09 marzo 2014

La bolla di Componenda di Andrea Camilleri

C'è un detto in Sicilia: "cu futti futti, Dio perdona a tutti".
Che da una parte significa che è alla giustizia divina che un siciliano deve far riferimento, non a quella terrena rappresentata dallo Stato.
Dall'altra si può tradurre dicendo che ogni cosa ha un suo prezzo: ogni mala azione, ogni peccato può essere sanato, "ricomposto".

Il breve saggio di Andrea Camilleri, scritto nel 1993, parla proprio di questo: della "componenda" , ovvero la possibilità di sanare un contenzioso, una contrapposizione, mediante un accordo più o meno clandestino.

La "componenda" ovvero "le cose che si devono o possono comporre" era un'antica tradizione siciliana di compromesso, una transazione, tra le istituzioni e il malaffare e «lo Stato italiano quando venne [nel Meridione] si aggiustò a questa pratica tradizionale, con il brigantaggio, con la mafia e con i tanti prepotenti».

Nel libro, l'autore ne cita diverse di queste "composizioni": quella tra l'esercito piemontese e il brigante Crocco durante la guerra di repressione al brigantaggio, dopo l'unità d'Italia.
L'accordo non scritto tra gli uomini della banda Giuliano e i trasportatori dell'isola, nel primo dopoguerra: Camilleri cita un episodio della sua giovinezza quando il camion di suo padre che trasportava pesce, venne "alleggerito" dalla banda, in cambio della sua protezione lungo il viaggio.
La storia del bandito inglese Jonathan Wild (citato anche ne "L'opera da tre soldi"), che mediava tra derubati e ladri, per ottenere una percentuale sulla refurtiva dagli uni e dagli altri, per far recuperare la merce rubata al proprietario.

Insomma, la "componenda" è una sanatoria di un danno ottenuta senza passare per la giustizia, ma attraverso una mediazione tra persone dello stato e criminali: una mediazione che cancella il reato e rende tutti soddisfatti. Una giustizia al di fuori dalle leggi ufficiali.
Essenso stato scritto più di venti anni fa, Camilleri non ha potuto citare tra le componende, anche una delle più importanti nella nostra storia: quella tra stato e mafia, a cavallo tra la prima e la seconda repubblica.
La "componenda" tra uomini dello stato che intendevano salvare le istituzioni (che stavano crollando sotto le bombe della mafia e sotto i colpi dei processi sulla corruzione della politica) andando a mediare, a "comporre" le contrapposizioni tra due entità che, in linea teorica, nulla avrebbero da spartisi.
Ma che invece, negli anni, dall'unità in poi, tante volte sono riuscite a conciliare i propri interessi interessi.
Lo sbarco degli americano sull'isola nel 1943.
Contrastare l'avanzata del fronte progressista sull'isola (e magari nel resto del paese).
La strage di Portella della Ginestra, gli omicidi eccellenti fatti passare per delitti di mafia (Dalla Chiesa, Chinnici, Mattarella, Falcone e Borsellino).
Non è forse vero che un importante ministro nemmeno troppi anni fa ebbe a dire: "Mafia e camorra ci sono sempre state e sempre ci saranno: purtroppo ci sono e dovremo convivere con questa realtà"?

Il saggio di Camilleri fa un passo avanti: racconta di un'altra componenda, oltre a quella laica, diciamo così. La bolla di componenda.
[…] Era una «bullailochisanti», incomprensibile a trascriverla così come erano solite pronunciarla mia madre e mia nonna. Tradotta in italiano, significava semplicemente «Bolla dei luoghi santi»

La bolla di componenda è qualcosa che Camilleri aveva già visto girare per casa, sebbene non sia mai riuscito ad entrarne in possesso: era uno speciale documento, venduto da preti ma anche da sagrestani, per delega del primo, ma sempre sotto la supervisione del vescovo: esisteva un prezzario ben noto a tutti, che includeva tutti i tipi di reati noti (escluso l'omicidio). Venivano concesse, dietro pagamento, in un periodo preciso dell'anno, tra Natale e l'Epifania.
Questa bolla aveva non solo valenza retroattiva, sanando peccati del passato, ma aveva valore anche per le azioni dell'anno in arrivo.

Camilleri arriva a parlare di questa "bolla", in un ragionamento sulle condizioni della Sicilia negli anni post unitari (e potremmo dire, anche negli anni attuali): condizioni su cui indagò pure una commissione parlamentare di inchiesta, che venne in Sicilia per capire come funzionavano le cose (o come non funzionavano). La commissione ando diligentemente a raccogliere i fatti dell'isola, ascoltando professionisti, prefetti, artigiani, politici, proprietari terrieri:
"E i fatti, per fermarsi ai più evidenti, si raggrumavano in gare d'appalto truccate senza ritegno; in funzionari statali trasferiti dal nord al sud per sospetta (o acclarata) corruzione e che nell'isola avevano letteralmente trovato la mecca; in amministratori di una giustizia esercitata, a seconda dei casi, a naso, a venti, a tinchitè, a tempesta e mai a codice civile o penale alla mano; in opere pubbliche che nel giorno stesso della loro ufficiale inaugurazione risultavano fatte con la ricotta e miseramente si accasciavano davanti a sindaci complici con tanto di fascia tricolore e a bande municipali perlomeno perplesse; in scuole senza alunni perché da tempo immemorabile a tetto scoperto; in ospedali tanto assenti quanto programmati; in strate ferrate accuratamente studiate, severamente progettate, puntualmente pagate e mai messe in funzione; in ponti latitanti dalla realtà mentre invece risultavano sulla carta topografica in bella evidenza localizzabili; in trazzere che da un mese si dipartivano per terminare nel nulla e via di questo passo".(pagina 72) 
Era il 1874, e il governo dell'epoca doveva capire se servivano leggi speciali (e poteri speciali) per combattere il "malandrinaggio" in Sicilia: la commissione, tra gli altri, interroga anche il generale Avogadro di Casanova, Commissario governativo a Palermo dal 1875. Di fronte alla commissione il generale si chiedeva «fino a che punto un uomo che ha commesso un reato ma che ha la coscienza a posto in virtù di una speciale concessione della Chiesa, può definirsi e sentirsi colpevole?»

Ovvero, se è proprio la Chiesa, il potere ecclesiastico, che riccorre a strumenti di mediazione (che poi sono passati anche allo stato) per sanare dei veri e propri reati, come possiamo sperare di fare una lotta contro la criminalità, e far arrivare anche in questa regione la legge dello Stato?

Della "bolla di componenda" ne parla diffusamente in diversi articoli su "La gazzetta d'Italia" il professor Giuseppe Stocchi, nel 1874. Lettere poi raccolte nel volume "Sulla pubblica sicurezza in Sicilia".
«Questa bolla di componenda si vende da speciali incaricati, che ordinariamente sono i parrochi, al prezzo di lire una e tredici; e mediante essa uno è autorizzato a ritenere con tranquilla coscienza fino a lire trentadue e ottanta di roba o denaro rubato. […] Ma non è solamente per il furto che uno si può comporre. Lo può fare per altri diciannove titoli, che comprendono ogni specie reale e immaginabile di furfanterie. […] Tale è la morale a cui il clero cattolico educa il popolo e specialmente le plebi in Sicilia, e tale era l‘indirizzo favoreggiato e protetto e inculcato dai passati governi.(pagine 85-87).
La Chiesa, la principale autorità morale, scendeva a patti con ladri e grassatori, facendosi pagare una sorta di tassa occulta e diventando essa stessa complice di reato. Un "pactum sceleris" scrive l'autore.
«Ora cos'è il prezzo della bolla di componenda? Al tempo stesso che una tassa in favore del clero sul delitto, è una partecipazione al furto e un furto esso stesso. E il volgo, sottilissimo ragionatore e logico impareggiabile, nei suoi interessi e nei suoi vizi, ne conclude (e sfido se può essere diversamente) che se partecipa ai furti e ruba il prete, a più forte ragione può rubare lui, e perciò il rubare non è peccato. E quando il siciliano ignorante si è persuaso che una cosa non è peccato, di tutto il resto non teme o non si cura, soccorrendogli mille mezzi e infinite vie a non cadere o a sfuggire alle sanzioni della giustizia umana. Gli basta esser certo (stolta ma esiziale certezza) che non andrà all‘inferno; e da questa unica paura lo guarentisce l‘esempio e l‘assoluzione del prete».(Pagina 87)
Questo libro va dritto al cuore del problema, molto più che tanti trattati sulla questione meridionale, mostrando le cause del sottosviluppo meridionale, del controllo del territorio da parte delle mafie, della mentalità diffidente contro lo stato, sull'essenza della mafia: il rapporto tra una certa forma di religione e una certa forma di stato.
Quando il disegno di questo scritto mi divenne chiaro, dissi a Leonardo Sciascia che avrei voluto scrivere qualcosa sulla bolla di componenda. Non ne sapeva niente, conosceva solo la componenda, quella laica. […] Dovevo assolutamente trovare una bolla di componenda originale per dare maggior credito a quanto avevo in mente di scrivere. Sciascia fece una pausa, mi taliò, sorrise del suo sorriso. «Tu una carta così non la troverai mai», mi disse.E infatti non l‘ho trovata.
La scheda del libro sul sito di Sellerio.
La pagina dedicata al libro sul sito di Vigata
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