19 maggio 2014

La caccia al tesoro (immobiliare) della DC

20 anni fa spariva la Dc e lasciava cinquecento immobili. Dove sono andati a finire? Chi si è spartito cosa?”.
A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, diceva Andreotti, che fu senatore proprio di quella DC di cui stasera parlerà l'inchiesta di Report a cusa di Sabrina Giannini. Un'inchiesta in cui ci si chiederà che fine ha fatto il tesoro immobiliare del partito, sciolto 20 anni fa: sono 500 immobili, frutto anche delle donazioni degli iscritti. Spariti in uno strano giro di donazioni, sparizioni, fallimenti, bancarotte, divisioni e debiti da saldare.
Sgretolata sotto i colpi delle condanne per le tangenti, la DC si è divisa in più partitini, presenti ora (e ancora egemoni) nei partiti della larga maggioranza.
Un pezzo di Dc dentro il Pd, un pezzo dentro FI, dentro NCD. Poi ci sono i centristi puri, quelli di Casini e Rotondi. Se il partito non c'è più, i suoi ex sono ancora vivi e vegeti.
Il simbolo è finito nelle mani di Rotondi che, intervistato dalla giornalista, fa capire di avere la coscienza a posto, in merito alla gestione del patrimonio del partito. Prima di venire a visitare me, De Gasperi dovrebbe tormentare il sonno di altre persone, facendo intendere che a far sparire il tesoro siano state altre mani.
Mani di politici che hanno usato quel bene comune degli ex iscritti, per un loro uso personale.
E su cui la magistratura ha fatto poco, forse, per accertare la verità.
Ci son voluti solo sette anni, dal 1998 al 2005, per vendere i circa cinquencento immobili sedi della Democrazia Cristiana, comprati nella sua decennale storia con i soldi dei tesserati, delle donazioni, dei finanziamenti pubblici. Dopo che la vecchia Dc si è sgretolata sotto i colpi degli oltre cinquemila avvisi di garanzia che avevano inondato il Parlamento in piena tangentopoli, gli eredi democristiani si sono frantumati in varie direzioni, un po' a destra, un po' a sinistra, altri rigorosamente al centro, e si son trovati a gestire questa imponente ricchezza immobiliare. Come li hanno venduti gli immobili sparsi in tutta la penisola? In quali mani sono finiti? Nascosti dietro l'alibi dei debiti dei padri da saldare, gli eredi hanno in realtà usato quegli immobili per le proprie carriere politiche, e non solo. Intorno alle svendite, ai grandi affari e qualche proprietà tornata in casa di ex Dc, logicamente a prezzi di favore, si intersecano storie di vecchi palazzi con fantasmi, sedi di partito fantasma, e misteriose società in Croazia con tanto di inconsapevoli prestanomi.
L'anticipazione su Reportime:
Marini, Castagnetti e Buttiglione potevano non sapere che le società immobiliari della DC venivano dissanguate con il trasferimento gratuito del patrimonio dalle loro casse a quelle del Ppi (donazione possibile grazie a un decreto legge del 1997, governo Prodi)?
Il Ppi Gonfalone (di Marini prima e Castagnetti poi) ha successivamente rivenduto in totale autonomia i palazzi senza rendere conto all’altro erede del patrimonio, il Cdu di Buttiglione, che aveva preferito direttamente i contanti prelevati da quelle alienazioni. Le due società immobiliari della Dc, svuotate, sono fallite.

Tra questi “regali” al Ppi, c’era Palazzo Sturzo. Quando ancora non si sentiva odore di prescrizione Marco Scanni, il consulente di Palamara, suggerì di indagare ulteriormente sulla vendita di palazzo Sturzo. Qualcosa evidentemente non tornava. Marco Persico, giornalista de “Il Mondo”, era stato contattato dall’ufficio del pm quando, quattro anni fa, scrisse un articolo che apriva uno scenario inedito, anche se possiamo intuire che non ci siano stati sviluppi giudiziari su quanto il giornalista aveva fatto emergere (e che rievoca nel corso della puntata di Report in onda stasera).

Ricorda Persico: «Spulciando tutti gli atti giudiziari e i bilanci avevo notato che lo stesso giorno in cui il Ppi di Pierluigi Castagnetti e del tesoriere Luigi Gilli avevano venduto Palazzo Sturzo a Raffaele di Mario per 34 milioni di euro, un amministratore del partito Ppi diventava amministratore di una società il cui proprietario era lo stesso Raffaele Di Mario. La società era la Efisio». Che era stata una scatola vuota, fino a quel 29 luglio del 2005.

“Il colpo di scena”, continua Persico, “è che in quella società entrarono improvvisamente 7,3 milioni i liquidità e dietro lo schermo di fiduciarie scomparve la proprietà”. Persico ha insistito per avere un incontro con gli uomini del Ppi (oggi associazione e non più partito) per chiedere loro chi fossero i reali proprietari dietro lo schermo, ma senza fortuna. D’altro canto soltanto la magistratura potrebbe indagare sulle fiduciarie per scoprire chi siano i proprietari. “La proprietà dell’Efisio è del Partito popolare”, dichiara Luigi Gilli a Report. I 7 milioni di euro sono stati tutti spesi e dai bilanci si può sapere soltanto che son stati acquistati due immobili di pregio. Ma non si sa nient’altro. E non si capisce perché il Ppi ha venduto ed Efisio ha incassato. Dietro uno schermo.

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