08 dicembre 2013

La città ideale - film di Luigi Lo Cascio

Lascia una sensazione angosciante, questo film girato e interpretato da Luigi Lo Cascio: è la storia di un cittadino ideale, che si è trasferito a Siena, la città perfetta per voler raggiungere i propri ideali ecologisti.
Ha lasciato Palermo per Siena dove, nella sua casa, vuole dimostrare che si può vivere un anno senza luce e acqua corrente. L'acqua la raccoglie dal cielo, la corrente da suoi macchinari ingegnosi.

Michele Grassadonia (Luigi Lo Cascio) è uno che non transige sulle regole, sui suoi principi ecologisti: niente auto, niente sprechi di luce, riscaldamento regolato al giusto.

 

Un giorno la sua vita cambia: in una sera di pioggia deve raggiungere in auto una sua collega ad una festa, quando tampona un'ombra, un qualcosa che poi fugge. Nel seguito del tamponamento va a sbattere contro un'altra auto.
Proseguendo, trova sul bordo della strada un corpo riverso per terra: si ferma a soccorrerlo e chiama i soccorsi. Ma le tracce del precedente incidente convincono gli agenti della stradale che sia lui l'investitore e che si sia inventato la storia (poco credibile) dell'ombra e dell'auto tamponata.


Qui inizia un processo Kafkiano: Michele è stritolato dentro un meccanismo giudiziario che non comprende (come tutti i cittadini ideali non ha mai avuto a che fare con la giustizia). Gli viene sequestrata l'auto, riceve l'avviso di garanzia e la notifica per presentarsi di fronte al procuratore della repubblica.
La persona investita è un uomo importante della piccola città e la notizia dell'incidente ha una certa eco anche sulla stampa.


L'avvocato scelto per difenderlo gli consiglia di non aprire bocca. Per prendere tempo, per capire che idea si è fatto il procuratore.
Ma Michele è, appunto, un cittadino ideale che vuole chiarire tutto e subito: non ha investito nessuno e non ha niente da nascondere. Ma la sua storie, le sue fissazioni (sui rifiuti, sulle auto), producono sul magistrato un effetto contrario. Lo convincono che sia una persona disturbata, che vuole prendere in giro gli inquirenti.


Deve affittare casa sua e dormire in cantina, per poter mettersi da parte i soldi per un buon avvocato. Perché un avvocato costa, anche se sei innocente. L'inquilina è una studentessa con la passione del disegno e che tappezza la camera con uno studio sulla cattura dei predatori.
Il coccodrillo, il ragno, la gazzella che scappa …


Michele si rivolge allora al miglior avvocato della città, che però assumerà l'incarico solo se ci sarà il morto (perché non può abbassarsi ad un banale caso di incidente).
Costui non è interessato alla verità, ciò che sta a cuore invece al protagonista. “La natura ventosa dei fatti rende impossibile che la vita ritorni a ciò che era stata, si può solo raccontarla”, spiega a Michele, non contano i fatti reali (perché non possiamo ritornare al passato), ma come li si racconta. Come li si presenta in aula, davanti al magistrato.


Quando Michele rifiuta il patteggiamento proposto dal famoso avvocato, questo si stupisce: “il cervello degli uomini va sempre in cerca della vittoria non della verità”. La vittoria, anche raccontando delle bugie. E questo Michele, il cittadino ideale, sdegnato, non può accettarlo.


Durante l'udienza di fronte al GUP, avvocato e procuratore scherzano, ridono, come se fossero amici da lunga data. Che male c'è in fondo ..
Lui, viene rinviato a giudizio ed è pure redarguito dal suo difensore, per la sua ostinazione verso una verità cui nessuno crede. Una verità cui nessuno importa.


Sarà la madre, che da Palermo viene a trovarlo, che lo convincerà a rivolgersi all'avvocato palermitano Scalici (Luigi Maria Burruano): aveva difeso il padre, anni prima, per una questione di debiti, lasciati poi alla famiglia.
L'affannosa ricerca della verità lo porta a scoprire un indizio importante, un quasi testimone, su quella sera: ma forse è ancora troppo poco per convincere i giudici. Scalici lo tranquillizza: è l'avvocato ideale di una giustizia non ideale. Quella per cui non importano fatti e verità.
Importano le parole: se quello che in mano sono solo poche parole “in bianco e nero”, “è l'avvocato che farà uscire dal mondo grigio delle parole, il colore”.


In che modo? Andando a scavare dentro la vita dei personaggi, perché “tutti sono fatti di una porzione di fango, per questo si deve cercare nella vita delle persone .. l'indagine è come un temporale, dove alla fine il fango che scende arriva ad intasare i tombini”.Il finale del film ricorda il celebre racconto di Sciascia “Una storia semplice”: mentre Michele, nel palazzo di Giustizia di Palermo osserva degli impiegati che si lanciano dei faldoni con dentro atti giudiziari di altre persone (metafora di una giustizia che gioca con la vita delle persone), riecheggiano nella sua mente le parole del suo nuovo avvocato. “Ma lei, lo rifarebbe?”.


Lo rifarebbe di fermarsi a soccorrere una persona, lo rifarebbe di andare dal magistrato a raccontare tutto e a non volersi inventare una storia credibile?
Lo rifarebbe a volersi fidare di un sistema che ti lascia solo, dove ogni tua parola, ogni tuo principio possono essere riletti in forma di fissazioni, manie?
“- Ha tante piccole manie Lei, eh?
– Lei sta entrando nel merito di come sono fatto.”  


Dove la giustizia sembra essere fatta più per i potenti che non per i cittadini ideali?


Il sito del film, la pagina Facebook e l'intervista all'attore regista



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