16 marzo 2014

Dietro le solenni ovvietà del rapimento Moro

Le celebrazioni per il rapimento dell'onorevole Aldo Moro e la strage della sua scorta in via Fani, del 16 marzo 1978, rischiano di diventare il momento in cui tutta la tragedia viene sepolta dalle solenni ovvietà (cito Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo). Il non abbassare la guardia contro il terrorismo, il sacrificio di Moro (e della scorta), l'orrore del terrorismo rosso.

Nel corso degli anni, l'agguato in via Fani (e più in generale il rapimento del presidente DC) è diventato un altro dei misteri d'Italia. Pezzi della nostra storia in cui verità e menzogne si sono così mescolati assieme al punto da rende impossibile fare chiarezza e mettere in luce la verità storica (per quella giudiziaria è troppo tardi, forse).

La geometrica potenza delle BR, che in poche decine di secondi hanno liquidato cinque persone tra agenti di polizia e carabinieri, col colpo di grazia per evitare che qualcuno di questi potesse sopravvivere.
Le Br raccontano di aver fatto tutto da sole.
49 colpi su di un totale di 93 proiettili ritrovati dalle forze dell'ordine, sono stati sparati da una sola arma, che non era né quella di Moretti né quella di Morucci avendo entrambi dichiarato che le loro armi si erano inceppate.
Il covo in via Montalcini, molto lontano dal luogo del ritrovamento del cadavere in via Caetani.
L'altro covo, in via Caetani, “fatto” scoprire grazie ad una perdita d'acqua e subito bruciato dalle forze dell'ordine.
Il modo in cui lo stato hanno risposto al rapimento: i comitati dentro il Viminale i cui verbali si sono persi. I posti di blocco in tutta Italia che non hanno impedito ai postini delle Br (e alla Renault4) di muoversi per Roma.
La presenza di uomini della P2 sul luogo dell'agguato, nei comitati di crisi, ai vertici dei servizi, della polizia, dei carabinieri e dell'esercito.
Le parole dell'esperto venuto dall'america, Steve Pieczenick che, anni dopo, dichiarò di essere stato mandato a Roma per spingere lo stato italiano nella direzione “giusta”.
Ovvero la linea della fermezza.
L'esatto contrario di quanto, solo pochi anni dopo, lo stesso stato democratico fece per salvare l'assessore regionale Ciro Cirillo.
Con il trascorrere degli anni e l'acquisizione di nuove prove – afferma Imposimato – e soprattutto dopo il lavoro di redazione di questo libro mi appare chiara una cosa: il sequestro Moro, partito come azione brigatista alla quale non è estranea l'appoggio della Raf e l'interessamento, per motivi opposti, di Cia e Kgb, è stato gestito direttamente dal Comitato di crisi costituito presso il Viminale. Il delitto Moro non ha avuto una sola causa. Ma ha rappresentato il punto di convergenza di interessi disparati. In questa operazione perfettamente riuscita, sono intervenuti la massoneria internazionale, agenti della Cia [Ferracuti, criminologo che tracciò il profilo del Moro non più Moro dentro il covo delle Br], del Kgb [l'agente Sokolov presentatosi a Moro come studente borsista], la mafia [Pippo Calò che si interessò con i suoi contatti con la Banda della Magliana per scoprire il covo] ed esponenti del governo [Cossiga ministro dell'interno ed Andreotti pres. Del Consiglio], gli stessi inseriti nel comitato di crisi. Tutti questi dopo il 16 marzo, hanno vanificato le opportunità emerse per salvare la vita di Moro, spingendo di fatto le Br ad ucciderlo”
La citazione è presa dal libro “Doveva morire” Sandro Provvisionato: sono le parole dell'ex giudice Imposimato, testimone dei fatti, avendo istruito il processo sul rapimento.

Anche quest'anno si perderà forse l'occasione per parlare in modo più completo di cosa è successo quella mattina di 36 anni fa. Del percorso che aveva portato a quella mattina, le convergenze parallele tra i due grandi partiti di massa italiani.
Un'operazione osteggiata da America e Russia per motivi diversi.
Un'operazione osteggiata dalle Br, il cui rapimento di Aldo Moro segnò l'inizio del loro declino.
Un'operazione che avrebbe forse portato l'Italia fuori dalla situazione di blocco politico (solo la DC poteva governare, essendo l'Italia dentro l'area di influenza atlantica). Un ricambio politico.
O forse no.
Non lo sapremo.
Dopo il 1978 l'Italia entrò negli anni 80, i ruggenti anni ottanta, quelli del pentapartito, del debito e della loggia P2.

Oggi possiamo continuare con le celebrazioni al monumento silenziosi. Non dimentichiamoci che dietro, oltre all'inganno e alle solenni ovvietà, ci sono le persone: il maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi, i brigadieri Domenico Ricci e Francesco Zizzi, gli agenti di polizia Giulio Rivera e Raffaele Iozzino.

A futura memoria, consiglio le letture
- Doveva morire di Sandro Provvisionato
- Il golpe di via Fani, di Giuseppe de Lutiis

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