07 luglio 2014

Il sintomo, di Francesco Fiorentino e Carlo Mastelloni

Sentì cambiare il ritmo del respiro. Non ancora un vero e proprio malore, ma una pressione che investiva il torace. Conosceva il sintomo. Le volte che tornava a Napoli per partecipare ad un convegno o a un seminario, in qualche maniera il corpo e la testa si ribellavano”.
Forse è vero: per comprendere Napoli e poterne raccontare la malattia, bisogna esserci nati prima, ma essersene allontanati. Aver abbandonato la città del mare, del sole e dei tanti luoghi comuni, per poterla guardare con occhi diversi, disincantati, lucidi, distanti.
Questa distanza permette di cogliere il sintomo della malattia: così deve essere successo ai due autori, entrambi napoletani, entrambi professionisti con una carriera fuori dalla loro città. Il primo, un insegnante di lingue a Bari. Il secondo, magistrato famoso (per le inchieste su Gladio) con molti anni di attività a Venezia e ora alla procura generale di Trieste.
Il sintomo è quello che colpisce il protagonista di questo romanzo, il viceprefetto Guido Dominici, una vita lontano da Napoli, tra Milano e Bruxelles, mandato nella città natale per coordinare le indagini dopo due stragi di Camorra che hanno fatto molto rumore.
La sua consegna, gli specificò, non sarebbe stata quella di dirigere le indagini, bensì di valutare i comportamenti degli inquirenti e l’efficacia dell’organizzazione”.
Le indagini sulle stragi sono state condotte fino a quel momento dal Questore Ruoppolo e dai suoi uomini, ma le polemiche per la mancanza di risultati l'hanno messo in una posizione difficile. La Questura è spaccata, il gruppo che fa capo a Ruoppolo potrebbe avere le ore contate, per una telefonata dal ministero: serve gente giovane per avere risultato, gente come il capo della Mobile Senese, giovane e ambizioso, che gli sta facendo una guerra sotterranea, aiutato dalla stampa che continua a sottolineare l'inconcludenza del lavoro della polizia.

In questo clima arriva in città Dominici, mandato a Napoli dal ministero per capire cosa sta succedendo in città e valutare lo stato delle indagini su quelle stragi che, più che alla Camorra, fanno pensare al terrorismo. Due stragi che hanno colpito uomini di un clan, i Vullo e che si pensa siano stati compiuti dal clan rivale, i Russo.
Siamo nella Napoli dei primi anni '80: il terremoto dell'Irpinia ha fatto piovere sulla città una pioggia di miliardi per la ricostruzione. Sono tanti soldi che il governo ha stanziato e che scatenano appetiti da parte dei clan, che si sono fin'ora divisi il territorio dello spaccio ma ora vogliono mettere le mani sulla ricostruzione.
Le lotte intestine in Questura portano al defenestramento del capo Ruoppolo, il poliziotto vecchio stampo viene messo a riposo da Roma e umiliato nei suoi stessi uffici.
I giornali iniziano ad elogiare l'esito delle indagini di Senese e del giudice Marescalchi (“ma soprattutto, mi raccomando, mai troppo zelo!”), che sposa la tesi della faida tra clan chiudendo le indagini sulle morti in modo un po' frettoloso.
E anche Dominici si ritrova, suo malgrado, sulle prima pagine dei giornali, per la sua immagine di funzionario dello stato giovane e brillante. L'uomo giusto per far ripartire la città nel post terremoto. Non solo nella carriera prefettizia.
La sua vita era indirizzata lungo i binari della carriera; le sue ambizioni come le capacità consistevano nell’arrivare al più presto all’ultima stazione. Si sentiva proprio un uomo mediocre”.
Ruoppolo, esautorato dal ruolo, inizia una sua indagine personale, più per ripicca contro quei “mappini” che l'hanno umiliato contro tutti quegli anni di carriera.
Parallelamente anche un giovane e rampante avvocato di uno studio notarile, Alberto Spoto, inizia una sua pericolosa indagine, ma con altri fini: testimone involontario del primo agguato dove hanno ucciso Cicciotto Vullo, il capo clan, si è annotato un numero di targa. E da lì ha seguito una pista che lo porta verso una confraternita religiosa, poco nota in città, ma che riceve molti miliardi, tanti, dall'estero, che finiscono per opere di carità. Almeno all'apparenza:
Una Fondazione panamense manda in Italia novanta miliardi sporchi che una volta entrati in disponibilità della Confraternita diventano puliti e possono essere in parte spesi per pagare mano d’opera criminale[..]
«Basta che in banca il dirigente della sezione estero merci sia d’accordo e firmi”.
La pericolosa indagine del giovane Spoto si intreccia col lavoro di Dominici, quando costui si presenta in prefettura, timoroso di rischiare la vita, e gli racconta tutto quello che ha scoperto.
Tutti e due ora, l'ex Questore da una parte, e Dominici assieme ad un vecchio amico napoletano, anche lui con un passato in polizia ma a Venezia, portano avanti un'indagine non autorizzata sulle stragi che li porta dentro i soldi del terremoto, i nuovi equilibri di potere tra politica e criminalità, queste strane confraternite da cui passano tanti soldi con la compiacenza delle banche, i salotti dei professionisti napoletani, più interessati ad un buon abito che a sconfiggere la criminalità organizzata.
“..era lui ad aver disatteso le regole impegnandosi in un’inchiesta parallela e non autorizzata. Una condotta ingiustificabile. Si era lasciato convincere da un vecchio arnese dalla reputazione discussa come Ruoppolo e da un giovane ambizioso, un signor nessuno senza arte né parte come quello Spoto. Lui, con una carriera impeccabile alle spalle e una ancora migliore davanti a sé! Era diventato un altro. Quella città lo aveva cambiato”.
Arriveranno ad un passo dalla verità. Ma per motivi diversi, quel passo non riusciranno a comprenderlo.
Perché sono uomini soli. Non solo per la solitudine sentimentale nella quale sono finiti: come Dominici e la sua gelosia nei confronti della ricca moglie milanese, una donna che sembra sfuggirgli.

È un finale amaro quelli cui si arriva nelle ultime pagine, quando si intuisce la grandezza del male, dentro Napoli e dentro il sistema di potere che governa la città e il paese. Questo gruppo di potere, che avvicina pure Dominici, per una sua carriera anche politica, e che il vecchio Questore Scarlato rappresenta così:
«A Napoli ci sono stati sempre due partiti, quello dei mascalzoni che vogliono riformare la città per metterci le mani sopra e quello di chi vuole che non cambi niente. Questi ultimi alla fine vincono quasi sempre, non perché siano migliori ma perché hanno la stessa indole della città a conservarsi sempre uguale».
Il gattopardismo dell'Italia: il cambiare sempre veste per non cambiare mai la sostanza. Un gattopardismo che rende tutto vischioso, dove tutti quelli che contano si conoscono tra di loro e dove è difficile distinguere bene e male. Il nuovo dirigente Senese, l'avvocato di successo, la stampa sono solo marionette di questo gruppo di potere affaristico-criminale che intende mettere le mani sulla ricostruzione della città. Dominici che non ha voluto schierarsi con nessuno dei due schieramenti, finirà emarginato.
Il sintomo” racconta bene questi aspetti, come anche è capace di raccontare le parti interiori dei protagonisti, a loro modo tutte persone solitarie in cerca di qualcosa.
Dominici, l'approdo finale della sua carriera dentro lo stato.
Spoto, un riscatto sociale, per cui è disposto a correre enormi rischi.
Ruoppolo la rivincita dopo essere caduto in disgrazia.
Alla stessa maniera, tutti e tre incapaci di portare avanti una relazione serena con le rispettive compagne: per l'incapacità di fidarsi, per gelosia, per assuefazione dopo tanti anni di convivenza.

Le ultime parole di Dominici, sono un ammissione di sconfitta, il crollo delle ambizioni:
«Me ne vado con la sensazione che tutta la mia vita fino a quando sono arrivato a Napoli sia stata una sorta di bluff. E che la città me l’abbia scoperto.».
La scheda del libro sul sito di Marsilio.
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