10 dicembre 2013

A viso (s)coperto


Il compito delle forze dell'ordine, specie nei presidi di piazza, dovrebbe essere quello del presidio della legalità. Che è un valore apolitico. La legalità è la legalità, né di destra né di sinistra.
Non è bello, in questo momento, starsene in piazza a presidio di quella legalità, in nome di quelle istituzione oggi occupate da persone spesso indegne, se non peggio.
Sentirsi tirati per la giacca dai manifestanti, da Grillo, che chiede a poliziotti e carabinieri di «Non proteggete più questi politici». Le polemiche per il casco tolto di fronte alle persone in piazza.

Mi vengono in mente le pagine del libro "A viso coperto", di Riccardo Gazzaniga: "Il sogno del celerino"

Francesco era in cameretta, metteva in fila le sue macchinine poi le sparpagliava, le metteva in fila e le sparpagliava.
    Sembrava tranquillo e Fabio poteva restarsene stravaccato sul divano ad ascoltare il telegiornale.
    Parlavano di un politico di primo piano, travolto dallo scandalo di aver fatto concedere dei permessi di soggiorno alle prostitute che frequentava.Quanto sarebbe durato lo sdegno? Qualche mese, un anno? Magari il politico si sarebbe ritirato in qualche convento a espiare le sue colpe oppure si sarebbe fatto fotografare redento con la moglie, prima di tornare al suo posto.Lo Stato italiano era inflessibile solo con i poveracci. I criminali da strapazzo, i ladruncoli, i tossici, adesso pure i clandestini. Succedeva lo sesso in piazza, dove ti scontravi con gente malmessa quanto te. Mica con chi truffava o appaltava il bene pubblico alle mafie. Con chi sbeffeggiava la magistratura e sputtanava il denaro dei cittadini. In strada abbattevi il manganello solo su persone che avevano il tuo stesso reddito, i tuoi stessi sogni, speranze e frustrazioni. Oppure su lavoratori che avevano perso il posto, o su cittadini che difendevano il loro territorio dalla minaccia di opere pubbliche insensate.
    In piazza tu rappresentavi lo Stato a cui loro chiedevano risposte. Ma se lo Stato quelle rispose non le aveva, parlavano solo i manganelli.Ogni tanto a Fabio capitava di fare un sogno a occhi aperti. Si trova a Roma, mentre cittadini infuriati marciano verso il Parlamento. La gente esausta di prese in giro va dritta verso le stanze dei bottoni a prendere per le palle la casta delle mummie che avrebbe dovuto tutelarla e invece l'ha schiacciata.
    Fabio è in tenuta antisommossa, schierato con altri colleghi: scudi, caschi, manganelli sguainati a difendere una manica di vecchi rincoglioniti, puttanieri e bagasce, tossicomani e veline in giacche e tailleur.
    C'è anche il dirigente del servizio, pelle giallastra e occhialoni da vecchia professoressa. La solita divisa stropicciata da chi è stato troppo tempo in ufficio e non capisce niente di strada.La folla è accalcata davanti a loro, urla e inveisce. Ma per una volta non ce l'ha con la polizia: sono cori e insulti contro i politici, questi. Non si tratta dei soliti comunisti dei centri sociali, quelli con cui il reparto si è scontrato tante volte, ma di persone qualunque. Lavoratori, casalinghe, studenti. Perfino uomini in abiti scuri e donne eleganti. Un po' come quando Craxi scappava e la gente gli tirava addosso le monetine dicendo: «Bettino, vuoi anche queste?» Bettino Craxi, il grande statista scappato da ladro e morto da ricercato.
    Dalle finestre la casta guarda terrorizzata il popolino che si è rivoltato.
    Via radio il dirigente riceve l'ordine di disperdere i facinorosi anche se non stanno volando oggetti e non c'è un'aggressione in corso. Un ordine chiaro e senza mezzi termini, il genere di disposizione che alla polizia non arriva mai.
    Il dirigente lo scandisce in modo netto. Si trasmette di bocca in bocca, passa tra i caschi. Eppure nessuno si muove. Solo un paio di poliziotti fanno un passo avanti, sul punto di partire, ma il grosso resta dov'è.
    «Forza, caricate!» Strilla il dirigente occhialuto.
    È allora che Fabio, in mezzo a cento e più colleghi, prende l'iniziativa ed esce dallo schieramento a passi lenti. Si ferma dopo pochi metri, toglie il casco e lo lascia rotolare per terra., getta il manganello. Si sposta di lato e col braccio fa cenno di accomodarsi.
    La gente all'inizio non capisce, lo guarda spaesata. Poi un altro collega lo imita. Iniziano a cadere gli scudi e i poliziotti si aprono in due schieramenti laterali, lasciando aperta la porta del Palazzo.
    La gente applaude, esulta, poi avanza, entra, abbracciando i poliziotti, toccandoli, senza cercare di aggredirli.
    Ecco cosa sognava Fabio a occhi aperti. Si ricordava che qualcosa di simile era successo in Romania, caduto Ceausescu. Forse la suggestione gli veniva da lì.
    Pagina 110-111

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