04 maggio 2014

Non è una canzone d'amore, di Alessandro Robecchi


Marino Righi è seduto su una poltrona di velluto rosso. Poltrona incongrua, un oggetto che pare fuori posto in una stanza elegante alla maniera del design nordico, legni chiari, toni neutri, tende ecru. Persino i quadri alle pareti hanno colori tenui, niente di sparato, niente che risalti. Ton sur ton, ecco, quella roba lì. La poltrona, invece, rosso vermiglio. Scovate l’intruso”. 
Che razza di giallo può essere quello dove il protagonista è uno sceneggiatore di trasmissioni televisive dove si parla d'amore, ma non nel senso del dolce stil novo, ma casi umani che di fronte alla telecamera raccontano le loro vite? 

Uno sceneggiatore, tra l'altro, che da questa trasmissione (Crazy Love) ha avuto fama e una discreta agiatezza, ma ora si è stufato del successo.

Un giallo un po' anomalo, direte voi. Specie se aggiungiamo che, come aiutante di questo investigatore allo sbaraglio, ci sono una esperta di computer e un giornalista, precario tutti e due, ma capaci di seguire una pista anche con pochi dettagli.
E, ancora, tre coppie di killer, che ammazzano persone implicate in una vicenda intricata, anzi in più vicende che solo il caso ha fatto intrecciare e i cui contorni si chiariranno solo negli ultimi capitoli.

Non vi ho convinto ancora? Beh, allora diciamo che Alessandro Robecchi ha collaborato con Cuore, lavora per le trasmissioni di Crozza e scrive sul Fatto Quotidiano. 

Uno che fa satira di mestiere può scrivere un libro giallo? Sì, e gli può riuscire anche bene, come in questo caso.

Questo noir riesce sia a divertente ma anche a far riflettere, dalla televisione immondizia alle diverse anime di Milano, città multietnica e nientaffatto grigia.
Il protagonista si chiama Carlo Monterossi: è l'inventore della trasmissione Crazy Love, condotta da Flora De Pisis. La trasmissione lo ha reso ricco e popolare e che ora ha deciso di abbandonare perché sa che quello che va in onda è una sorta di pornografia dei sentimenti, che però piace tanto alla gente da casa.
L'incontro-scontro con Katia, la sua agente:
«Riassumo per i non udenti. Tu hai un’idea. Non è la penicillina, ma insomma, si può vendere. Io la vendo. Ne fanno un programma per la tivù che va molto bene il primo anno. Che il secondo anno diventa una specie di caso nazionale, anche grazie a un paio di colpi di culo che resteranno nella storia, sia della televisione che dei colpi di culo. Ora sta per partire il terzo anno, ti coprono d’oro, ti implorano in ginocchio, ti voglionoa tutti i costi, una cosa mai vista. E tu, contro ogni logica, ti travesti da fine umanista, sensibile, colto, politicamente corretto, nobile d’animo e molto, moltoimbecille, e li mandi a cagare. Dicendo “non voglio avere a che fare con quella merda”. È la tua merda, Carlo, c’è poco da fare lo schizzinoso. Dico bene?». A questo punto lui dovrebbe dire un altro no.
Perché no, non dice bene. Non è così che è andata. Lo sa lui com’è andata.Crazy Love – si chiama così, il barile di merda – era nato davvero con un’idea piccola piccola.Un guizzo, una sensazione. Anzi, un giochetto. Come sarebbe, si era detto una sera, se l’industria del pettegolezzo mondiale si concentrasse sul mondo reale, sugli ordinari abitanti del paese, su quella che ci ostiniamo a chiamare «la gente normale».[..]Il problema era «pettinare» le storie. Nel gergo della Grande Fabbrica della Merda, «pettinare» vuol dire adattare la storia al suo «specifico televisivo». Abbellireil brutto, drammatizzare il banale, eccitare l’ordinario.Basta poco. Basta prendere la commessa del grande magazzino, che sia belloccia, inventarle un piccolo passato di modella, carriera che sarebbe stata luminosase… la malattia della madre… il fratello tossico… il padre schiacciato dal trattore… ed ecco una bella pettinata drammatica.Taglio, colore e messa in piega.Lui si opponeva, resisteva, puntava i piedi. Carlo il mulo. «Lasciamo degli spigoli», diceva, «lasciamo che ridano davvero, che piangano davvero, non perché c’è scritto sul copione».
Il refrain della conduttrice, con cui chiude il racconto dell'ennesima storia di corna, tradimenti, scappatelle è “anche questo fa fare l'amore”.
Chi potrebbe voler male ad una persona così? Eppure un giorno qualcuno si presenta a casa sua e gli punta una pistola in fronte. Carlo si salva difendendosi .. con una colpo di bicchiere che fa scappare l'aggressore (si, lo so fa ridere già così, ma è vero).
Chi è questo killer e cosa vuole da lui? La faccenda si complica quando, anche per un caso fortuito, scopre che lui doveva essere la terza vittima di un assassino che spara alle proprie vittime e poi le taglia un dito, che poi finisce in una certa parte del corpo della vittima successiva.
Già essere sparato non è bello, prendersi un dito nel didietro poi, c'è da morire!

Le indagini, diciamo così, stentano a decollare. L'irascibile commissario Gregori e l'uomo di velluto, Ghioni (che poi sarebbe un magistrato) lo mettono sotto pressione per cercare una pista, un movente.

Carlo, desideroso di non farsi ammazzare più decide di indagare in privato, assoldando per le sue indagini non autorizzate (Lucarelli mi scuserà se gli rubo il titolo di un romanzo): “Nadia Federici, il suo campione, il suo reparto ricerche&sviluppo”, l'esperta di computer, precaria da sempre e dunque “convinta che quelli della generazione di Carlo, e in generale delle generazioni prima della sua, abbiano goduto di inenarrabili e immorali privilegi, sperperando i diritti conquistati dai padri”.

E il giornalista “Oscar Falcone. Traffichino, trovarobe, giornalista d’inchiesta, topo d’archivi, avventuriero”.


Ma nel frattempo, altre persone si muovono nell'ombra più o meno. C'è una coppia di rom, Clinton e Hego, uno giovane e aitante e l'altro gentile e galante, che sono sulle tracce dei tre ragazzi che una mattina hanno lanciato delle molotov su un campo rom e sparato, ammazzando un vigile e ferendo delle donne e dei bambini.
Ma un'altra coppia è sulle tracce dei tre delle molotov: sono due killer professionisti della Snap SRL.
Il biondo e il socio con la giacca.
Eh sì, perché si scopre che uno dei tanti costruttori in giro per Milano aveva in mente di fare una bella speculazione sul terreno dove ora sorgono le roulotte del campo. I tre ragazzi di estrema destra, il cui capo Sergio De Magistris, aveva pure precedenti per spaccio di droga, dovevano solo spaventare le famiglie sinti.
Un sgombero dai modi poco gentili diciamo.
Ma ora, il morto ha fatto sollevare un bel polverone e il committente delle molotov, questo costruttore, ha deciso di assoldare i due killer, per ripulire un po' la merda.
L'inchiesta privata di Carlo, Nadia e Oscar diventa il filo conduttore di una storia, piena di cadaveri e di colpi di scena, in cui si intrecciano più storie che solo il caso ha fatto attraversare.
La vendetta per un dolore personale e la vendetta contro l'aggressione al campo rom. Un popolo che non ha mai fatto guerre, che non ha eserciti, ma che ha subito nei secoli tante persecuzioni, come quella che li ha portati a morire nei campi di concentramento.
Auschwitz era tanti campi, tanti modi di morire. Zingari erano in settore Blle, Familienzigeunerlager, in Auschwitz due, Birkenau. Recintati con guardie e filo elettrico e cani pastori”.
La violenza subita dai rom e la violenza contro le donne. Quelli che si sono arricchiti ieri col nazismo e con i beni delle famiglie perseguitate e quelli che si vogliono arricchire oggi con le solite speculazioni edilizie sul suolo di Milano, fino ad arrivare ad un incredibile traffico di cimeli nazisti.

Ma c'è anche tanta Milano in questo romanzo: 
“Milano non è una città da guardare ad altezza d’occhi. Per capirla davvero bisogna guardare in basso, dove i seminterrati si riempiono di traffici,[..]Oppure bisogna guardare in alto, dove i palazzi del primo Novecento sono cresciuti come per levitazione, con sopralzi, propaggini verticali”.
Una città che non è affatto grigia come la si dipinge, una città piena di colori e multietnica:
Se vai dal Duomo verso fuori, corso Venezia e poi Buenos Aires, nelle giornate azzurre come questa, in fondo a viale Monza vedi delle nuvole bianche che invece sono montagne”.
Capitolo dopo capitolo, la tensione del libro sale per l'inseguimento a colui che ha fatto partire tutto: una specie di caccia alla volpe, con troppe mute di cani dietro a questo De Magistris, che “si nasconde e scappa, e dietro gli sta una muta di cani, noi, gli sgozzatori di nazisti, e questa coppia di cui non sappiamo niente.”

Il finale è una sorta di scontro all'ultimo sangue, in stile western, in quel di Malpensa, l'aeroporto “che doveva diventare l’hub italiano, e poi una fabbrica di stipendi per manager, e poi l’ultimo baluardo dei secessionisti”. 

Dove la giustizia, per i bambini del campo, per la donna del piccolo boss maltrattata e umiliata, per le vittime nazismo, arriverà non per mano della legge o dello Stato. 

Buona lettura, allora, e buon divertimento!

Il blog di Alessandro Robecchi, dove troverete informazioni sul libro e tanto altro.
La scheda del libro sul sito di Sellerio, qui potete scaricare e leggervi i primi capitoli.
Il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon.

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