31 agosto 2014

I clienti di Avrenos, di Georges Simenon

Era ancora presto per i clienti, anche se uno studente che andava lì per Sadjidé era già al bancone del bar. Ma non valeva la pena di servirlo, tanto ordinava giusto qualche birra, che poi neppure beveva.
Chissà se Fellini ha mai letto questo romanzo di Simenon, ambientato nella Turchia degli anni '30, quando diresse "I vitelloni". Perché ci sono molti punti di contatto tra il film del regista italiano, coi suoi personaggi indolenti e senza alcuna apparente occupazione, e i personaggi di questo racconto. Altrattanto indolenti e capaci di occupare il tempo fumando hasish e bevendo Raki nei bar di Istambul.
Protagonisti della storia sono un uomo e una donna, quanto mai diversi per carattere e origine che si incontrano in uno dei tanti locali per uomoni costruiti ad Ankara da Mustafa Kemal, attorno ai palazzi della politica, il Chat Noir.

Attorno allo Chat Noir, che si predisponeva con indolenza alla sua vita notturna, non sorgeva una vera e propria città, ma una specie di avamposto, come se ne vedevano in America all’epoca della conquista del West.
Lei si chiama Nouchi, ha forse diciotto anni e viene da una famiglia povera di Vienna. Ed è decisa a non patire più la fame, a qualunque costo.
Anche per questo accetta la compagnia di questo signore all'apparenza distinto, Bernard de Jonsac, che passa il suo tempo libero con i soliti amici e lavora nell'ambasciata francese come Dragomanno (l'interprete).
Anche le altre volte che era stato lì aveva quel vestito. Forse era l’unico che possedeva, eppure sembrava sempre fresco di sartoria. «Come ti chiami?». «Bernard de Jonsac».

Assieme fuggono in Istambul, comportandosi come marito e moglie, sebbene non ci sia stato che un bacio sulla fronte e, nell'albergo dove alloggiano, Nouchi lo tratti quasi con freddezza:
Non esitava a scoprirsi il petto, per esempio, che lavava con l’acqua fredda strizzando la spugna fra i seni. Tuttavia, con lo sguardo, sembrava tracciare intorno a sé un cerchio proibito in cui Jonsac non doveva azzardarsi a entrare.
E marito e moglie lo diventano, per evitare a Nouchi l'espulsione dal paese (Nouchi è una straniera senza permesso e le autorità vogliono fare un po' di pulizia): per Bernard è il desiderio dell'avventura, forse non è nemmeno amore. Anche perché non riesce nemmeno a intuire i pensieri di Nouchi, che accetta la proposta per sfuggire dal destino di ballerina e anche qualcos'altro.

Nouchi entra nel giro degli amici di Bernard: un giornalista, un bey che prima della rivoluzione (che mise fine all'impero Ottomanno), un artista e la sua ombra, un banchiere senza più la banca.

"I tuoi amici sono persone poco interessanti" gli ripete la ragazza, che con lui instaura un rapporto particolare, facendosi corteggiare da un ricco proprietario svedese prima e da un importante uomo politico poi.
Nouchi lo irride, e il povero Bernard si lascia corrodere dalla gelosia ma è incapace di porre fine a questa ambigua situazione. Tutti sanno che sono una coppia, come tutti fanno la corte a questa ragazza civettuola e dagli occhi aguzzi.
Che cosa sarebbe accaduto? Già, che cosa poteva accadere? E com’era andata, esattamente? Era stato lui ad avere l’idea di portare con sé Nouchi e di vivere insieme? O invece era stata lei che gli si era appiccicata addosso? E tutte quelle domande sui soldi, sul lavoro! Era evidente che lo aveva preso per un avventuriero.
Ma Bernard non è un avventuriero, è solo un semplice impiegato dell'ambasciata francese, che evidentemente non poteva garantire a Nouchi un tenore di vita agiato, per abbandonare una volta per tutte la miseria:
Già, che cosa voleva? Che speranze poteva avere? Non era l’avventuriero che lei si era immaginata. Era soltanto un misero signorotto di campagna che, non avendo rendite sufficienti per vivere, aveva cercato di sfruttare la sua conoscenza delle lingue.
Non solo Nouchi si lascia corteggiare dal gruppo di amici importanti di Bernard, ma addirittura lo spinge tra le braccia di una bella ragazza italiana, Clelia, ricca e di buona famiglia, che dopo una notte a base di champagne e droga su un caicco, tenta pure il suicidio.
E' la prova generale di una tragedia più grande che avverrà in seguito al goffo tentativo di Bernard di sedurla, a casa sua e di Nouchi.

Ma le cose si aggiusteranno lo stesso, sia perché a famiglia della ragazza intende mettere a tacere tutto, sia per l'intervento dell'amico politico (l'astro nascente del ministro ..).
Perché siamo in Turchia e
«qui bisogna accettare la vita come viene».La dolce vita tra le ricche ville sul Bosforo, sui panfili dei signori, tra i clienti del bar di Avrenos, può continuare. Come può continuare lo "strano" rapporto tra Nouchi e Bernard.

C'è molta introspezione psicologica nei personaggi, con una sorta di critica della borghesia corrotta e indolente e con un forte personaggio femminile, come in altri romanzi di Simenon.
Tutto il racconto è dominato dalla figura ambigua di Nouchi, la ballerina di locali notturni, dal misero passato viennese, che una sera è pure stata ospite del Gazi, ovvero Mustafa Kemal, il presidente della Turchia, un personaggio silente che rimane in sottofondo per tutte le pagine del libro.
E' attorno a lei che si muove tutta la storia: attorno al suo desiderio di abbandonare la fame a tutti i costi, alla sua visione sprezzante sull'amore:
La voce di Nouchi aveva un tono di sprezzante benevolenza. «Non sa che l’amore è solo una merce che si può barattare con un pezzo di cioccolato o...».
E' per lei che Bernard trascura il lavoro all'ambasciata e i suoi possedimenti in Francia (che stanno andando in rovina e che gli permetterebbero una vita almeno dignitosa). E' per seguire i suoi consigli, che arriva a corteggiare Clielia.
E' lei che rimane al centro del gruppo di sfaccendati, nobili decaduti, pronti a farle la corte. E la vita che scorre senza nessuna precisa direzione, in questa Turchia decadente..

La scheda del libro sul sito di Adelphi
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30 agosto 2014

La banalità del male - Eichmann a Gerusalemme di Hannah Arendt


La giustizia non permette nulla di tutto questo: richiede isolamento, vuole più dolore che collera, prescrive che ci si astenga il più possibile dal mettersi in vista.

Sono stato spinto alla lettura di questo saggio della filosofa Hanna Arendt dopo aver visto il bel film di Margarethe Von Trotta (rimasto purtroppo nelle sale solo per pochi giorni, per lasciar spazio alle cine- immondizie): sono grato a chi mi ha spinto all'approfondimento letterario perché “La banalità del male” è una di quelle letture, impegnative, che però ti allargano la mente. 


Tanti altri autori (da Primo Levi a Simon Wiesenthal) si sono occupati della Shoa, di come funzionava la macchina dello sterminio, il male assoluto del secolo passato. Ma in questo libro l'autrice fa un passo avanti: ha cercato di dare una spiegazione, il genocidio degli ebrei (e dei comunisti, degli zingari, degli omossessuali, delle vite indegne) da parte dei nazisti. Chi erano queste persone che hanno architettato la macchina dello sterminio? Erano dei sadici violenti oppure persone comuni che smisero di pensare come uomini, con la loro mente, in un momento particolare della storia europea?

Queste risposte furono messe nero su bianco nei suoi articoli scritti per il New Yorker, in occasione delle sedute del processo ad Adolf Eichmann, a Gerusalemme, nel 1961. E furono articoli che suscitarono numerose polemiche.
I giudici, e in particolare il procuratore che sostenne l'accusa, cercavano il mostro, per un processo che doveva avere più valenza politica che non dare giustizia alle vittime del più grande genocidio moderno.
Ma i giudici si trovarono di fronte solo un mediocre burocrate di stato, cresciuto in una misera famiglia, con l'ambizione di entrare nell'alta società. Con la sindrome da perseguitato della sfortuna.
Quanto più lo si ascoltava, tanto più era evidente che la sua incapacità di esprimersi era strettamente legata ad un’incapacità di pensare dal punto di vista di qualcun altro. Comunicare con lui era impossibile, non perché mentiva, ma perché le sue parole e la presenza degli altri, e quindi la realtà in quanto tale, non lo toccavano.
Lui, Adolf Eichmann, nato a Linz nel 1907 era diventato tristemente famoso perché a capo dell'ufficio B-4 della sezione IV delle SS, l'esperto della questione ebraica all'interno del Terzo Reich, su cui gli alti vertici delle SS scaricarono tutte le colpe relativamente alla soluzione finale.
E' vero: il suo ufficio fu responsabile per le deportazioni degli ebrei da tutti i territori annessi al Reich millenario (nelle intenzioni di Hitler) prima, e delle evacuazioni ad est poi, quando al problema della questione ebraica fu data una soluzione "finale".
Da una vita monotona e insignificante era piombato di colpo nella “storia” , cioè, secondo la sua concezione, in un “movimento” che non si arrestava mai e in cui una persona come lui – un fallito sia agli occhi del suo ceto e della sua famiglia che agli occhi propri – poteva ricominciare da zero e far carriera”.


Eichmann non era il mostro: era semplicemente un uomo che aveva obbedito alle leggi criminali dell'epoca in cui viveva, senza opporsi, senza chiedersi se violassero qualche principio superiore.
Sta tutta qui la mostruosità che Hannah Arendt ha raccontato nel suo resoconto nato seguendo il dibattimento in aula per il processo a Gerusalemme.
La banalità del male, dell'uomo senza pensieri propri: “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso”.


Ma il lavoro importante della giornalista fu anche quello di riportare ai suoi lettori la ricostruzione della macchina dello sterminio, per come emerse dal dibattimento in aula. 
Non solo Eichmann non aveva tutti i poteri esecutivi che gli furono imputati (erano molti gli uffici nel Reich che si occupavano materialmente della deportazione degli ebrei e della loro liquidazione), ma Eichmann si occupò prima ancora della soluzione finale, della della loro deportazione fuori dal suolo occupato dai tedeschi. 
Veramente Eichmann avrebbe spostato tutti gli ebrei in Madagascar, come gli era stato inizialmente ordinato. Non solo, era così “onesto”, nel suo lavoro (uso impropriamente questo termine e mi dispiace), che non fu uno che si arricchì con gli ebrei: egli faceva parte dell'ala non moderata delle SS, diversamente da Himler, per esempio, che predispose per gli ebrei ricchi dei campi di concentramento dove si poteva sopravvivere (come il ghetto Theresiendstadt, campo dei vecchi di Bergen Belsen).
L'arresto illegale di Eichmann era giustificabile (e così fu infatti giustificato agli occhi del mondo) solamente perché già si sapeva come si sarebbe concluso il processo.Qui però si vide che il ruolo a lui attribuito nella soluzione finale era stato grandemente esagerato - un po' per le sue vanterie , un po' perché a Norimberga e in altri processi i criminali di guerra avevano cercato di scaricare su di lui le colpe, e molto perché i funzionari ebraici avevano avuto rapporti quasi esclusivamente con lui, essendo egli l'unico funzionario tedesco "esperto in affari ebraici".
Per colpa della sua memoria (che ricordava episodi banali, ma non le tappe fondamentali della pianificazione dello sterminio) Eichmann, non riuscì a discolparsi (ne avrebbe potuto farlo del tutto) sui capi di imputazione che l'accusa gli imputò:
Da alcune occasionali menzogne [i giudici] preferirono concludere che egli era fondamentalmente un “bugiardo” – e così trascurarono il più importante problema morale e anche giuridico di tutto il caso. Essi partivano dal presupposto che l’imputato, come tutte le persone “normali”, avesse agito ben sapendo di commettere dei crimini; e in effetti Eichmann era normale nel senso che “non era una eccezione tra i tedeschi della Germania nazista”, ma sotto il Terzo Reich soltanto le eccezioni potevano comportarsi in maniera “normale”. Questa semplice verità pose i giudici di fronte ad un dilemma insolubile, e a cui tuttavia non ci si poteva sottrarre”.

Eichmann sapeva dei campi di sterminio, conosceva il vero significato dell'espressione trattamento speciale, sapeva che il suo lavoro significava la morte di migliaia di persone: ma probabilmente è altrettanto vero che non uccise mai nessun ebreo di persona, né partecipò e vide lo sterminio nei campi

Il fatto è che Eichmann non vide molto. È vero, egli visitò più volte Auschwitz, il più grande e il più famoso dei campi della morte, ma Auschwitz, che si trovava nell’Alta Slesia e che si estendeva per una superficie di quasi trenta chilometri quadrati, non era soltanto un campo di sterminio: era una gigantesca industria e contava fino a centomila ospiti, dove tutti i tipi di prigionieri erano rappresentati, anche i non ebrei e i forzati non destinati alla morte per gas. Era facile evitar di vedere gli impianti di sterminio..”.
La questione della crisi di coscienza
Un argomento importante affrontato nei suoi articoli e nel libro è quello relativo alla crisi di coscienza dei tedeschi, durante la guerra. Si resero conto, gli ufficiali che presero parte al complotto contro Hitler, di quello che stavano facendo? C'era un'opposizione interna che si rendeva conto della mostruosità che stava avvenendo?
La legislazione dello stato ebraico cui i giudici facevano riferimento era evidentemente riferita agli ebrei che collaborarono allo sterminio (ma su questo l'autrice ritornerà più avanti):

Dappertutto, nell’operazione di sterminio, i tedeschi si erano serviti di Sonderkommando ebraici, cioè di “unità speciali” che avevano commesso atti criminosi “al fine di salvarsi dal pericolo immediato di morte”, e i Consigli degli anziani ebraici avevano collaborato perché speravano di “sventare conseguenze più gravi di quelle concretamente verificatesi”.

La conclusione cui giunse la corte fu che non fosse vero che non ci si poteva sottrarre all'ordine, perché si rischiava la corte marziale:
Una volta egli disse che l’unica alternativa sarebbe stata per lui il suicidio; ma questa era una menzogna, poiché noi sappiamo che elementi delle squadre di sterminio lasciavano quel lavoro con stupefacente facilità, senza gravi conseguenze per la propria persona”.
Relativamente agli alti ufficiali implicati nella congiura di luglio 1944
Il coraggio di molti di loro fu ammirevole, ma non fu ispirato da sdegno morale o dal rimorso per le sofferenze inflitte ad altri esseri umani; essi furono mossi quasi esclusivamente dalla certezza che ormai la sconfitta e la rovina della Germania erano inevitabili”.

Pensavano di poter scendere ancora a patti con gli alleati, nonostante le colpe, nonostante lo sterminio, nonostante le leggi razziali.
Illusi, come illuso lo era anche Himmler:

L’ordine dato da Himmler nell’autunno del 1944 di sospendere lo sterminio e di smantellare gli impianti dei campi della morte, fu dovuto al fatto che egli era assurdamente ma sinceramente convinto che le potenze alleate avrebbero saputo apprezzare e ricompensare questo gesto”.
La collaborazione degli ebrei:
Un tema che suscitò sia in Israele che in America molte polemiche, anche all'interno della cerchia di intellettuali che Arendt frequentava, fu la collaborazione dei ebrei stessi con i nazisti, per l'organizzazione della macchina dello sterminio.
Il contrasto tra l'eroismo del nuovo Israele e la rassegnata sottomissione con cui gli ebrei andavano a morte (arrivando puntuali ai centri di smistamento, recandosi con i ropri piedi ai luoghi di esecuzione, scavandosi la fossa con le proprie mani, spogliandosi da sé e ammucchiabdo in bell'ordin le vesti, ditendendosi l'uno accanto all'altro per essere uccisi) sembrava un buon argomento, e il pubblico ministero, cercando di sfruttando al massimo, si reoccupò do chiedere a tutti i testimoni: "Perché non protestavate? Perché salivate sui treni? .."
Non stiamo parlando dei Sonderkommando, gli ebrei che si occupavano dell'accoglienza degli ingressi nei campi di sterminio, affinché non ci fossero “problemi”, intoppi nel processo di morte.
Erano coloro che, in cambio di pochi privilegi, dovevano convincere che dalle docce sarebbe scesa acqua, che avrebbero poi cremato i corpi, recuperandone tutto ciò che si poteva dai corpi. Illuminante, in proposito il film “La zona grigia” di Tim Blake Nelson. 

Hanna Arendt intendeva la collaborazione dei vertici delle comunità ebraiche con le SS
Eichmann o i suoi uomini comunicavano ai Consigli ebraici degli Anziani quanti ebrei occorrevano per formare un convoglio, e quelli preparavano gli elenchi delle persone da deportare. E gli ebrei si facevano registrare, riempivano innumerevoli moduli , rispondevano a pagine e pagine di questionari riguardanti i loro beni, in modo da agevolarne il sequestro; poi si radunavano nei centri di raccolta e salivano sui treni. I pochi che cercavano di nascondersi o di scappare venivano ricercati da uno speciale corpo di polizia ebraico. A quanto constava ad Eichmann, nessuno protestava, nessuno si rifiutava di collaborare [..] “qui la gente parte continuamente, diretta verso la propria tomba”, disse un osservatore ebraico a Berlino nel 1943”.
Non fu una collaborazione forzata (i sonderkommando erano liquidati ogni quattro e rimpiazzati da altri detenuti), ma bensì queste strutture (fortemente volute da Eichmann) resero possibile lo sterminio, giorno dopo giorno, senza intoppi burocratici: 

“Senza l’aiuto degli ebrei nel lavoro amministrativo e poliziesco (il rastrellamento finale degli ebrei a Berlino, come abbiamo accennato, fu effettuato esclusivamente da poliziotti ebraici), o ci sarebbe stato il caos completo oppure i tedeschi avrebbero dovuto distogliere troppi uomini dal fronte.[..]È per questo che l’insediamento di governi fantoccio nei territori occupati fu sempre accompagnato dalla creazione di un ufficio centrale ebraico e, come vedremo più avanti, dove i nazisti non riuscirono a insediare un governo fantoccio, neppure riuscirono a ottenere la collaborazione degli ebrei”.

Concluse l'autrice con una frase che le costerà l'amicizia di molte persone nel suo stesso paese:
La verità vera era che se il popolo ebraico fosse stato realmente disorganizzato e senza capi, dappertutto ci sarebbe stato il caos e la disperazione, ma le vittime non sarebbero state quasi sei milioni”.
Il crollo morale della società europea e tedesca
Perché è successo tutto questo?

Perché quello che a noi oggi appare mostruoso, è potuto accadere nella civilissima Europa?

Se né Eichmann (né tantomeno Himmler) erano dei sadici, come hanno potuto accettare il genocidio senza porsi dei problemi di coscienza?

Abbiamo visto come l'indottrinamento delle SS (e anche del popolo tedesco) abbia puntato sul concetto di missione finale, la liberazione del Reich dagli ebrei (e dagli altri gruppi insani), da portare avanti senza scrupoli. Scrive l'autrice a proposito delle motivazioni dei nazisti:

È degno di nota, però, che Himmler non tentasse quasi mai di darne una motivazione ideologica.Ciò che colpiva di più le menti di quegli uomini che si erano trasformati in assassini, era semplicemente l’idea di essere elementi di un processo grandioso, unico nella storia del mondo (“un compito grande , che si presenta una volta ogni duemila anni”) e perciò gravoso. Questo era molto importante, perché essi non erano sadici o assassini per natura; anzi, i nazisti si sforzarono sempre, sistematicamente, di mettere in disparte tutti coloro che provavano un godimento fisico nell’uccidere.

L'autrice parla esplicitamente di un “crollo morale” della società, che non volle vedere, non volle chiedersi dove finivano gli ebrei ad est (e che ancora prima non si fece troppi problemi nel vedere sparire i malati di mente o i bambini deformi, col programma Aktion T4).
E in effetti la sua coscienza si tranquillizzò al vedere lo zelo con cui la "buona società" reagiva dappertutto allo stesso modo. Egli non ebbe bisogno di "chiudere gli orecchi", come si espresse il verdetto, per non ascoltare la voce della coscienza: non perché non avesse una coscienza, ma perché la sua coscienza gli parlava con una "voce rispettabile" la voce rispettabile della società che lo circondava”.
Se un mostro andava trovato, questo era un mostro diffuso nelle teste degli europei, dove era (o è ancora oggi) putroppo diffuso, in modi diversi, l'antisemitismo.
Un caso che fece eccezione, fu quello danese:
Quando i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a introdurre un distintivo giallo, essi risposero che il re sarebbe stato il primo a portarlo, e i ministri danesi fecero presente che qualsiasi provvedimento antisemita avrebbe provocato le loro immediate dimissioni”.
Hannah Arendt parla anche dei vuoti di oblio, dove nascondere le tracce dello sterminio e anche gli oppositori interni:
E' vero che il regime hitleriano cercava di creare dei vuoti di oblio ove scomparisse ogni differenza tra il bene e il male, ma come i febbrili tentativi compiuti dai nazisti dal giugno del 1942 in poi per cancellare ogni traccia dei massacri (con la cremazione, con l'incendio dei pozzi, con gli esplosivi e i lanciafiamme e macchine che frantumavano le ossa) furono condannati al fallimento, così anche tutti i loro sforzi di far scomparire gli oppositori "di nascosto, nell'anonimo", furono vani. I vuoti di oblio non esistono. Nessuna cosa umana può essere cancellata completamente e al mondo c'è troppa gente perché certi fatti non si risappiano: qualcuno resterà sempre in vita per raccontare.
Critica alla sentenza di condanna
Gli ultimi capitoli del libro sono una critica ragionata sulla sentenza di condanna, sulla competenza della corte, un confronto col precedente processo di Norimberga del 1946 e un'indicazione su come si sarebbe dovuto procedere, portando il procedimento a livello delle Nazioni Unite, poiché si parla di crimini contro l'umanità.


Questi i capi per cui Eichmann era imputato

- C'era in primo luogo la questione della parte avuta da Eichmann nelle stragi compiute dagli Einsatzgruppen, istituiti da Heydrich in una riunione nel marzo del 1941.
- Il secondo punto riguardava la deportazione degli ebrei dai ghetti polacchi ai vicini centri di sterminio.
- Il terzo punto riguardava la responsabilità di Eichmann per ciò che accadeva nei campi di sterminio, dove secondo l'accusa egli godeva di grande autorità.
- al quarto e ultimo punto, che riguardava l'autorità di Eichmann in generale nei territorio orientali: la questione se egli fosse o meno responsabile delle condizioni di vita indicibilmente miserevoli che regnavano nei ghetti, e della liquidazione di quei centri

Abbiamo visto come la sua responsabilità era limitata, per quanto riguarda gli Einsatzgruppen (erano reparti di polizia) sia per quanto riguarda la vita nei campi.
Il suo compito era seguire la logistica del trasferimento verso est: il rastrellamento, la schedatura, la creazione dei convogli (che dovevano essere sempre pieni, per non sprecare il carico).

Eichmann fu rapito dai servizi israeliani in Argentina per essere processato: tutto ciò fu possibile perché era “apolide”, come lo erano diventati gli ebrei dopo le leggi naziste sulla soluzione finale create dopo la conferenza di Wansee nel 1941.
Apolidi gli ebrei che, così, perdevano tutte le dignità nei paesi in cui si erano rifugiati.
Apolide anche l'organizzatore delle loro deportazioni. Che era fuggito in Argentina con l'aiuto di Odessa.
Se la corte di Gerusalemme poté giudicare Eichmann fu solo perché di fatto gli era un apolide, e solo per questo. Ed Eichmann, benché non fosse un giurista, non dovette meravigliarsene: tutta la sua carriera gli insegnava che degli apolidi si poteva fare quello che si voleva, tanto che per sterminare gli ebrei si era dovuto prima provvedere a renderli senza patria”.
Le ultime parole.
"Tra breve signori ci rivedremo. Questo è il destino di tutti gli uomini. Viva la Germania, viva l'Argentina, viva l'Austria. Non le dimenticherò".Di fronte alla morte aveva trovato la bella frase da usare per l'orazione funebre. Sotto la forca la memoria gli giocò l'ultimo scherzo: egli si sentì "esaltato" dimenticando che quello era il suo funerale.Era come se in quegli ultimi minuti egli ricapitolasse la lezione che quel suo lungo viaggio nella malvagità umana ci aveva insegnato - la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male.
Sulla competenza del tribunale di Gerusalemme:
Se la corte di Gerusalemme avesse capito che c'è una differenza tra discriminazione, espulsione e genocidio, avrebbe subito visto chiaramente che il crimine supremo che essa doveva giudicare , lo sterminio fisico degli ebrei, era un crimine contro l'umanità, perpetrato sul corpo del popolo ebraico; [..] nella misura in cui il crimine era un crimine contro l'umanità, per far giustizia occorreva un tribunale internazionale”.
Infine, i limiti del tribunale di Gerusalemme.
Insomma se il Tribunale di Gerusalemme in qualche cosa fallì, fu perché non si affrontarono e non si risolsero tre questioni fondamentali, tutte e tre già ben note e ampiamente discusse fin dal tempo dell'istituzione del Tribunale militare di Norimberga: evitare di celebrare il processo dinanzi alla corte dei vincitori; dare una valida definizione dei "crimini contro l'umanità"; capire bene la figura del criminale che commette questo nuovo tipo di crimini”.
In sintesi, le questioni fondamentali non risolte furono:
- la corte non ammise i testimoni della difesa
- la sentenza fu incomparabilmente migliore delle sentenze emesse a Norimberga. Il crimine di Eichmann non fu messo sullo stesso piano dei comuni crimini di guerra, ma non si accennò mai alla possibilità che lo sterminio di interi gruppi fosse qualcosa di più che un crimine contro ciascuno dei popoli
- questo nuovo tipo di criminale, realmente hostis generis humanis, commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male. Eichmann è stato volontario strumento di sterminio.

Capitoli del libro
La corte.

La storia di Eichmann: l'infanzia, il primo lavoro, spirito da gregario/burocrate: necessità di appartenere ad un gruppo, per entrare nella storia. Desiderio di rivalsa dopo i fallimenti nella vita.
L'esperto di questioni ebraiche.

La prima soluzione al problema ebraico: le espulsioni.
La seconda soluzione: il concentramento nei ghetti.

La soluzione finale: lo sterminio.
La conferenza di Wanse, ovvero Ponzio Pilato.

I doveri di un cittadino ligio al dovere.
Le deportazioni:
- dal Reich
- dall'Europa occidentale
- dai Balcani, Jugoslavia, Grecia, Bulgaria e Romania
- dall'Europa centrale (Ungheria e Slovacchia)
- I centri di sterminio dell'Europa orientale.
- Prove e testimonianze
- Condanna, appello ed esecuzione
- Epilogo


La scheda del libro sul sito dell'editore Feltrinelli.
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Sotto il cono nulla

Le battute si sono sprecate, in rete e fuori: d'altronde se ad una provocazione (come quella de l'Economist che fa gli interessi suoi) si risponde con un'altra provocazione, questo è quello che si ottiene.
Proprio non serve a nulla, la scenetta col carretto dei gelati, in un momento come questo, dove il paese è in deflazione e non ci sono al momenti spiragli per essere ottimisti.
A parte essere Renzi. Il 40% e passa non dovrebbe far dormire lui, non gli italiani, che a furia di promesse, si potrebbero anche accorgere che il gelato sarà anche buono, ma si scioglie in fretta.

Due cose sono uscite dal cdm di ieri: la giustizia (dove la parte più rognosa è stata relegata in un disegno di legge) e lo sblocca Italia. Dove si sono prese risorse da una parte per metterle nei cantieri ritenuti più urgenti o importanti.
Ma i veri soldi per veri investimenti sul territorio, non ci sono. Altro che 40 miliardi e passa. Sono i soliti regali ai re delle autostrade, soldi per sbloccare metrò in alcune città (tra cui Roma e Firenze). L'alta velocità Napoli Bari e l'hub di Fiumicino per gli arabi.

Niente precari nella scuola, niente ecobonus, niente per le scuole.
Speriamo almeno che il ragazzo col carrello siano uno che gli 80 euro li ha presi.

26 agosto 2014

Sulle orme di Parmenide a Velia

Un'altra meta consigliata nel Cilento: gli scavi di Velia, l'antica Elea, vicino Ascea. Qui, laddove oggi sono solo rovine su una collina che si affaccia al paese, nel V sec. a.c. c'era una piccola città ma con un'importante scuola filosofica,quella di Parmenide e dell'allievo Zenone. Da visitare oggi c'è la città bassa, il palazzo degli affreschi,l'acropoli con la torre medioevale e l'imponente Porta Rosa,uno dei pochi esempi di porta ad arco nella magna Grecia.
Un consiglio: la biglietteria chiude un'ora prima del tramonto, diciamo alle 18, venite per tempo. Io ho voluto posare i piedi nudi sulle pietre dove Parmenide insegnava agli allievi che "l'essere è e il non essere non è".
La porta Rosa

La villa degli affreschi


24 agosto 2014

I soliti noti (estate 2014)

Nell'intervista al settimanale Cl Tempi, il presidente Renzi ci dice che bisogna finirla col capitalismo fatto di relazioni e che si deve togliere il pagamento paese dalle mani dei "soliti noti".
Ha scelto proprio il giornale giusto per una dichiarazione del genere, viste le ottime relazioni che Cl (e Cdo) hanno con la politica, per gli accreditamenti privati su sanità e istruzione.
Forse è per questo che ha fatto le riforme istituzionali con Berlusconi e Verdini, per questo che si tiene Alfano agli interni, che concorda la riforma delka giustizia col berlusconiano Caliendo.
Per questo che ha piazzato i renziani dalla Toscana nei ministeri e gente come Marcegaglia e Moretti nelle grandi società pubbliche.

23 agosto 2014

La politica dei selfie

C'era una volta il tavolo di Porta a porta su cui siglare programmi di governi pieni di promesse non mantenute. Oggi l'evolversi dei tempi e le nuove tecnologie hanno portato alle slide di powerpoint con le fantomatiche linee guida per le riforme e ai tweet.
Ma la sostanza è la stessa: Berlusconi poteva annunciare trionfante che avrebbe sconfitto il cancro, Renzi si immortala con un selfie mentre si tira la secchiata d'acqua, per la raccolta fondi per la Sla. Quando gli stessi governi tagliano i fondi per la ricerca e per la cura dei malati di Sla.
Perché l'importante è l'immagine, lo slogan, il messaggio.
Poi i problemi rimangono e si deve agire in emergenza: emergenza rifiuti, immigrati, criminalità, affollamento per le carceri, e ora il terrorismo degli estremisti islamici.
Con cui nessun dialogo. Noi che abbiamo trattato già in Iraq ai tempi di B., abbiamo trattato  con Gheddafi e indietro fino alla mafia.

22 agosto 2014

I templi e il museo di Paestum

Se avete la possibilità, andate a visitare il sito archeologico di Paestum, nel Cilento in prov di Salerno: i templi eretti dai coloni greci sono ancora in ottimo stato e, assieme alle rovine, ci mostrano oggi come si viveva nelle antiche polis greche. Anche il museo merita una visita: sia per i preziosi reperti (come la tomba del tuffatore, con tutte le sue allegorie sulla morte), ma anche per le ricostruzioni fatte dagli studiosi sui colori della cultura. Nei templi, sui vestiti, nelle case.
Sono i templi meglio conservati e la sensazione che si prova di fronte ad essi è di grande imponenza.
Farete fatica a trovare le rose di Paestum, citate perfino da Ovidio:il custode che le curava è andato in pensione e ora non c'è più nessuno. Cose che succedono in Italia.

19 agosto 2014

Boccaloni

Il prelievo sulle super pensioni per avere soldi da dare ad esodati o per le tasse.
Il piano shock per l'economia.
L'ennesima riforma della giustizia per abbassare la durata dei processi.
L'accordo segreto, o trattativa (parola che piace tanto ai ns. politici).
La grande riforma del lavoro per i giovani. Il salva Italia, cresci Italia, sblocca Italia (più cantieri per tutti). Il prossimo sarà resuscita Italia.

Cambiano i governi, ma non cambiano i titoli dei giornali in estate.  Forse perché la musica è sempre la stessa.
Articolo 18, abbassiamo le tasse, sburocratizziamo, giustizia in tempi certi (per i ricchi si intende). Il patrimonio artistico da valorizzare. Le riforme che ce lo chiede l'Europa. Come se bastasse sbandierare la fine del bicameralismo per avere una deroga dai patti in Europa che Noi abbiamo firmato.  Forse Renzi confonde l'Unione con JP Morgan. Quando la banca criticava le costituzioni nate dalle lotte contro i fascismi.

La trattativa con l'Europa non esiste. L'articolo 18 è solo un paravento per non parlare dell'assenza di una politica industriale. Le carceri scoppiano ma non costruiamo nuovi istituti. Si lasciano liberi corrotti ed evasori mentre si fanno leggi che mandano in galera chi ha una bomboletta spray.
Tanto valeva essere passati da B a Monti a Letta al signor Renzi. Il debito galoppa, la crisi peggiora e si mangia redditi e posti di lavoro. L'anno scorso abbiamo sprecato mesi e miliardi per l'Imu di Berlusconi e ora per gli 80 euro di Renzi.
Ma si continua a sperare e a creare attese. I boccaloni per i titoli di agosto non mancano.

08 agosto 2014

Alla fine di un anno (non) noioso ….

Come ha consigliato Renzi, me ne vado in vacanza tranquillo, sapendo che c'è un governo che pensa per me e per tutti, gufi e sciacalli compresi.
Perché la strigliata di Draghi non era contro l'Italia: ce l'aveva con qualcun altro (come quel tizio che fa la mano morta e poi dice “che è mia 'sta mano?”).
Perché dopo la riforma del Senato è fatta. Avremo un modello istituzionale cucito addosso all'esecutivo.

Le riforme sul lavoro (la prima cosa che han pensato tutti alle parole di Draghi) stanno già dando i risultati: lo studio della CGIL sui dati del ministero del lavoro, dice che nel primo trimestre del 2014 il 67% delle assunzioni sono state a tempo determinato (anche per un mese, anche per un giorno). +2,8% rispetto al passato e un -8% a tempo indeterminato. Non siamo ancora ai tempi degli antichi egizi, ma dai, ci siamo quasi.
Ci sarebbero anche i rimbrotti dell'ambasciatore francese, sulla spesa italiana in cultura che in Italia è solo lo 0,2%, mentre in Francia è cinque volte tanto.
Ma ora ci penseranno i privati.
Ad educare le future generazioni ci penseranno i professori Schettino e Briatore. Ma anche il padre costituente Berlusconi potrebbe dare qualche lectio magistralis.


Posso rilassarmi allora, con qualche lettura estiva anche un po' fuori dagli schemi.
A cominciare dal libro di Hanna Arendt, “La banalità del male”.
Per passare poi a Georges Simenon “I clienti di Avrenos”.


Ma solo scrittori stranieri? Tranquilli, mi rileggerò “Venere privata” di Scerbanenco.
Oddio, Giorgio Scerbanenco è italiano un po' come lo sono Balotelli o Osvaldo.
Non ho molto altro da aggiungere, sull'Italia, sull'Europa, anche perché correrei il rischio di ripetermi. E non c'è niente di peggio che passare per noioso.
Vi lascio con questo frammento di poesia:

“O mare, dietro di te ho un paradiso nel quale mi vestii di felicità e non di sventura. Mentre io cercavo in quella terra un radioso mattino, tu ponesti tra me ed essa una cupa sera. Se i miei voti fossero esauditi, nel caso che il mare me ne impedisse l'incontro, cavalcherei il falcetto di luna a mo' di barca fino ad abbracciare in essa il sole”. Ibn Hamdis

07 agosto 2014

Quale Europa

"Per i Paesi dell'Eurozona è arrivato il momento di cedere sovranità all'Europa per quanto riguarda le riforme strutturali".
Qual é l'Europa cui Draghi fa riferimento, quella a cui cedere sovranità nazionale, quella che dovrebbe fare le riforme per conto dei paesi nazionali?
Perché in Europa ci sono i rappresentanti eletti alle scorse europee: non proprio la creme.
Perché abbiamo già ceduto abbastanza all'Europa: il controllo sulle finanziarie, il pareggio di bilancio.

"i Paesi che hanno fatto programmi convincenti di riforma strutturale stanno andando meglio, molto meglio di quelli che non lo hanno fatto o lo hanno fatto in maniera insufficiente".
I paesi messi meglio di noi, come la tanto citata Spagna, hanno fatto le riforme, ma hanno anche fatto debito.
A chi dovremmo cedere sovranità, alla BCE? Alla Troika per fare la fine della Grecia?
Faranno loro le riforme per dare la caccia ai soldi degli evasori nei paradisi fiscali? Ai corruttori? Alle mafie?
Non c'è abbastanza antieuropeismo in circolazione?

Vacanze in giallo

Vacanze in giallo
Alicia Giménez-Bartlett, Marco Malvaldi, Antonio Manzini, Francesco Recami, Alessandro Robecchi, Gaetano Savatteri

Il romanzo giallo non va in ferie o, meglio, ad andare in vacanza sono i protagonisti di questi sei racconti che, pur essendo in ferie o in partenza per un periodo di riposo, sono costretti a rivestire i panni dell'investigatore. O qualcosa del genere.
Così Petra Delicado, la protagonista del racconto di Alicia Giménez-Bartlett, si ritrova in vacanza assieme ai figliastri del compagno che si improvvisano investigarori dilettanti nei confronti di uno strano ospite dell'albergo.
Ma impareranno presto la lezione:
"L'insegnamento è che non esiste nessuno al mondo che assomigli ad un delinquente come un poliziotto".
Mentre per Petra la lezione sarà, mai più vacanzi da sola coi ragazzi.

"Via De Gasperi è uno stradone largo che attraversa il quartiere Gallaratese, anzi è un grande Zambesi di cemento da cui si dipartono fiumi minori, vie più strette, che si inoltrano tra casermoni residenziali. Piano piano ce la sta facendo a diventare Milano.
Quando hanno messo in piedi tutta 'sta foresta di palazzoni, dietro lo stadio e vicino agli snodi delle tangenziali, metà anni settanta, sembrava una landa sperduta tra le brume, con la città laggiù, dove l'orizzonte si sporcava di luce e di smog. Ora c'è luce e smog anche qui, un bel passo avanti".

Carlo Monterossi, il produttore di format televisivi (o "fabbrica della merda") inventato da Robecchi, deve ingegnare un piano per recuperare i soldi persi in una truffa.

Il vicequestore Schiavone (e non commissario, mi raccomando, altrimenti si arrabbia) vorrebbe partire in aereo per Marsiglia, dove avrebbe desiderato andare a passare i suoi giorni con Marina (la moglie morta ..):
"Forse sarebbe stato meglio a Stintino con Seba, oppure con Brizio e Furio al Circeo. Almeno la notte non sarebbe stato un buco nero. Una zona di non ritorno che neanche il sole pallido dell'alba avrebbe rischiarato. Era stufo di rimepire quello spazio con incontri casuali, senza senso, senza spessore e senza vita".
Ma si imbatte in un italianissimo contrattempo, prima della partenza del volo.

Gaetano Savatteri invece ambienta il suo racconto in Sicilia: Saverio Lamanna è il portavoce di un sottosegretario appena trombato (lui, non il sottosegretario) che decide di tornarsene a casa, a Trapani. In volo per Palermo incrocia un amico prete, don Franco Pitrone, che lo invita agli stati generali per la legalità: un incontro dove sono invitati a parlare di mafia magistrati, politici e tanti esponenti di spicco dell'antimafia.
Qui Saverio si imbatterà in un omicidio, mascherato da delitto semipassionale, che gli verrà confessato proprio in confessione.
«Saverio, ti prego, fammi parlare. Palermo è una città insanguinata. Lapidi, commemorazioni, strade, piazze, alberi. Tutto parla di morte. Tutto parla di mafia, ma parla anche di una lotta eroica, grandiosa, titanica tra il bene e il male, tra i giusti e gli ingiusti. Tu lo sai che da una vita cerco di tenere insieme questo fronte. Ma il lato giusto è fragile, esposto alle ambizioni personali, ai fanatismi, alla cecità della buona fede, alla corruzione del potere. [..] Ma per vincere questa lotta ci vogliono anche i meno buoni, gli impuri».
«Impuri come te».
«Si, come me. I peccatori, quelli che non hanno paura di sbagliare perché sanno che ci sono voluti i morti, gli errori, il martirio e l'ambizione per arrivare dove siamo arrivati oggi. E molto altro ancora c'è da fare. Ma uniti, Saverio ..».
Francesco Recami ci porta a Milano Marittima, per un giallo con protagonista il pensionato Amedeo Consonni in vacanza in una pensione assieme al nipote, alla figlia e al suo nuovo compagno.
A spasso in una pineta assieme al nipote, trovano i cadaveri di due uomini in una posizione alquanto imbarazzante.
Cadaveri che poi spariscono e che, chiaramente, generano molto rumore nella popolazione vacanziera della riviera.
Il caso dei cadaveri scomparsi (o dei finocchi scomparsi, come dicono i rivieraschi nel loro dialetto) diventa subito un caso mediatico che attira giornalisti ma anche turisti dalla curiosità morbosa.
Strane voci iniziano a girare, che mettono assieme nonno Amedeo, la sua amica Angela, i due morti che, prima di essere ritrovati subiranno una "funebre odissea".

Infine, i vecchietti di BarLume di Malvaldi che in questo racconto sono in gita per il Trentino ma, come è giusto che sia, vanno ad incrociare un caso di omicidio: una donna strangolata in un supermercato.
Massimo, il gestore del bar, e Alice, il commissario di polizia (ma che dirà Rocco Schiavone?) che nel passato si è avvalsa della consulenza degli arzilli vecchietti, si stanno godendo un momento di pace e riposo.
Ma, incuriositi dal caso e dai tanti paletti che vengono sollevati attorno alla morta, porteranno avanti una loro indagine a distanza, usando proprio Ampelio, Pilade e gli altri.
Senza prendersi nemmeno il merito.
«Se le dicessi che sono una persona particolarmente modesta?»
«C'è già 'r governo a pigliammi per ir culo, signorina».

Signori, il giallo è servito, anche se siamo in estate e anche se, in questi racconti, c'è anche tanta ironia e comicità.

La scheda del libro sul sito di Sellerio.
Il link per ordinare il libro su Ibs o Amazon.

Odisseo è tornato ad Itaca

Fonte - Il fatto quotidiano 7-8-2014

Odisseo è tornato ad Itaca da Telemaco: padre e figlio si sono re incontrati, con la differenza che Odissero non era partito per la guerra ma è stato condannato per frode fiscale. E nemmeno ha dovuto abbandonare la sua terra. E nemmeno è tornato nella sua terra per scacciare i Proci che stavano consumando i suoi beni, anzi.
Dicono che ieri, nell'incontro di tre ore a Palazzo Chigi, Renzi e B. abbiano parlato anche di economia.
Perché, dopo Senato, legge elettorale, giustizia, presidente della Repubblica e tutto ciò di cui B & R hanno bisogno per andare avanti nella loro Opa sulla democrazia, ci mancavano i preziosi consigli economici.
Ma voi ve li ricordate gli anni di B. al governo o avete già rimosso?
Le cartolarizzazioni di Tremonti per fare cassa che hanno fatto felici sono commercialisti, avvocati e banche.
La social card che costava più la card che l'effetto social.
I condoni, fiscali ed edilizi. Fair play nei confronti di evasori e furbetti, per mettere ancora più in difficoltà i conti e la tenuta del territorio in tutti i sensi.
La riforma del lavoro, chiamata legge Biagi impropriamente perché riprende parti delle proposte del giuslavorista ucciso dalle Br.
Riforma che ha creato il far west di contratti portando a tanti abusi e condannando al precariato un'intera generazione.
I grandi annunci: la Salerno Reggio Calabria, il ponte sullo stretto, il traforo del Frejus (anche questo).
Le leggi ad personam, per favorire gli affari delle imprese, in particolare una. Per sfuggire dai processi, per nascondere il nero, per arrivare a santa prescrizione.

In quegli anni avevamo forse l'illusione di stare bene.
Il PIl cresceva di pochi spiccioli percentuali, i numeri degli occupati crescevano, ma erano numeri drogati.
Che consigli può dare un politico così al presidente del Consiglio? Politicamente, prima ancora della condanna per frode, B. dovrebbe già essere fuori gioco.
Quali altri magiche slide dobbiamo aspettarci, per altre riforme da fare (non più una al mese, ma tutti nei primi 1000 giorni)?

Odisseo è tornato ad Itaca per sterminare i cittadini e allearsi coi Proci, per godersi gli ultimi spiccioli della festa. L'anno scorso eravamo qui a disquisire del taglio dell'Imu, mentre quest'anno ci balocchiamo su bicameralismo perfetto e taglio dei senatori.

Mentre il paese entra in recessione.

06 agosto 2014

Ma cosa hanno fatto di male?

Ma che male hanno fatto, gli studenti universitari?


Dopo la lezione di Briatore (meglio pizzaiolo che imprenditore), quella di Schettino.
Esperto per gestire i casi di panico.

Governi forti non necessariamente portano ad economie forti

Vista la recessione perché, chiede il direttore del Sole 24 Ore, il governo ha puntato prima sulle riforme istituzionali, invece che su quelle economiche? “Le riforme strutturali – spiega ancora il ministro – sono la caratteristica fondamentale della strategia del governo”.
E, è il ragionamento di Padoan, quelle istituzionali sono decisive “perché hanno un impatto molto importante sul funzionamento dell’economia”.
Il ministro argomenta con due ragioni: “Semplificazione del processo legislativo e certezza della durata dei governi. Fattori importanti – aggiunge Padoan – per stabilizzare la fiducia e le aspettative di imprese, famiglie e investitori internazionali”. [Padoan intervista sul Sole 24 ore]
E' un deja vu, il ragionamento di Padoan.
Governi forti, portano ad economie forti, perché i mercati si fidano solo della stabilità.
Ma abbiamo già sperimentato sulla nostra pelle quanto questo non sia vero.
I primi mesi del governo Monti, erano di una stabilità assoluta: le riforme Fornero, pensioni e lavoro, sono state approvate all'unanimità (la seconda un po' meno per la verità).
Effetti positivi sul paese? Nessuno.
Certo lo spread si è abbassato, con effetti positivi sui conti (meno interessi da pagare sui nostri titoli), ma il debito è aumentato, la disoccupazione è peggiorata.
I mercati vorrebbero governo stabili e credibili.
Le famiglie vorrebbero governi che si occupano dell'economia reale.


A che serve una democrazia dove le leggi del governo (e non quelle del Parlamento) si approvano in fretta, se poi le leggi sono sbagliate?

Il secondo governo B. è durato tutta la legislatura, ha riforma giustizia e legge elettorale, ma l'economia è rimasta al palo (si cresceva a ritmi dell'1%).
Le aziende hanno a disposizione tanti strumenti per tagliare il personale e, con le ultime riforme del lavoro, si è precarizzato tutto il precarizzabile (la UIL stima un crollo del 20% dei contratti a tempo indeterminato nel 2013).
Non vorrei che l'uscita di Padoan fosse legata alle tensioni tra Palazzo Chigi e ministero. E che servisse una certa rassicurazione, per evitare un'altra estate a combattere con lo spread.

Banane e bananieri

Perché dovrebbe abbandonare la candidatura alla federcalcio, il signor Tavecchio?
In fondo non è meno razzista di altri politici e ministri di cui sono piene le cronache anche giudiziarie.
In fondo in Italia la competenza e il merito sono solo un optional e non è colpa sua se, più che per questioni sportive, il suo cv può "vantare menzioni nel libretto dei protesti" (come spiega Antonio Padellaro questa mattina sul F.Q.).
Bene fa allora il senatore Villari (l'ex Pd, quello della poltrona alla vigilanza Rai su cui si era incollato) a lanciare l'hashtag #Tavecchiononritirarti.
Perché in Italia ci sta sempre che una polemica si trasformi in questione politica, tanto per fare ammuina. Il caso Tavecchio e le sue banane sono diventate la notizia dell'estate, assieme al panico per Ebola e la riapertura del caso Pantani.
Qualcosa si deve dare alla pancia degli italiani, per riempirla in questa estate che è arrivata tardi, un pò come la ripresa.
Perché a pancia vuota gli italiani potrebbero anche chiedersi che cosa c'è dopo l'antipasto degli 80 euro.
Della presunta manovra d'autunno per sistemare i conti (più la smentiscono la manovra, più ci credo).
Dei contenuti del patto del nazareno, di quello che c'è (la comunione di intenti) e quello che non c'è (l'elezione del prossimo presidente della repubblica).
Potrebbero perfino rendersi conto che in questa estate che non c'è si stanno cambiando tanti articoli della nostra Costituzione che, fino a pochi mesi fa era la più bella del mondo. Riforma del Senato, degli assetti istituzionali, la legge elettorale, l'elezione del presidente.
E che lo spazio, o la forbice, tra paese e palazzo, si allargheranno sempre di più.

Che forse, in un paese di bananieri, anche Tavecchio ha il suo perché.
C'era qualcuno che aveva promesso nei primi cento giorni una legge sul conflitto di interessi.
Che basta inciuci, basta laghe intese, si alla politica trasparente affinché i cittadini possano scegliere e valutare le persone elette (e non nominate).
Ieri sera, quel qualcuno, ha fatto passare con la fiducia l'ennesimo decreto (il numero 19) in cui, in nome della competitività, si darà modo alle aziende di inquinare un pò di più in mare.
Perché il turismo e la cultura sono il nostro petrolio.

05 agosto 2014

Nell'ordine giusto

Prima ti fai eleggere e poi rubi.
L'episodio a Palazzo S Macuto insegna che non sempre l'ordine dei fattori è ininfluente ai fini del risultato.

PS: scusate il post qualunquista, ma ogni tanto ci vuole

Comunione d'intenti

Solo al 3% degli italiani, secondo un sondaggio di Agorà, interessa qualcosa della riforma del Senato.
La mirabilante riforma, quella per cui #noncipossocredere che ha fatto fuori i senatori a vita e garantito le immunità per i consiglieri senatori che così si sentiranno liberi di farsi rimborsare anche i lecca lecca.
Detto per inciso, i soli senatori a vita nominati da Napolitano recentemente valgono molto di più di molti senatori e deputati della Camera che ieri esultavano per la loro fine.
Passiamo dalla ricercatrice Cattaneo, al professor Rubbia, all'architetto Renzo Piano a Finocchiaro a Calderoli e Boschi. E ho detto tutto.

Perché ci si intesta allora su questa riforma?
Perché è molto più semplice sfasciare gli organi costituzionali, a colpi di canguri e minacce, piuttosto che occuparsi di lavoro, di piani industriali (che non si vedono), di piani energetici e altro.

Facile prendersela con gufi e rosiconi, piuttosto che ammettere che si sta ancora andando ancora per tentativi.
Che nel governo stesso è in atto uno scontro tra gli europeisti e i renziani (post e ante leopolda).
Che il patto del nazareno a furia di smentita diventa ogni giorno più concreto con dentro tutte le garanzie per B.

Non a caso si parla sempre e solo delle stesse cose, in tema di giustizia, come la responsabilità civile.
Ridurrà i tempi dei processi questa riforma?
O sarà usata solo come deterrente da parte di imputati eccellenti, contro i pm che indagano su di loro?

In questo momento vale solo il patto tra Renzi e B.: il primo serve al secondo e forse entrambi pensano di fregare l'altro.
A rimanere fregati saranno solo gli italiani.

Antonio Polito, un po' poeticamente sul corriere:
"È dunque inutile cercare nel Patto clausole inconfessabili sulla sorte giudiziaria di Berlusconi, che Renzi non potrebbe e non vorrebbe siglare. Se poi ci fossero, di sicuro non sarebbero scritte. I contenuti del Patto sono inconfessabili solo perché sono sotto gli occhi di tutti. Come la lettera rubata di Edgar Allan Poe".

04 agosto 2014

Non basta negare

Da l'intervista su repubblica al presidente Renzi:
Scusi, ma quello del Nazareno è davvero un patto scritto?
"Certo".
E cosa c'è dentro?
"Quello che legge negli atti parlamentari sulle riforme".
Troppo facile rispondere così.
"Ma vi pare che io firmi una cosa con Berlusconi e la metta in un cassetto? Questa è la tipica cultura del sospetto di una parte della sinistra. Io ho declassificato il segreto di stato per le stragi di questo Paese, e vado a nascondere un patto di questo tipo? C'è scritto quello che abbiamo messo negli atti parlamentari".
Cosa farebbe se Berlusconi le chiedesse di facilitare l'approvazione di una norma che gli permette di candidarsi alle prossime elezioni bypassando, ad esempio, la legge Severino?
"Non lo ha fatto, non credo lo farà. Del resto la Severino è una legge votata dal PdL e sono certo che sia finito il tempo delle leggi ad personam. Anche perché i percorsi giudiziari sono andati, con tutto ciò che sappiamo. Basta proporre passaggi impropri tra le riforme e le utilità del leader di Forza Italia. Dopo le riforme, torneremo ad essere divisi. Anzi, facciamo le riforme proprio per evitare in futuro di essere costretti a governare insieme".
Primo, gli atti parlamentari sono atti pubblicati sui siti delle Camere. Il patto del nazareno non è un atto pubblico.
Secondo: B. non ha bisogno di candidarsi. L'importante è che nessuno tocchi le sue televisioni e il suo conflitto di interessi.
Nonostante la condanna, Forza Italia mantiene ha ancora uno zoccolo duro di elettori e il suo peso in Parlamento.
Terzo: dopo le riforme, si rischia che chi vince si prende tutto. Ed è questo il rischio che è stato presentato con queste riforme.
Quarto: i documenti desecretati non aiuteranno molto a fare luce sui misteri d'Italia.
Quinto: non serve aggiungere altre leggi ad personam nel patto. Quelle che ci sono e quelle che non si devono fare bastano e avanzano.

Non basta negare l'evidenza per negarla. Speriamo tutti che non servano altre manovre, ma l'ottimismo non basta. Speriamo tutti che le riforme siano il più condivise possibile. Ma se fino ad oggi questo è stato il paese della corruzione e dell'evasione, forse serviva un vero cambio di verso.

Il verso giusto

Lady appartamenti fa pace col fisco (come prima di lei, altri vip o signori come Greggio, Rossi, Prada..): dopo che il fisco le contestava un mancato pagamento delle tasse per 300 milioni (su 2 miliardi nascosti al fisco per i sui suoi 1.243 immobili), ha ora sanato la situazione pagando 47 milioni di euro.
Per nascondere la sua evasione (perché di questo si tratta) la signora Armellini aveva portato i soldi in Lussemburgo, e poi li aveva anche scudati.
Da 2 miliardi di profitto siamo arrivati a nemmeno 50 milioni di multa. Non male direi.

Ecco, in questi giorni il governo è a caccia di quei 20 miliardi necessari nel 2015 per mettere in sicurezza i conti.
Perché gli 80 euro non sono stati sufficienti a spingere la ripresa e non verranno nemmeno estesi.
Perché servono soldi per la cassa integrazione vista l'emorragia dei posti di lavoro.
Perché ci sono gli accordi europei sul bilancio, il prepensionamento degli insegnanti (a quota 96) deciso nella riforma della ppaa.
Perché ci sono i tagli alla spesa pubblica decisi dal governo Letta per 5 miliardi.

Ecco, la domanda rimane sempre la stessa, da anni (dai tempi di B. passando per Monti e Letta): da dove prendere i soldi?
Gli effetti della pacificazione col fisco da parte degli evasori sono quelli raccontati prima: si recupera solo una piccola parte, quando va bene.
Riusciamo ad incassare solo un decimo di quanto accertato, il resto dei miliardi rimane tranquillo all'estero. A generare profitto per signori che oltre a rubare, lasciano affogare il paese.
Non solo in senso metaforico per la crisi.

Per mettere in sicurezza il paese servirebbero 40 miliardi di euro:

"Un serio piano di interventi e investimenti non è mai stato preso in considerazione, eppure i dati ci dicono che prevenire sarebbe molto meno costoso che intervenire a catastrofe avvenuta. Secondo i dati ISPRA, la messa in sicurezza del territorio nazionale comporterebbe un intervento di 40 miliardi, mentre ogni anno l'Italia ne spende circa 2,5 per far fronte alle emergenze che si verificano ormai con sempre maggiore frequenza" Bonanni - Lista Tsipras.
Per la sicurezza nelle scuole, si parla almeno di una cifra che balla tra 2,5 e 5 miliardi.
Per il solo Veneto, colpito dall'alluvione due anni fa e dalla tragedia a Refrontolo, il governatore Zaia aveva chiesto 2,8 miliardi:

«Non appena ho sentito che ci sono dei soldi fermi, depositati al ministero dell’Economia – ha detto ieri il governatore, mostrando con orgoglio le 177 pagine di dati, fotografie e spese delle recenti alluvioni – ho voluto subito suggerire come spenderli. Noi abbiamo bisogno proprio di 2,804 miliardi per completare gli interventi relativi al rischio idraulico e geologico. Interventi per 402 milioni li abbiamo già realizzati e alcuni li stiamo ultimando, ma ce ne servono molti altri. In questo dossier ci sono scritti quanti soldi ci servono, per fare cosa e dove. Se solo avessimo i soldi potremmo aprire i cantieri anche domani mattina».
La cifra messa a bilancio per la messa in sicurezza si aggira invece a 2,5 milioni, per tutto il paese, di cui spesi sono "soltanto" 400 milioni (è quanto ha riferito il capo del Dipartimento della Protezione civile, Franco Gabrielli, in audizione alla commissione Ambiente).
Questo è quanto.

Perché non ci sono i soldi e perché i soldi, quando ci sono, non si riescono a spendere.
O anche, quando vengono spesi, rischiano di finire nel giro della corruzione.

Il verso non è ancora cambiato, dunque.
E non cambierà finché ci saranno evasori che pacificano a basso prezzo le loro colpe e tragedie come quelle di Treviso.

03 agosto 2014

Le riforme del paese

Queste le vere riforme: smetterla di devastare il territorio, smetterla coi condoni (come quello che stanno facendo in Campania), smetterla col cemento che prende il posto di fiumi e boschi.
Perché ogni volta sentiamo ripetere la stessa storia: pioggia eccezionale, tempesta eccezionale, evento imprevisto.
L'altro giorno a Milano, qualche anno fa l'alluvione in Veneto e prima ancora a Genova e a Le cinque terre.
Ieri a Treviso:
Una massa di detriti e fango ha investito la ‘Festa degli Omeni’ ieri sera a Refrontolo, nel trevigiano. Intorno alle dieci di ieri sera il fiume Lierza è esondato improvvisamente, abbattendosi sulla sagra a cui partecipavano un centinaio di persone. Il bilancio fanno sapere i carabinieri di Vittorio Veneto, è di 4 morti e 4 feriti gravi. Un’altra ventina di persone è rimasta ferita in maniera non grave.
Quanto tempo durerà l'indignazione per quest'altra tragedia? 

Caccia al tesoro, di Nunzia Penelope

Il più grosso bottino della storia: 30000 miliardi sottratti alle casse pubbliche da multinazionali, banche, evasori. Dov'è nascosto, come possiamo recuperarlo.


Il tesoro di cui parla la giornalista Nunzia Penelope è quello che si è accumulato in vari decenni nei paradisi fiscali in Europa e nel mondo: una montagna di miliardi finiti nei circuiti dell'offshore, soldi che anziché aiutare l'economia reale dei paesi diventano ricchezza occulta sottratta al fisco. Sono soldi che potrebbero far comodo ai governi per abbassare la pressione fiscale e far ripartire la domanda interna. Per poter garantire ai cittadini quei servizi pubblici oggi a rischio.

Sono soldi che potrebbero risolvere i problemi del debito pubblico, per paesi come l'Italia, sempre sotto la minaccia di una nuova guerra a colpi di punti di spread. Guerra che ha portato al commissariamento dei governi, alle riforme fatte al grido “ce lo chiede l'Europa”: salari ai minimi, pensioni rinviate nel futuro, il dogma della precarietà nel lavoro, gli stati che privatizzano i loro asset.
Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di offshore? Ecco: ma cosa diversa è capire cosa si nasconde dietro questa formula dal senso molto esotico.

Il pregio di questo libro è proprio questo, la chiarezza: in pochi capitoli spiega il sistema dei paradisi fiscali, usando la formula giornalistica del chi, cosa, come, dove e quando.

“Il PIL dell’Italia è circa 1500 miliardi di euro annui: nei paradisi fiscali ci sarebbe quindi, grossomodo, l’equivalente di vent’anni della nostra ricchezza nazionale. Vent’anni di lavoro e di stipendio di tutti i nostri lavoratori, di prodotto di tutte le nostre fabbriche e aziende, di tutte le attività commerciali, di tutti i beni comprati e venduti, di tutte le case costruite, di tutta la spesa pubblica per sanità, scuola”.

Cosa sono i paradisi fiscali e dove si trovano.
Iniziamo col dire che i paradisi fiscali sono il paradiso solo per quelli che riescono così a sfuggire alla tassazione cui sono sottoposti i comuni mortali.
Sono paesi che attraggono beni e capitali garantendo l'anonimato dei proprietari, ben nascosti dietro società fittizie (molto virtuali), dietro la privacy del segreto bancario, dietro la macchina burocratica delle rogatorie internazionali, quelle procedure che i magistrati sono costretti a rispettare per capire dove sono finiti i soldi di tizio o caio.
Non sempre possiamo parlare di evasione fiscale (soldi non dichiarati al fisco): spesso è più corretto parlare di elusione. Ovvero la ricerca del posto migliore dove si pagano meno tasse e i governi fanno meno questioni sulla provenienza del denaro.
I paradisi non sono solo le Cayman: qui in Europa possiamo dire che ce ne sono molti, troppi, vicini a noi. I furbetti italiani possono andare rivolgersi alla Svizzera a San Marino e lo Ior.
I francesi ad Andorra. In piena Europa troviamo il Liechtenstein, vero paradiso fiscale per super ricchi selezionati, da dove proviene l'attuale presidente del Consiglio europeo Juncker.
L'Irlanda è famosa per il double Irish, il sistema che permette alla Apple di pagare il minimo consentito di tasse sugli enormi profitti.
Ma anche negli Stati Uniti ci sono paesi a fiscalità agevolata, come il Delaware.
Il futuro si dice che sia nell'estremo oriente, ovvero la piazza di Singapore.

Chi sono i signori dell'offshore.
Diversamente da quello che pensavo, solo il 30% dei capitali che finiscono nei paradisi fiscali sono di proprietà delle mafie. La maggior parte sono profitti delle multinazionali come Apple e Google. Di banche internazionali come Ubs e Credit Suisse. Nei paradisi troviamo le ricchezze dei super ricchi della terra che hanno deciso di nascondere dietro un Trust (uno scudo fiduciario) i loro beni.
Anche molte imprese italiane hanno società in paradiso (fiscale) o in paesi dalla fiscalità agevolata: dalla Fiat a Marcegaglia. Da Parlamat a Luxottica, Ferrero, Prada, Bulgari. I Riva avevano il loro gruzzolo nell'isola di Jersey mentre a Taranto la città soffocava sotto l'inquinamento dell'Ilva per le bonifiche che non si sono fatte. Dolce e Gabbana, condannati in appello per la “esterovestizione” del loro marchio.
Infine le banche italiane, specie quelle di sistema come Intesa San Paolo.
L'offshore:
È un’industria globale molto redditizia e ingegnosamente strutturata, progettata e gestita in primo luogo dalle più grandi banche del mondo, da una miriade di studi legali e società di revisione contabile dai nomi prestigiosi, con base a New York, Londra, Ginevra, Francoforte, Milano”.
Come funziona il meccanismo dell'offshore.
Il libro parte con una immagine: l'incontro del G8 all'Aquila del 2009, quando i grandi della terra (Berlusconi compreso) dichiararono la loro guerra ai paradisi fiscali.
Va chiarita una cosa: se esistono i paradisi fiscali è perché i governi per lunghi anni lo hanno permesso. Perché un grosso pezzo dell'economia e della politica si appoggia ad essi.
Mentre i cittadini soffocano sotto le tasse e le piccole aziende sotto i controlli e la burocrazia, le grandi imprese possono sfruttare tutti i cavilli e le regole (che non ci sono), per fare i loro comodi.
Ovvero: i governi non possono fare oggi la guerra all'evasione e all'elusione perché in realtà dovrebbero far la guerra a loro stessi.
Gli USA alle loro multinazionali come Google e Facebook, con sede in Irlanda ma i lobbisti a Washington.
In Italia non parliamo: il presidente del Consiglio del G8 a l'Aquila è stato condannato per frode fiscale avendo creato un impero offshore con cui creare fondi neri (il sistema B Fininvest).
Nel buco nero da 30000 miliardi di dollari ci sono dentro le tangenti dei politici, i profitti delle mafie, le plusvalenze delle multinazionali che poi finanziano le campagne elettorali dei politici.
Magari proprio quelli del rigore per i comuni mortali.
Sono le leggi che permettono questo: non è un caso che la famosa legge sull'autoriciclaggio, presentata dal governo Letta, sia stata lasciata morire dallo stesso Parlamento con la sua caduta. Renzi, l'innovatore, il rottamatore, nemmeno parla più di volontary disclosure, anticorruzione e autoriciclaggio.
Altrimenti le riforme con Berlusconi non passerebbero:
Il governo è costantemente in cerca di soldi. Ma dei paradisi fiscali, delle enormi ricchezze che contengono, di chi le possiede, di come vi arrivano, non si parla affatto; ed è perfino inutile sottolineare che l’argomento non entra mai, nemmeno per sbaglio, nel dibattito politico italiano: da cui, piuttosto, sono ormai usciti anche i termini evasione fiscale e corruzione”.
Da quando si parla di paradisi fiscale.
Sembra incredibile ma esiste una pista, sull'omicidio di Kennedy, che porta proprio ai paradisi fiscali, che già nel 1962 erano pozzi neri capaci di risucchiare i profitti delle grandi aziende americane.
Kennedy intendeva porre fine a questi privilegi. Ma non ne ebbe modo.

La guerra ai paradisi
Non tutti hanno ancora capito come la guerra ai paradisi fiscali sia una guerra per la difesa della democrazia. Il mondo oggi si sta trasformando in un enorme club di pochi super ricchi, cui tutto è concesso e, sotto, una marea di cittadini di democrazie svuotate.
Perché se è vero che le tasse in molti paesi (non solo l'Italia) sono alte, non è vero che i soldi sottratti alla fiscalità, cioè a noi, servono poi per creare posti di lavoro, per fare investimenti, per creare ricchezza.
Non è così almeno da noi in Italia, che si sta trasformanda dal paese dei capitalisti senza capitali al paese dei capitalisti coi capitali all'estero. E dove le tasse sono in crescita proprio per colpa di quelli che non le pagano.
Fino ad oggi la guerra ai paradisi è stata solo una foglia di fico.
Ma le persone all'Ocse con cui Nunzia Peneloper ha parlato ci credono, ora. Perché i governi, sempre più in crisi, non possono più far finta di niente.
Se fino ad oggi il sistema offshore era il lato B dell'economia mondiale, ora non è più tollerabile: chi sta dietro i fondi alle Virgin Island (uno dei paradisi), che stanno invendo in Cina, il maggior proprietario dei titoli di stato americani?
Possiamo accettare che i cinesi mettano le mani sui pezzi pregiati delle nostre industrie energetiche?
Possiamo accettare che il fondo Black Rock continui a fare shopping in Italia?
Come vedete, c'è un forte intreccio tra la salute delle democrazie e il mondo dell'offshore.

Ma per fare questa guerra serve una politica che non sia più complice o alleata al partito degli evasori ma che sia forte.
Il rischio, altrimenti, è arrivare ad un mondo a due velocità: come nel palazzo in Downtown Abbey (la serie TV incentrata su una famiglia aristocratica inglese), con la servitù sotto e gli aristocratici sopra. Separati non solo da un piano ma da un abisso sociale, economico.
Sarebbe paradossale ammettere che il nostro futuro è ritornare all'ottocento, non credete.
Come lo si spiega alle persone che pagano le tasse sempre e comunque? Alle imprese che rimangono in Italia, e che rispettano tutti gli adempimenti fiscali? Agli imprenditori che, piuttosto che al profitto a tutti i costi, pensano al futuro, ai tempi lunghi, ai posti di lavoro reali?



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