30 luglio 2014

Il senso degli imprenditori italiani per l'export

Dal capitolo "Italiani all'estero - la grande fuga" del libro "La caccia al tesoro" di Nunzia Penelope (Ponte alle Grazie).
Capitali italiani nei paradisi fiscali al 2014: 180-200 miliardi di euro (Bankitalia)
Capitali sanati  con lo scudo fiscale del 2010: 104 miliardi di euro (Ministero del Tesoro)
Stima non ufficiale dei capitali italiani in Svizzera: 900-1000 miliardi di euro


Se chiedi agli imprenditori italiani cosa pensano delle nostre debolissime leggi anticorruzione e antiriciclaggio, della mancata reintroduzione del reato di falso in bilancio, dei tanti scandali economici che hanno al centro i migliori nomi dell'ex salotto buono (Ilva, Ligresti, Monte dei Paschi, per citarne solo alcuni), della devastabnte evasione fiscale , delle montagne di quattrini che si accumulano all'estero mentre il paese stringe la cinghia, ti guardano perplessi: «Oggi il nostro problema è cercare di tenere aperte le aziende massacrrate dalla crisi», spiegano con la cortesia forzata che si deve a chi fa una domanda un po' stupida; il resto sono dettagli.
Eppure tra le cuse principali della crescita zero del Paese - e della fragilità e del disastro della nostra economia - c'è, per l'appunto, l'intensificarsi di quella giostra di abusi che rientra sotto l'etichetta di «criminalità economica»: evasione fiscale, corruzione, falso in bilancio, riciclaggio. Anche quando ci si lamenta della cronica assenza d'investimenti esteri in Italia, quindi, sarebbe bene chiedersi qualcosa a proposito dell'inarrestabile tendenza dei capitali italiani ad espatriare, anziché essere reinvestiti nelle aziende che li hanno prodotti: se non ci credono gli imprenditori nazionali, in questo paese, perché mai dovrebbero farlo gli stranieri?
La stessa Confindustria, molto sensibile al tema della competitività e della produttività delle aziende italiane, non collega questi deficit al basso livello di legalità del nostro sistema economico, preferendo imputare le debolezze italiane all'alto costo del lavoro, al peso del fisco, della burocrazia, dei sindacati. Anche questi sono problemi reali, naturalmente. Ma non sono i soli, e forse nemmeno i più gravi.
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Molto più calore è speso dal sistema imprenditoriale per ottenere un'altra legge ritenuta, questa sì, fondamentale: quella che modifica l'attuale impostazione del reato di «abuso di diritto», anticamera dell'elusione fiscale, detta anche, per semplificare, l'evasione dei ricchi e delle imprese.
Nel settembre del 2011, una lettera firmata dall'allora presidente Emma Marcegaglia assieme ai rappresentanti delle banche e delle compagnie di assicurazioni e indirizzata all'allora ministro dell'Economia Giulio Tremonti, parlava di «oppressione da controlli fiscali» e ammoniva così:
"Gli effetti degli accertamenti fiscali sono pesanti e potrebbero rilevarsi devastanti. I bilanci delle imprese, colpiti per centinaia di milioni di euro, soffrono: gli obiettivi di fuoriuscita dalla crisi diventano ancor più difficili da raggiungere".

E' nonostante questo, ancora non siamo usciti dalla crisi. Forse perché i vecchi manager sono rimasti al loro posto. Perché le leggi anticorruzione e antiriciclaggio ancora latitano. Perché il reato di falso in bilancio ancora è da ripristinare.
E l'evasione e l'elusione servono appunto per creare le riserve dei fondi neri da cui attingere per la solita corruzione.
Ma i problemi sono sempre gli stessi, come scrive la giornalista Nunzia Penelope: è colpa del costo del lavoro, dei sindacati, della burocrazia ..

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