impianti dei campi della morte, fu dovuto al fatto che egli era assurdamente ma sinceramente convinto che le potenze alleate avrebbero saputo apprezzare e ricompensare questo gesto”.
La collaborazione degli ebrei:
Un tema che suscitò sia in Israele che in America molte polemiche, anche all'interno della cerchia di intellettuali che Arendt frequentava, fu la collaborazione dei ebrei stessi con i nazisti, per l'organizzazione della macchina dello sterminio.
Il contrasto tra l'eroismo del nuovo Israele e la rassegnata sottomissione con cui gli ebrei andavano a morte (arrivando puntuali ai centri di smistamento, recandosi con i ropri piedi ai luoghi di esecuzione, scavandosi la fossa con le proprie mani, spogliandosi da sé e ammucchiabdo in bell'ordin le vesti, ditendendosi l'uno accanto all'altro per essere uccisi) sembrava un buon argomento, e il pubblico ministero, cercando di sfruttando al massimo, si reoccupò do chiedere a tutti i testimoni: "Perché non protestavate? Perché salivate sui treni? .."
Non stiamo parlando dei Sonderkommando, gli ebrei che si occupavano dell'accoglienza degli ingressi nei campi di sterminio, affinché non ci fossero “problemi”, intoppi nel processo di morte.
Erano coloro che, in cambio di pochi privilegi, dovevano convincere che dalle docce sarebbe scesa acqua, che avrebbero poi cremato i corpi, recuperandone tutto ciò che si poteva dai corpi. Illuminante, in proposito il film “La zona grigia” di Tim Blake Nelson. 

Hanna Arendt intendeva la collaborazione dei vertici delle comunità ebraiche con le SS
Eichmann o i suoi uomini comunicavano ai Consigli ebraici degli Anziani quanti ebrei occorrevano per formare un convoglio, e quelli preparavano gli elenchi delle persone da deportare. E gli ebrei si facevano registrare, riempivano innumerevoli moduli , rispondevano a pagine e pagine di questionari riguardanti i loro beni, in modo da agevolarne il sequestro; poi si radunavano nei centri di raccolta e salivano sui treni. I pochi che cercavano di nascondersi o di scappare venivano ricercati da uno speciale corpo di polizia ebraico. A quanto constava ad Eichmann, nessuno protestava, nessuno si rifiutava di collaborare [..] “qui la gente parte continuamente, diretta verso la propria tomba”, disse un osservatore ebraico a Berlino nel 1943”.
Non fu una collaborazione forzata (i sonderkommando erano liquidati ogni quattro e rimpiazzati da altri detenuti), ma bensì queste strutture (fortemente volute da Eichmann) resero possibile lo sterminio, giorno dopo giorno, senza intoppi burocratici: 

“Senza l’aiuto degli ebrei nel lavoro amministrativo e poliziesco (il rastrellamento finale degli ebrei a Berlino, come abbiamo accennato, fu effettuato esclusivamente da poliziotti ebraici), o ci sarebbe stato il caos completo oppure i tedeschi avrebbero dovuto distogliere troppi uomini dal fronte.[..]È per questo che l’insediamento di governi fantoccio nei territori occupati fu sempre accompagnato dalla creazione di un ufficio centrale ebraico e, come vedremo più avanti, dove i nazisti non riuscirono a insediare un governo fantoccio, neppure riuscirono a ottenere la collaborazione degli ebrei”.

Concluse l'autrice con una frase che le costerà l'amicizia di molte persone nel suo stesso paese:
La verità vera era che se il popolo ebraico fosse stato realmente disorganizzato e senza capi, dappertutto ci sarebbe stato il caos e la disperazione, ma le vittime non sarebbero state quasi sei milioni”.
Il crollo morale della società europea e tedesca
Perché è successo tutto questo?

Perché quello che a noi oggi appare mostruoso, è potuto accadere nella civilissima Europa?

Se né Eichmann (né tantomeno Himmler) erano dei sadici, come hanno potuto accettare il genocidio senza porsi dei problemi di coscienza?

Abbiamo visto come l'indottrinamento delle SS (e anche del popolo tedesco) abbia puntato sul concetto di missione finale, la liberazione del Reich dagli ebrei (e dagli altri gruppi insani), da portare avanti senza scrupoli. Scrive l'autrice a proposito delle motivazioni dei nazisti:

È degno di nota, però, che Himmler non tentasse quasi mai di darne una motivazione ideologica.Ciò che colpiva di più le menti di quegli uomini che si erano trasformati in assassini, era semplicemente l’idea di essere elementi di un processo grandioso, unico nella storia del mondo (“un compito grande , che si presenta una volta ogni duemila anni”) e perciò gravoso. Questo era molto importante, perché essi non erano sadici o assassini per natura; anzi, i nazisti si sforzarono sempre, sistematicamente, di mettere in disparte tutti coloro che provavano un godimento fisico nell’uccidere.

L'autrice parla esplicitamente di un “crollo morale” della società, che non volle vedere, non volle chiedersi dove finivano gli ebrei ad est (e che ancora prima non si fece troppi problemi nel vedere sparire i malati di mente o i bambini deformi, col programma Aktion T4).
E in effetti la sua coscienza si tranquillizzò al vedere lo zelo con cui la "buona società" reagiva dappertutto allo stesso modo. Egli non ebbe bisogno di "chiudere gli orecchi", come si espresse il verdetto, per non ascoltare la voce della coscienza: non perché non avesse una coscienza, ma perché la sua coscienza gli parlava con una "voce rispettabile" la voce rispettabile della società che lo circondava”.
Se un mostro andava trovato, questo era un mostro diffuso nelle teste degli europei, dove era (o è ancora oggi) putroppo diffuso, in modi diversi, l'antisemitismo.
Un caso che fece eccezione, fu quello danese:
Quando i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a introdurre un distintivo giallo, essi risposero che il re sarebbe stato il primo a portarlo, e i ministri danesi fecero presente che qualsiasi provvedimento antisemita avrebbe provocato le loro immediate dimissioni”.
Hannah Arendt parla anche dei vuoti di oblio, dove nascondere le tracce dello sterminio e anche gli oppositori interni:
E' vero che il regime hitleriano cercava di creare dei vuoti di oblio ove scomparisse ogni differenza tra il bene e il male, ma come i febbrili tentativi compiuti dai nazisti dal giugno del 1942 in poi per cancellare ogni traccia dei massacri (con la cremazione, con l'incendio dei pozzi, con gli esplosivi e i lanciafiamme e macchine che frantumavano le ossa) furono condannati al fallimento, così anche tutti i loro sforzi di far scomparire gli oppositori "di nascosto, nell'anonimo", furono vani. I vuoti di oblio non esistono. Nessuna cosa umana può essere cancellata completamente e al mondo c'è troppa gente perché certi fatti non si risappiano: qualcuno resterà sempre in vita per raccontare.
Critica alla sentenza di condanna
Gli ultimi capitoli del libro sono una critica ragionata sulla sentenza di condanna, sulla competenza della corte, un confronto col precedente processo di Norimberga del 1946 e un'indicazione su come si sarebbe dovuto procedere, portando il procedimento a livello delle Nazioni Unite, poiché si parla di crimini contro l'umanità.


Questi i capi per cui Eichmann era imputato

- C'era in primo luogo la questione della parte avuta da Eichmann nelle stragi compiute dagli Einsatzgruppen, istituiti da Heydrich in una riunione nel marzo del 1941.
- Il secondo punto riguardava la deportazione degli ebrei dai ghetti polacchi ai vicini centri di sterminio.
- Il terzo punto riguardava la responsabilità di Eichmann per ciò che accadeva nei campi di sterminio, dove secondo l'accusa egli godeva di grande autorità.
- al quarto e ultimo punto, che riguardava l'autorità di Eichmann in generale nei territorio orientali: la questione se egli fosse o meno responsabile delle condizioni di vita indicibilmente miserevoli che regnavano nei ghetti, e della liquidazione di quei centri

Abbiamo visto come la sua responsabilità era limitata, per quanto riguarda gli Einsatzgruppen (erano reparti di polizia) sia per quanto riguarda la vita nei campi.
Il suo compito era seguire la logistica del trasferimento verso est: il rastrellamento, la schedatura, la creazione dei convogli (che dovevano essere sempre pieni, per non sprecare il carico).

Eichmann fu rapito dai servizi israeliani in Argentina per essere processato: tutto ciò fu possibile perché era “apolide”, come lo erano diventati gli ebrei dopo le leggi naziste sulla soluzione finale create dopo la conferenza di Wansee nel 1941.
Apolidi gli ebrei che, così, perdevano tutte le dignità nei paesi in cui si erano rifugiati.
Apolide anche l'organizzatore delle loro deportazioni. Che era fuggito in Argentina con l'aiuto di Odessa.
Se la corte di Gerusalemme poté giudicare Eichmann fu solo perché di fatto gli era un apolide, e solo per questo. Ed Eichmann, benché non fosse un giurista, non dovette meravigliarsene: tutta la sua carriera gli insegnava che degli apolidi si poteva fare quello che si voleva, tanto che per sterminare gli ebrei si era dovuto prima provvedere a renderli senza patria”.
Le ultime parole.
"Tra breve signori ci rivedremo. Questo è il destino di tutti gli uomini. Viva la Germania, viva l'Argentina, viva l'Austria. Non le dimenticherò".Di fronte alla morte aveva trovato la bella frase da usare per l'orazione funebre. Sotto la forca la memoria gli giocò l'ultimo scherzo: egli si sentì "esaltato" dimenticando che quello era il suo funerale.Era come se in quegli ultimi minuti egli ricapitolasse la lezione che quel suo lungo viaggio nella malvagità umana ci aveva insegnato - la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male.
Sulla competenza del tribunale di Gerusalemme:
Se la corte di Gerusalemme avesse capito che c'è una differenza tra discriminazione, espulsione e genocidio, avrebbe subito visto chiaramente che il crimine supremo che essa doveva giudicare , lo sterminio fisico degli ebrei, era un crimine contro l'umanità, perpetrato sul corpo del popolo ebraico; [..] nella misura in cui il crimine era un crimine contro l'umanità, per far giustizia occorreva un tribunale internazionale”.
Infine, i limiti del tribunale di Gerusalemme.
Insomma se il Tribunale di Gerusalemme in qualche cosa fallì, fu perché non si affrontarono e non si risolsero tre questioni fondamentali, tutte e tre già ben note e ampiamente discusse fin dal tempo dell'istituzione del Tribunale militare di Norimberga: evitare di celebrare il processo dinanzi alla corte dei vincitori; dare una valida definizione dei "crimini contro l'umanità"; capire bene la figura del criminale che commette questo nuovo tipo di crimini”.
In sintesi, le questioni fondamentali non risolte furono:
- la corte non ammise i testimoni della difesa
- la sentenza fu incomparabilmente migliore delle sentenze emesse a Norimberga. Il crimine di Eichmann non fu messo sullo stesso piano dei comuni crimini di guerra, ma non si accennò mai alla possibilità che lo sterminio di interi gruppi fosse qualcosa di più che un crimine contro ciascuno dei popoli
- questo nuovo tipo di criminale, realmente hostis generis humanis, commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male. Eichmann è stato volontario strumento di sterminio.

Capitoli del libro
La corte.

La storia di Eichmann: l'infanzia, il primo lavoro, spirito da gregario/burocrate: necessità di appartenere ad un gruppo, per entrare nella storia. Desiderio di rivalsa dopo i fallimenti nella vita.
L'esperto di questioni ebraiche.

La prima soluzione al problema ebraico: le espulsioni.
La seconda soluzione: il concentramento nei ghetti.

La soluzione finale: lo sterminio.
La conferenza di Wanse, ovvero Ponzio Pilato.

I doveri di un cittadino ligio al dovere.
Le deportazioni:
- dal Reich
- dall'Europa occidentale
- dai Balcani, Jugoslavia, Grecia, Bulgaria e Romania
- dall'Europa centrale (Ungheria e Slovacchia)
- I centri di sterminio dell'Europa orientale.
- Prove e testimonianze
- Condanna, appello ed esecuzione
- Epilogo


La scheda del libro sul sito dell'editore Feltrinelli.
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