03 agosto 2014

Caccia al tesoro, di Nunzia Penelope

Il più grosso bottino della storia: 30000 miliardi sottratti alle casse pubbliche da multinazionali, banche, evasori. Dov'è nascosto, come possiamo recuperarlo.


Il tesoro di cui parla la giornalista Nunzia Penelope è quello che si è accumulato in vari decenni nei paradisi fiscali in Europa e nel mondo: una montagna di miliardi finiti nei circuiti dell'offshore, soldi che anziché aiutare l'economia reale dei paesi diventano ricchezza occulta sottratta al fisco. Sono soldi che potrebbero far comodo ai governi per abbassare la pressione fiscale e far ripartire la domanda interna. Per poter garantire ai cittadini quei servizi pubblici oggi a rischio.

Sono soldi che potrebbero risolvere i problemi del debito pubblico, per paesi come l'Italia, sempre sotto la minaccia di una nuova guerra a colpi di punti di spread. Guerra che ha portato al commissariamento dei governi, alle riforme fatte al grido “ce lo chiede l'Europa”: salari ai minimi, pensioni rinviate nel futuro, il dogma della precarietà nel lavoro, gli stati che privatizzano i loro asset.
Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di offshore? Ecco: ma cosa diversa è capire cosa si nasconde dietro questa formula dal senso molto esotico.

Il pregio di questo libro è proprio questo, la chiarezza: in pochi capitoli spiega il sistema dei paradisi fiscali, usando la formula giornalistica del chi, cosa, come, dove e quando.

“Il PIL dell’Italia è circa 1500 miliardi di euro annui: nei paradisi fiscali ci sarebbe quindi, grossomodo, l’equivalente di vent’anni della nostra ricchezza nazionale. Vent’anni di lavoro e di stipendio di tutti i nostri lavoratori, di prodotto di tutte le nostre fabbriche e aziende, di tutte le attività commerciali, di tutti i beni comprati e venduti, di tutte le case costruite, di tutta la spesa pubblica per sanità, scuola”.

Cosa sono i paradisi fiscali e dove si trovano.
Iniziamo col dire che i paradisi fiscali sono il paradiso solo per quelli che riescono così a sfuggire alla tassazione cui sono sottoposti i comuni mortali.
Sono paesi che attraggono beni e capitali garantendo l'anonimato dei proprietari, ben nascosti dietro società fittizie (molto virtuali), dietro la privacy del segreto bancario, dietro la macchina burocratica delle rogatorie internazionali, quelle procedure che i magistrati sono costretti a rispettare per capire dove sono finiti i soldi di tizio o caio.
Non sempre possiamo parlare di evasione fiscale (soldi non dichiarati al fisco): spesso è più corretto parlare di elusione. Ovvero la ricerca del posto migliore dove si pagano meno tasse e i governi fanno meno questioni sulla provenienza del denaro.
I paradisi non sono solo le Cayman: qui in Europa possiamo dire che ce ne sono molti, troppi, vicini a noi. I furbetti italiani possono andare rivolgersi alla Svizzera a San Marino e lo Ior.
I francesi ad Andorra. In piena Europa troviamo il Liechtenstein, vero paradiso fiscale per super ricchi selezionati, da dove proviene l'attuale presidente del Consiglio europeo Juncker.
L'Irlanda è famosa per il double Irish, il sistema che permette alla Apple di pagare il minimo consentito di tasse sugli enormi profitti.
Ma anche negli Stati Uniti ci sono paesi a fiscalità agevolata, come il Delaware.
Il futuro si dice che sia nell'estremo oriente, ovvero la piazza di Singapore.

Chi sono i signori dell'offshore.
Diversamente da quello che pensavo, solo il 30% dei capitali che finiscono nei paradisi fiscali sono di proprietà delle mafie. La maggior parte sono profitti delle multinazionali come Apple e Google. Di banche internazionali come Ubs e Credit Suisse. Nei paradisi troviamo le ricchezze dei super ricchi della terra che hanno deciso di nascondere dietro un Trust (uno scudo fiduciario) i loro beni.
Anche molte imprese italiane hanno società in paradiso (fiscale) o in paesi dalla fiscalità agevolata: dalla Fiat a Marcegaglia. Da Parlamat a Luxottica, Ferrero, Prada, Bulgari. I Riva avevano il loro gruzzolo nell'isola di Jersey mentre a Taranto la città soffocava sotto l'inquinamento dell'Ilva per le bonifiche che non si sono fatte. Dolce e Gabbana, condannati in appello per la “esterovestizione” del loro marchio.
Infine le banche italiane, specie quelle di sistema come Intesa San Paolo.
L'offshore:
È un’industria globale molto redditizia e ingegnosamente strutturata, progettata e gestita in primo luogo dalle più grandi banche del mondo, da una miriade di studi legali e società di revisione contabile dai nomi prestigiosi, con base a New York, Londra, Ginevra, Francoforte, Milano”.
Come funziona il meccanismo dell'offshore.
Il libro parte con una immagine: l'incontro del G8 all'Aquila del 2009, quando i grandi della terra (Berlusconi compreso) dichiararono la loro guerra ai paradisi fiscali.
Va chiarita una cosa: se esistono i paradisi fiscali è perché i governi per lunghi anni lo hanno permesso. Perché un grosso pezzo dell'economia e della politica si appoggia ad essi.
Mentre i cittadini soffocano sotto le tasse e le piccole aziende sotto i controlli e la burocrazia, le grandi imprese possono sfruttare tutti i cavilli e le regole (che non ci sono), per fare i loro comodi.
Ovvero: i governi non possono fare oggi la guerra all'evasione e all'elusione perché in realtà dovrebbero far la guerra a loro stessi.
Gli USA alle loro multinazionali come Google e Facebook, con sede in Irlanda ma i lobbisti a Washington.
In Italia non parliamo: il presidente del Consiglio del G8 a l'Aquila è stato condannato per frode fiscale avendo creato un impero offshore con cui creare fondi neri (il sistema B Fininvest).
Nel buco nero da 30000 miliardi di dollari ci sono dentro le tangenti dei politici, i profitti delle mafie, le plusvalenze delle multinazionali che poi finanziano le campagne elettorali dei politici.
Magari proprio quelli del rigore per i comuni mortali.
Sono le leggi che permettono questo: non è un caso che la famosa legge sull'autoriciclaggio, presentata dal governo Letta, sia stata lasciata morire dallo stesso Parlamento con la sua caduta. Renzi, l'innovatore, il rottamatore, nemmeno parla più di volontary disclosure, anticorruzione e autoriciclaggio.
Altrimenti le riforme con Berlusconi non passerebbero:
Il governo è costantemente in cerca di soldi. Ma dei paradisi fiscali, delle enormi ricchezze che contengono, di chi le possiede, di come vi arrivano, non si parla affatto; ed è perfino inutile sottolineare che l’argomento non entra mai, nemmeno per sbaglio, nel dibattito politico italiano: da cui, piuttosto, sono ormai usciti anche i termini evasione fiscale e corruzione”.
Da quando si parla di paradisi fiscale.
Sembra incredibile ma esiste una pista, sull'omicidio di Kennedy, che porta proprio ai paradisi fiscali, che già nel 1962 erano pozzi neri capaci di risucchiare i profitti delle grandi aziende americane.
Kennedy intendeva porre fine a questi privilegi. Ma non ne ebbe modo.

La guerra ai paradisi
Non tutti hanno ancora capito come la guerra ai paradisi fiscali sia una guerra per la difesa della democrazia. Il mondo oggi si sta trasformando in un enorme club di pochi super ricchi, cui tutto è concesso e, sotto, una marea di cittadini di democrazie svuotate.
Perché se è vero che le tasse in molti paesi (non solo l'Italia) sono alte, non è vero che i soldi sottratti alla fiscalità, cioè a noi, servono poi per creare posti di lavoro, per fare investimenti, per creare ricchezza.
Non è così almeno da noi in Italia, che si sta trasformanda dal paese dei capitalisti senza capitali al paese dei capitalisti coi capitali all'estero. E dove le tasse sono in crescita proprio per colpa di quelli che non le pagano.
Fino ad oggi la guerra ai paradisi è stata solo una foglia di fico.
Ma le persone all'Ocse con cui Nunzia Peneloper ha parlato ci credono, ora. Perché i governi, sempre più in crisi, non possono più far finta di niente.
Se fino ad oggi il sistema offshore era il lato B dell'economia mondiale, ora non è più tollerabile: chi sta dietro i fondi alle Virgin Island (uno dei paradisi), che stanno invendo in Cina, il maggior proprietario dei titoli di stato americani?
Possiamo accettare che i cinesi mettano le mani sui pezzi pregiati delle nostre industrie energetiche?
Possiamo accettare che il fondo Black Rock continui a fare shopping in Italia?
Come vedete, c'è un forte intreccio tra la salute delle democrazie e il mondo dell'offshore.

Ma per fare questa guerra serve una politica che non sia più complice o alleata al partito degli evasori ma che sia forte.
Il rischio, altrimenti, è arrivare ad un mondo a due velocità: come nel palazzo in Downtown Abbey (la serie TV incentrata su una famiglia aristocratica inglese), con la servitù sotto e gli aristocratici sopra. Separati non solo da un piano ma da un abisso sociale, economico.
Sarebbe paradossale ammettere che il nostro futuro è ritornare all'ottocento, non credete.
Come lo si spiega alle persone che pagano le tasse sempre e comunque? Alle imprese che rimangono in Italia, e che rispettano tutti gli adempimenti fiscali? Agli imprenditori che, piuttosto che al profitto a tutti i costi, pensano al futuro, ai tempi lunghi, ai posti di lavoro reali?



Alcuni spunti per la lettura:



La scheda del libro sul sito dell'editore Ponte alle grazie.

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