31 ottobre 2013

Quanto è umana

Il ministro l'ha fatto per umanità, nei confronti di una detenuta, in attesa di giudizio, che soffriva di anoressia.
Nulla da dire se riuscissi a credere che il gesto l'avrebbe fatto, il ministro, anche per un detenuto qualsiasi (uno Stefano Cucchi, per dire).
Siccome siamo in Italia, mi viene proprio difficile credere che quella scarcerazione non sia figlia di un cognome che conta.
Io so' io ..


Arrigoni e il caso di piazzale Loreto, di Dario Crapanzano

Milano 1952

L'incipit:
Faceva un freddo boia la mattina di domenica 7 dicembre, Sant’Ambrogio. Ciò nonostante, alle otto in punto il ragionier Spartaco Spezzaferro, lasciato a malincuore il calduccio della sua abitazione in via Sacchini, partiva per la consueta passeggiata in compagnia del fido Volpino. Volpino con la V maiuscola perché quello non era solo il nome della razza canina di appartenenza della bestiola, ma anche il suo personale, per una curiosa scelta, al tempo stesso banale e anticonvenzionale, del padrone.


7 dicembre 1952, giorno di festa a Milano per la festività di S. Ambrogio: in quella fredda domenica il cadavere di Gilda Dell'Acqua viene trovato da un pensionato, a passeggio col proprio cane, all'interno della propria auto, una topolino.
Gilda Dell'Acqua, assieme alla sorella gemella Violetta, è proprietaria del bar in piazzale Loreto “Le gemelle”: un bar famoso nel quartiere, anche per l'avvenenza delle due ragazze, così uguali per farle distinguere l'una dall'altra hanno scelto di indossare anelli con pietre di colore diverso.
È il delitto di piazzale Loreto, che impegnerà il commissario Arrigoni e la sua squadra intensamente, fin quasi fargli gettare la spugna.

Un delitto complicato: la ragazza, rimasta orfana di entrambi i genitori, viveva in casa di uno zio assieme alla sorella, con cui divideva la cospicua eredità lasciata dal padre. Una vita all'apparenza tranquilla: lavorava nel bar tabacchi aveva un fidanzato studente in ingegneria ..

Ma i colpi di scena arrivano subito: a causare la morte è stata un'iniezione di cianuro, nel collo.

Deduzione numero uno: siamo di fronte a un omicidio premeditato, perché nessuno va in giro con in tasca una siringa contenente cianuro, aspettando che gli capiti l’occasione di far fuori qualcuno. Secondo punto: possiamo con assoluta certezza ritenere che, la sera del delitto, Gilda avesse appuntamento con qualcuno a lei ben noto, infatti lo ha lasciato salire sulla sua macchina.[..]Tutto ciò premesso, il nostro lavoro comincia adesso... cerchio dopo cerchio: caccia al movente, identificazione delle persone sospette, ricerca delle prove. Che poi a questi risultati ci portino motivazioni passionali, vizi più o meno occulti, la cocaina, vallo a sapere...
Cerchio dopo cerchio, dice il commissario: e muovendosi in questo modo, tra i frequentatori del locale, Arrigoni, affiancato dal valido ispettore Giovine e dall'agente Di Pasquale, scoprono che questa Gilda aveva molte frequentazioni “particolari” fuori dal locale.

Partecipava a dei festini, con tanto di spogliarelli e consumo di droga, nella villa di un enigmatico marchese.
Gli investigatori scoprono che, oltre al fidanzato, si lasciava corteggiare da altri personaggi del bar; andava a giocare in una bisca clandestina dove perdeva parecchio denaro. Oltre al gioco d'azzardo, aveva anche il vizio di consumare cocaina che si faceva portare al bar e che poi consumava da sola o nei festini con marchese e consorte. Anche con lo zio, che gestiva per loro il bar tabacchi, aveva con la nipote una morbosa attenzione.

Insomma, Gilda era una ragazza molto attraente e spregiudicata, conscia dell'effetto della propria bellezza sugli uomini. Fascino che sapeva usare a suo piacimento e che intendeva usare fare carriera nel modo dello spettacolo. Tutto il contrario della sorella da cui la divideva anche il modo in cui gestire la ricca eredità lasciatagli dai genitori: tanto Gilda intendeva vendere i beni per incassare denaro, tanto Violetta, maestra in una scuola elementare, intendeva tenere assieme tutto quanto ereditato.
– Le modalità dell’assassinio ci hanno detto in modo chiaro che si è trattato di un omicidio premeditato, e che il colpevole andava cercato nel giro delle frequentazioni della vittima. Vittima che ormai conosciamo come le nostre tasche: più vizi che virtù, amori, amorazzi, passioni, ambizioni. Il parco a nostra disposizione si riduceva però a pochi soggetti: i quattro gatti del bar, il fidanzato, i parenti e i pochi nomi usciti dall’agendina, fra i quali l’unico degno di attenzione sembrava, forse, Emanuele Gargiulo. 
Troppe piste che però, alla fine si rivelano piste morte. Ognuno dei sospettati ha un alibi o comunque non ci sono prove inconfutabili per far scattare le manette (con dispiacere del vice Mastrantonio).
Che fare? Arrivati al punto di gettare la spugna, il caso verrà risolto grazie all'intuito dell'ispettore Giovine che arriva a seguire una pista personale, partendo da alcune note stonate, alcuni particolari del caso che non tornano.
“...però ho registrato inconsciamente una nota stonata che, dopo l’incontro con il marchese, è tornata prepotentemente alla luce. È suonato un campanello d’allarme e, riflettendo sugli sviluppi del caso, mi sono saltate all’occhio alcune anomalie, alle quali non avevamo prestato attenzione, in quanto poco rilevanti per le piste che stavamo seguendo.”

Terzo caso per il commissario capo Arrigoni e la sua squadra del commissariato di Porta Venezia: un personaggio seriale che ricorda, per i suoi modi e per il suo modo di lavorare, il più celebre commissario parigino Maigret, nato dalla penna di GeorgesSimenon.

Come quest'ultimo, anche Arrigoni deve seguire casi che hanno a che fare con la miseria, con l'avidità, l'amore. Anche Arrigoni cerca di intuire, dalle tracce dell'omicidio, uno spunto per arrivare alle motivazioni dell'omicidio e dell'assassino.
Ma i gialli di Crapanzano sono anche un viaggio dentro la Milano del primo dopoguerra: quella dove si viaggiava a piedi o col tram. C'erano poche auto e nei bar si giocava a scopa (e non c'erano le slot machine) e si mangiava i “sanguis”, l'italianizzazione dei sandwich inglesi, ovvero panini al salame accompagnati da un generoso bicchiere di Barbera.

In questo romanzo Crapanzano racconta della genesi della festa degli “Oh bèj! Oh bèj”: nasce dalla visita nel 1510 a Milano di un rappresentante del regno pontificio:
Il rappresentante pontificio, scoperto che anche la gente condivideva la linea contestatrice dei prelati, preoccupato per la sua incolumità decise di inventare qualcosa per ingraziarsi i favori del popolo. Preparò così un gran numero di pacchi contenenti dolci e giocattoli, e li distribuì alle decine e decine di bambini[..] Di fronte a tanto bengodi, i piccoli milanesi manifestarono la loro gioia gridando festosamente “Oh bèj! Oh bèj”.
Di come sono nati i primi fotoromanzi con le foto degli attori:
“Fu Cesare Zavattini ad avere l’idea di sostituire i disegni con fotografie di persone in carne e ossa, mantenendo lo stesso impianto narrativo: il grande uomo di cinema pensava che con questo accorgimento il successo sarebbe stato anche maggiore. Inoltre, molto pragmaticamente, era convinto che così (“il fine giustifica i mezzi”) si sarebbe in qualche modo avvicinato il popolo all’abitudine della lettura”.
Della storia di Piazzale Loreto:
“Il bar tabacchi “Le Gemelle” si trovava in piazzale Loreto, località teatro di episodi chiave della storia milanese e italiana: qui, il 10 agosto del 1944, diciotto partigiani erano stati giustiziati da un plotone della Legione Muti; qui, il 29 aprile del 1945, erano stati esposti, appesi alla pensilina del distributore di benzina, i corpi senza vita di Mussolini, della Petacci e di cinque importanti gerarchi fascisti”.
Del sindaco di Napoli Lauro:
Parlando di Napoli e del Napoli, è impossibile non dedicare due righe alla figura del sindaco Achille Lauro, personaggio pittoresco della politica italiana degli anni ‘50. Per dirne solo una, durante la sua campagna elettorale, distribuì agli elettori una scarpa, promettendo la seconda solo dopo il risultato positivo delle urne!”.
Infine, la Milano liberty: ad un certo unto il commissario si mette a osservare il palazzo Liberty di via Malpighi 3:
La zona dietro piazza Oberdan era, ed è, un raro concentrato di bellezze architettoniche in stile liberty.[..]i palazzi di queste vie offrono alcuni fra i più splendidi esemplari del liberty meneghino. Arrigoni si fermò davanti al suo preferito, lo stabile di via Malpighi numero 3.[..]si dilungò ad ammirare, toscano in bocca e naso all’insù, i balconi e i balconcini, finemente lavorati in ferro battuto, contornati, a ogni piano, da magnifici affreschi a tutta parete rappresentanti figure umane immerse in un tripudio di piante e fiori”.


È possibile ammirare anche oggi questo palazzo, che si è conservato così bene fino ai giorni nostri.
La scheda del libro sul sito di Frilli editore.

Il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon.

30 ottobre 2013

La finzione grillesca


L'impeachment. Il no all'emendamento contro il reato di clandestinità. Il no a qualsiasi alleanza, anche temporanea.


Grillo ha parlato ai suoi, e la finzione è calata.
Il Fatto Quotidiano articolo di Martina Castiglioni “Noi parliamo alla pancia della gente. Siamo populisti veri, non dobbiamo vergognarci. Quelli che ci giudicano hanno bisogno di situazioni chiare. Ad esempio prendete l’impeachment di Napolitano. Molti di voi forse non sono d’accordo, lo capisco. Ma è una finzione politica. E basta. Non possiamo dire che ha tradito la Costituzione. Però diamo una direttiva precisa contro una persona che non rappresenta più la totalità degli italiani. Noi siamo la pancia della gente”. Perché il rischio era molto grosso: “Abbiamo raddrizzato la situazione, siamo stati violenti per far capire alla gente. Se andiamo verso una deriva a sinistra siamo rovinati”.



Non bastava Renzi e il suo “programma col buco intorno” che prende dalla destra populista (i sindacati da togliere), molto approssimativo sulle coperture delle sue idee.

Mettete le lancette dei vostri orologi indietro di 30 giorni

Mettete le lancette dei vostri orologi indietro di 30 giorni. Non è un refuso del passaggio all'ora solare.
È la politica italiana che è tornata indietro fino ai primi giorni di ottobre.
Quando si discuteva della decadenza di B.: in quei giorni i diversamente berlusconiani riuscirono ad avere la meglio sul loro caro leader.
Ma l'illusione di un cambiamento politico nel centrodestra è durata giusto il tempo di un quid. Come il quid di Alfano.

Il ventennio non è stato affatto chiuso e oggi, nonostante colombe e responsabili, il governo Letta è ancora lì fermo, bloccato attorno alle decisioni di B.


A far cambiare idea ad Alfano sarà sufficiente l'accenno di metodo Boffo sui giornali di centrodestra, sulla moglie e le mediazioni civili, il suo appartamento a Roma, in affitto da Ligresti, ma c'è spazio anche per Lupi e la lobby di CL.


Il rinvio della decisione da parte della giunta del Senato non è giustificabile: non c'è nessuna macchia per la democrazia se un condannato per frode fiscale è cacciato dal Senato. Il fatto che B. sia un politico, votato da milioni di persone, è una aggravante non un punto a favore (come ha anche fatto notare la sentenza di appello).


Poi possiamo anche lanciare, dall'altro versante politico, i moniti contro l'instabilità, che causerebbe danni al paese. Ma la realtà è che questa stabilità, per cui tutto cambia per non cambiare nulla, mi sembra più uno stagno di acqua melmosa.
In quest'acqua, è sempre poco trasparente il fondo: il fondo della legge di stabilità, ad esempio. Sono 14 euro o forse anche meno, i soldi dal cuneo fiscale?

Le privatizzazioni serviranno a far diminuire il debito, oppure solo per coprire la spesa corrente o compensare le coperture ballerine della legge di stabilità stessa?

29 ottobre 2013

Il caso Zaleski e Intesa

L'articolo di Giorgio Meletti sul Fatto Quotidiano, a commento della scorsa puntata di Report
Caso Zaleski, Banca Intesa in imbarazzo
BAZOLI TACE. MODIANO (TASSARA) AMMETTE IL BUCO DA 700 MILIONI
Pietro Modiano, presidente della Carlo Tassara, alla fine fa la cifra: “Sei-settecento milioni”. Per la prima volta una fonte ufficiale ammette il buco che sta lasciando alle banche creditrici la finanziaria di Romain Zaleski, finanziere franco-polacco, amico del presidente di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli, che è arrivato ad essere il secondo azionista della banca con soldi in prestito. Hanno potuto ascoltare Modiano, insieme alla ricostruzione di Giovanna Boursier, i telespettatori che ieri sera hanno seguito su Raitre la puntata di Report dedicata alle banche. La storia è imbarazzante per tutti. Nel 2008 il valore delle azioni comprate da Tassara è crollato, ma non quello dei debiti. Ma Zaleski non viene fatto fallire. Report ha mostrato l'intervista a Enrico Cucchiani, amministratore delegato di Intesa che Bazoli ha fatto fuori appena due giorni prima che le banche creditrici (Intesa e Unicredit in testa) accordassero alla Tassara una nuova proroga per il rientro dal debito: “Quando queste operazioni sono avvenute non ero presente”, si schermisce Cucchiani, e poi ammette: “Lei mi insegna che anche se qualcuno ci prova è molto difficile rimettere il dentifricio nel tubetto”. Insomma, i soldi sono persi. La Carlo Tassara è sottoposta da cinque anni a una peculiare forma di commissariamento, grazie alla quale Zaleski continua a comandare. Dalla riunione del cda Tassara che ha approvato il nuovo accordo con le banche è uscito per primo proprio lui. Commenta Milena Gabanelli: “Che cosa ci faceva nelle stanze dove è riunito il cda della Tassara, di cui lui non fa più parte da 5 anni?”. Come Zaleski neppure Bazoli ha accettato di farsi intervistare. “Non ha accettato un confronto – spiega Gabanelli - perché, ci scrive, non è suo costume concedere interviste televisive, esprime il suo apprezzamento per le attività benefiche di Zaleski, dice che fino al 2008 era un cliente ambito da tutto il sistema bancario”. Bazoli scrive anche che “dal 2007 non ho più partecipato a delibere riguardanti la Tassara”. Ma, nota Boursier, “nel 2006 invece, in qualità di Presidente del Cda di Intesa, partecipa alla delibera di un prestito alla Tassara di Zaleski di 605 milioni senza garanzie. Amministratore delegato era Corrado Passera”. Una mano lava l'altra e tutt'e due lavano i debiti dell'amico Zaleski. Twitter@giorgiomeletti 
Il link per rivedere la puntata e il pdf con la trascrizione del servizio. 

28 ottobre 2013

Grandi banche per (soli) grandi clienti

C'era una pubblicità, una volta: per una grande parete, serve un grande pennello!
Parafrasando questo slogan, c'è stato un periodo in cui si è pensato che per fare un grande paese, servissero banche sempre più grandi.
Ovvero banche cresciute per acquisizioni e fusioni: il risultato è un paese dove la maggior parte delle imprese sono piccole, non federate e un sistema creditizio composto per la maggior parte, da pochi gruppi.

Tutto ok?
Finché le cose andavano bene, forse. Ma ora che abbiamo scoperto la crisi, gli scandali dentro le banche (MPS, BPM, Banca delle Marche, il credito coperativo fiorentino di Verdini ), i prestiti facili agli amici e il rubinetto chiuso alle imprese sane, forse possiamo anche alzare qualche critica a questo sistema creditizio.
Un sistema dove la crisi viene fatta pagare non solo per i prestiti non concessi, ma anche con la messa in mobilità del personale dentro le banche.
Come se il rosso in MPS l'avessero fatto gli sportellisti e non manager da stipendi d'oro.
L'ABI ha disdetto il contratto nazionale bancario, perché i conti (tra costi e ricavi) non tornano.
Il prestito dalla BCE è stato adoperato per comprare titoli di stato (causando una diminuzione dello spread), ma l'aver chiuso il rubinetto per i prestiti ha causato un danno peggiore. La chiusura di molte piccole imprese messe in mezzo tra le tasse e il credit crunch.
E parte dei debiti in pancia alle aziende (i crediti in sofferenza) rischiano di non essere mai riscossi:

Dall'articolo di Matteo Cavallito sul FQ:

Con 141,8 miliardi di fardello su base lorda, il totale dei crediti in sofferenza del sistema bancario italiano (ovvero quelli la cui riscossione è a rischio poiché i debitori si trovano in stato d’insolvenza) ha registrato nel mese di agosto l’ennesima preoccupante impennata. Un dato, quello riferito nelle ultime settimane dall’Associazione bancaria italiana (Abi), che dipinge il quadro peggiore degli ultimi 14 anni – il rapporto tra prestiti a soggetti insolventi e finanziamenti concessi alla clientela ordinaria viaggia al 7,32%, il valore più alto dal 1999 – ed evidenzia, va da sé, l’ennesimo effetto della crisi.

Ma ad incidere su questa massa di credito destinata alla svalutazione ci sono anche un paio di fattori nascosti: i maxi prestiti alla clientela top e la predominante responsabilità dei massimi livelli dirigenziali. Lo rivela uno studio riservato della Fiba, il sindacato del settore bancario e assicurativo della Cisl, che punta implicitamente il dito contro una nota questione irrisolta: quella, per dirla con un eufemismo, dei “grandi debitori”.

“Una parte significativa delle sofferenze è legata ai crediti erogati a grandi personaggi, amici e ‘furbetti’ vari”, dichiara il segretario generale di Fiba Cisl, Giulio Romani. “L’Abi ha disdettato il contratto nazionale dei bancari: non riconoscere l’adeguamento inflazionistico consentirebbe alle banche di risparmiare 1,7 miliardi. Ma parliamo pur sempre delle stesse banche che hanno erogato miliardi a Romain Zaleski, a Ligresti e a Danilo Coppola o concesso liquidazioni milionarie a Vigni, Bianconi, Cucchiani, Profumo e Geronzi. Con i soli soldi che si perdono attualmente su Zaleski si potrebbe coprire la copertura inflattiva a regime di un intero contratto per tutti i dipendenti bancari…”.

Report questa sera si occupa delle banche e del loro mandato che è stato tradito: da banche per il credito alle famiglie e alle imprese, si sono trasformate in banche per concedere prestiti facili agli amici, e per operazioni di sistema.
L'inchiesta si intitola "Intesa sul credito" ed è di Giovanna Boursier:

"Romain Zaleski e Luigi Zunino sono grandi debitori delle banche, capofila, per entrambi, Intesa San Paolo. Hanno ognuno, all’incirca, 2mld di debito. Zaleski è un finanziere francese, di origini polacche, che arriva in Italia perché deve riscuotere un credito da un’acciaieria della Val Camonica, lui la rileva e si stabilisce nel bresciano. Specula in borsa, le banche lo finanziano, nel 2007 fino a 9 miliardi, e circa 2 glieli ha dati Intesa guidata da Giovanni Bazoli. Si conoscono nella finanziaria Mittel, di cui Zaleski diventa azionista nel 1996, e Bazoli è stato a lungo presidente. Zaleski nel 2007 ha anche un patrimonio di titoli bancari e quando Intesa si fonde con San Paolo Imi, la Tassara di Zaleski arriva al 5,9% della nuova banca, diventandone il secondo azionista. Nel 2008 crolla, insieme ai mercati finanziari. Da allora le banche, da Intesa a UniCredit, gli ristrutturano il credito. Più o meno lo stesso vale per l’immobiliarista Luigi Zunino: nel 2008 aveva più di 3 miliardi di debiti, e la procura di Milano aveva chiesto il fallimento della sua società Risanamento. Ma anche in questo caso, si fa un accordo con le banche che si prendono quote della società e gli iniettano liquidità. Oggi ha ancora 1,8mld di debito con le banche e vorrebbe riprendersi Risanamento, che ha in pancia immobili prestigiosi a Parigi. Il Banco Popolare è disponibile a rifinanziarlo.

A coloro invece che non hanno amici nelle banche, chiudono i fidi e di conseguenza devono chiudere le loro imprese. Poi ci sono anche quelli che, con la crisi, comprano a rate. Il credito al consumo ormai serve per mangiare. Ma è difficile sapere quanto si paga di interessi, come è il caso delle carte revolving... Istruzioni per l’uso".

L'anteprima del servizio su Reportime:


La prima industria del paese

Alcuni dati dall'articolo del Fatto Quotidiano, sull'industria della politica in Italia: più di un milione di occupati, stipendi non commensurati agli obiettivi, nomine che non passano da concorsi ma decise dalla politica.

Uno spaccato del ministero degli Interni (ma quanta gente che viene da Agrigento, strano ..).

E infine, i top 20 per anzianità di servizio. Re Giorgio in primis.


Una volta ci si indignava anche, di fronte a questi numeri. Poi sono arrivate le larghe intese ..

La via italiana alla risoluzione dei problemi

Esiste un modo tutto italiano di risolvere i nostri probliemi (eccesso di burocrazia, clientelismo, grandi banche che fanno credito solo a grandi clienti, arretratezza informatica, corruzione, evasione ..): quello che piuttosto che affrontare i problemi, se li inventa o li lascia decantare (vedi emergemza case, emergenza carceri, emergenza immigrazione).
Piuttosto che trovare soluzione che eliminao il problema, lancia annunci a mezzo stampa degli annunci di grandi riforme che risolvono il problema solo sulla carta.

Avete sentito il ministro Saccomanni l'altra sera da Fazio: dobbiamo rientrare nel debito, dobbiamo rientrare nei vincoli europei e dobbiamo pure trovare i soldi per coprire le tasse tolte (Imu) e le promesse fatte (il cuneo).
Che fare? Le dismissioni di beni pubblici e le privatizzazioni di società pubbliche, per fare cassa.

In un momento in cui il mercato del mattone non gira, forse non è la soluzione giusta, considerato anche che non esiste nemmeno un censimento delle caserme dismesse (tanto per fare un esempio).
Visto che in Italia c'è così bisogno di case popolare (avete presente le tende piazzate a porta Pia la settimana passata), non è il caso di arricchire ancora pochi privando noi cittadini di un bene pubblico.
Stesso discorso vale per Eni e Rai: privatizzare la Rai di fatto sarebbe un regalo all'altro polo privato (nonché polo politico).

Fazio, in verità, ci ha provato a portare il ministro su un altro territorio: il mondo dell'evaso, che in questo momento può essere solo stimato per difetto.
Un centinaio di miliardi, per difetto. Che facciamo qui? Il ministro ha schivato, ma poi domenica è uscita sui giornali la notizia di un accordo con i paesi in cui si trovano i soldi non dichiarati degli italiani.
In pratica un mezzo condono, che esce nei giorni in cui Il Fatto ha parlato del buco del condono di Tremonti del 2002.
Non sono facciamo un favore agli evasori, ma gli facciamo pure uno sconto, perché sanno (gli evasori) che nessuno controlla.

Stesso discorso per la corruzione: la legge Severino si è rivelata per quello che era. Una soluzione assolutamente parziale, già messa in discussione sul principio della decadenza dai suoi stessi ideatori.
Per fermare la corruzione serve trasparenza, norme chiare, processi rapidi (e non tribunali ingolfati da processi per la Bossi Fini e le norme sulla clandestinità), fine dei clientelismi negli appalti pubblici.

Da Santoro, nell'ultima puntata di Servizio pubblico si è anche parlato di rimettere in discussione il TAV in Val di Susa, le concessioni delle società di giochi online e lo sconto sulla multa che dovrebbero pagare per la multa della Corte dei Conti (2,5 miliardi e forse ne pagheranno 600 ml).
Ovviamente, il giorno dopo i giornali parlavano solo di quelli che dicevano i politici (la decadenza di B., la presunta rottamazione di Renzi ..).

La mafia è invece semplicemente sparita dall'agenda: non abbiamo nemmeno una commissione parlamentare (e c'è il rischio che non l'avremo proprio per questa legislatura). Non si può chiedere al tacchino di infilarsi in forno, e nemmeno a questi partiti di finanziare l'agenzia che gestisce i beni confiscati, potenziare le condanne per il voto di scambio. La mafia non esiste (più). Nemmeno al nord, nemmeno attorno alle opere pubbliche del nord.


Ma possiamo anche parlare dell'IMU o Trise per gli edifici della Chiesa. Pagheranno qualcosa?
Del meccanismo dell'8 per mille. Verrà ridiscusso?
O forse la rivoluzione in Vaticano si è fermata ai messaggi su Twitter?

Per finire, il titolone di Repubblica: abolite le province entro l'anno. Non è comico: proprio in questi giorni il PD sta eleggendo i suoi organi provinciali, con tanto di guerra delle tessere al sud...

27 ottobre 2013

Il caso Datagate e altre bufale che ci hanno raccontato

Yes we scan.
L'Italia è il paese con più intercettazioni al mondo, dove i magistrati intercettano una larga parte della popolazione. Siamo un paese di intercettati, come la Germania ai tempi della Stasi, raccontata nel film “Le vite degli altri”..

Quante volte abbiamo letto questi commenti sui giornali, ogni volta che un potente finiva indagato per mafia, corruzione. Berlusconi (e le sue cene eleganti, i vecchietti della P3 che cercavano di condizionare le inchieste che riguardavano Cesare, la cricca della Protezione civile fino all'ultima inchiesta sull'alta velocità.

E poi alla fine, per lo scandalo Datagate, si scopre che i servizi segreti americani spiano anche i paesi alleati e perfino i leader dei paesi amici. Apriti cielo, immaginavo editoriali infuriati dei giornalisti di cui sopra, indignati per l'orecchio spione di zio Sam. Ma come si permettono questi qua, di entrare nelle nostre case, o quanto meno, nelle case delle nostre istituzioni?

Come diceva Obama? Yes, we scan!


Alla fine, erano tutte bufale: ovvero che l'Italia è un paese di intercettati, ma semmai un paese ad alta corruzione, specie se si sale in alto.
Non solo, pare che gli spioni della Merkel fossero proprio qui in Italia, a Roma.
Mi sarei aspettato una reazione dal governo, un monito da Napolitano. In fondo hanno spiato le loro vite. E invece, niente. Letta preferisce fare la parte di quello che cade dalle nuvole, Grasso nell'incontro con Biden non ha chiesto nulla perché non era in programma (mi sembra una risposta alla Grillo).
Ma non era finito il tempo della sovranità limitata?

Fare cassa.
Avete sentito Saccomanni ieri sera? C'è la fine del tunnel, basta vederla.
La manovra sul cuneo fiscale, le tasse in diminuzione, l'obbligo della stabilità. E i soldi da dove si prendono? Anche dalle privatizzazioni, visto il successo delle passate privatizzazioni. Come quella di parte della Rai, come anche quelle delle società pubbliche di regioni e comuni. Trasporti, acqua, servizi. E il referendum del 2011?

La fine del ventennio.
Ma non era finito il ventennio? Non era Alfano il nuovo leader del PDL?
E invece il PDL si è dissolto in Forza Italia, partito che è tornato nelle mani di lui. Quello del ventennio. Quello dei condoni (con Tremonti) che alla fine hanno reso felici solo gli evasori e non le casse dello Stato.
Quello che ora lascerà il posto alla figlia.



L'emergenza immigrazione.
Per fortuna che sono venuti pure a piangere a Lampedusa. E che Letta, dopo il vertice europeo esprimeva soddisfazione (viva e vibrante ..). Alla fine cosa abbiamo ottenuto? Qualche aereo in più per pattugliare il mare.
E la legge Bossi Fini, il reato di clandestinità? Rimandati fino alla prossima tragedia.

Dall'emergenza immigrazione a quella delle carceri.
E per fortuna che era grave e urgente risolvere il problema delle carceri (che c'era anche prima della condanna di B.). Appena il provvedimento di amnistia si è scontrato col no di Renzi(e penso che non sia il solo) di amnistia non se ne parla più.
Mentre la riforma della Costituzione va avanti a spron battuto. Senza referendum confermativo (argomento che avevano tirato per tranquillizzare i cittadini) , visto che alla fine la stessa maggioranza che doveva riformare la legge elettorale, ha votato in massa a favore della riforma dell'art 138 della Costituzione.
Quella che accelera i tempi per cambiare le norme della nostra carta. Una riforma lasciata in mano ai saggi e non alla Parlamento, che potrà solo prendere o lasciare. Tutto grazie alla legge elettorale che lascia nelle mani dei segretari di partito le nomine.

E infine, la legge elettorale.

È grave quanto successo l'altro giorno, con l'incontro semisegreto tra Napolitano e i partiti di maggioranza per modificare la legge elettorale.

Visto che si ripete che il presidente è l'ultimo baluardo che ci rimane. Che il presidente ha sempre rispettato le sue prerogative.
Che la legge elettorale è materia che compete al Parlamento: cosa c'entrano allora questi incontri? Il procedere per decreti?

Il complesso di Telemaco di Massimo Recalcati


Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre

"Siamo stati tutti Telemaco. Abbiamo tutti almeno una volta guardato il mare aspettando che qualcosa da lì ritornasse. E qualcosa torna sempre dal mare.” 
Il saggio di Massimo Recalcati affronta una dei problemi più importanti nella nostra società: l'assenza o la scomparsa, del padre. Siamo tutti Telemaco ci dice l'autore, usando il personaggio di Omero come metafora delle nostre vite. Siamo tutti figli, che assistono allo scempio nella loro casa da parte dei Proci, figli che attendono appunto l'arrivo di un padre affinché ristabilisca la legge.

Non è un richiamo alla figura autoritaria del padre padrone, quella che cerca Telemaco: il figlio di Ulisse scruta il mare e affronta le sue insidie per mettersi sulle sue tracce, per chiedere di lui alle persone che l'hanno riconosciuto. Non rimane ad aspettare nella sua casa, come Godot nella piece di Beckett

Il padre Ulisse rappresenta la continuità col passato, e la perdita di autorità nella sua casa è mutuata dall'assenza del padre:
Il complesso di Telemaco è un rovesciamento del complesso di Edipo. Edipo viveva il proprio padre come un rivale, come un ostacolo sulla propria strada. Telemaco, invece, coi suoi occhi, guarda il mare, scruta l’orizzonte. Aspetta che la nave di suo padre – che non ha mai conosciuto – ritorni per riportare la Legge nella sua isola dominata dai Proci”.
La legge che i Proci hanno violato non è solo quella dell'ospitalità (sacra nell'antica Grecia): Recalcati fa riferimento alla legge della psicoanalisi chiamata “legge della Parola” :
Stabilisce che essendo l’umano un essere di linguaggio, essendo la sua casa la casa del linguaggio, il suo essere non può che manifestarsi attraverso la parola.Significa che la vita si umanizza e si differenzia da quella animale attraverso la sua esposizione al linguaggio e all’atto di parola.[..] la Legge della parola, castrando il godimento incestuoso, impedisce, come direbbe Lucrezio, che “tutti possano volere tutto”.
Da questa legge (e dal non rispettarla) discende tutto: da una parte la difficoltà dei padri (intesi come la generazione dei padri) di svolgere una funzione educativa; padri che inseguono una giovinezza senza fine e figli costretti a loro volta a rimanere in quello stato senza un orizzonte futuro, per anni. Nessuno insegna loro la passione, i desideri, da tramandare di generazione in generazione come fosse una eredità da non consumare.

L'autore cita due esempi cinematografici: da una parte il film di Moretti “Habemus papam”, con la crisi del Pontefice che, di fronte alla folla, non riesce a parlare.
Dall'altra “Salò” di Pasolini, dove vige l'assenza di regole da parte dei quattro carnefici salotini: padri che stuprano i propri figli, li umiliano, li uccidono.
La domanda di padre non è più domanda di modelli ideali, di dogmi, di eroi leggendari e invincibili, di gerarchie immodificabili, di un’autorità meramente repressiva e disciplinare, ma di atti, di scelte, di passioni capaci di testimoniare, appunto, come si possa stare in questo mondo con desiderio e, al tempo stesso, con responsabilità”.
E' finito il tempo di Edipo, della generazione dei figli negli anni '70, figli in contrasto coi padri, ed è finito anche il tempo di Edipo, dei figli che si perdevano specchiandosi in loro stessi. La nuova generazione deve essere quella dei figli Telemaco, capaci di ereditare nel modo giusto la loro ricchezza dai padri, senza incorrere negli errori di Edipo (parricida) o Narciso (egocentrico).

Ovvero essere capaci di riconquistare la nostra eredità dal padre, senza che questi diventi un culto, qualcosa di immutabile, di dogmatico.
“L’eredità come riconquista non è mai fedeltà acritica al passato, non è memoria d’archivio, rendita, ma implica l’oblio come forza”.
Ma nemmeno che vi sia un taglio netto col passato: 
“un altro modo di fallire l’eredità: è il modo “di sinistra”. Di cosa si tratta? Si tratta della recisione del legame con il passato, del rifiuto della memoria, della cancellazione del debito simbolico”.
Recalcati parla di perdita dell'eredità di destra e di sinistra in questi casi e della trasmissione da parte del padre che sappia trasmettere desideri e passioni al figlio:
Il complesso di Telemaco mostra che la domanda delle nuove generazioni non è più quella di trasgredire la Legge, ma è che vi sia ancora rispetto nella Legge della parola. È che vi sia ancora un adulto capace di testimoniare sull'alleanza tra Legge e desiderio.[..]Ma cos’è una testimonianza che rende possibile il dono del desiderio? La voglio sintetizzare in tre parole: atto, fede, promessa. C’è testimonianza ovunque vi sia incontro con una incarnazione della Legge del desiderio. [.. ]quello che accade a Totò, il piccolo protagonista di Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore  
Cos’è fede? È il dono più profondo della genitorialità. È credere senza riserve e senza interesse nel desiderio dei propri figli. Cos’è promessa? Promessa è che esista un’altra soddisfazione rispetto a quella del godimento mortale. Promessa è che quest’altra soddisfazione sia più grande, più ricca, bisogna morire al godimento mortale, bisogna morire nel godimento senza speranza della pulsione di morte”.
Qualcosa torna sempre dal mare, dice Telemaco: Recalcati porta la sua testimonianza, figlio di un padre assente perché troppo occupato col lavoro ma con la passione delle piante, di cui sapeva riconoscere la malattie, per curarle:
E cosa sono diventato io? Non sono forse uno che legge il dolore delle foglie? Che legge gli uomini come se fossero foglie? Non sono forse diventato questo? Uno che prova a leggere e a curare il dolore scritto sulle foglie dell’humus umano?”. “Ereditare è questo: scoprire di essere diventato quello che ero già sempre stato, fare proprio – riconquistare – quello che era già proprio da sempre. Aveva ragione Telemaco: qualcosa torna sempre dal mare”.
La scheda del libro sul sito di Feltrinelli.
Il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

25 ottobre 2013

A gentile richiesta

Le lettere di raccomandazione del senatore  Fazzone, nel 2003, al direttore dell'Asl di Latina: a gentile richiesta, tirate fuori da Il fatto quotidiano




Uno così può stare in commissione antimafia?

Servizio pubblico - sovversivo a chi?

La geniale proposta di Brunetta, Occupy Santoro per trasformare i talk show in lunghi elenchi di rettifiche per i potenti di turno, ha occupato la copertina della puntata di ieri di Servizio pubblico.

Dedicata poi ai movimenti antagonisti, quelli di cui i telegiornali si occupano solo quando i cortei sfociano in guerriglia, quando arriva qualche pacco bomba.

La ricetta di Brunetta, da vero antiliberale, nasce dall'intervista a Servizio pubblico di Michelle Bonev, invitata in studio dopo le sue rivelazioni che hanno fatto quasi il giro del mondo. Occupiamo anche il Telegraph?
La Bonev non andava ascoltata, nemmeno quando parlava dei finanziamenti e degli aiuti presi a suo tempo dalla Rai, per grazia di Berlusconi e dei suoi ministri. Come la Carfagna.
Anche De gregorio non andava ascoltato e si è visto come è andata a finire: Berlusconi è stato rinviato a giudizio per la compravendita dei senatori.

L'aggressione a Bertazzoni da parte di Casa pound: cosa volevano fare quelli di casa pound, quando hanno sfilato, con tanto di mazze e bottiglie, davanti al corteo dei notav?
Una provocazione? Alla fine ci ha rimesso solo Bertazzoni, invitato gentilmente a sgomberare (sia dai caschi neri, che dalle forze dell'ordine).

I sovversivi in Val di Susa
Chi sono i No Tav? Cosa vogliono fare? E' stato importante mostrare i loro volti, farli parlare, metterli di fronte a persone con altre idee.
Si scopre così che in Val di Susa c'è un mondo che quell'opera, decisa dai rappresentanti dello Stato senza coinvolgerli, non la vogliono. Per bloccarla sono disposti anche a fare azione di sabotaggio contro le cose.

Gente anziana e ragazzi giovani: anche le nonne sono No Tav, come raccontavano a Ruotolo due ragazze indagate dalla procura di Torino.

Sabato in piazza c'erano anche loro, assieme al movimento per la casa: gente senza casa, senza territorio, senza scuole, senza sanità che non si riconosce nei partiti (e che dall'altra parte i partiti stessi si vergognano di loro).
In studio erano presenti Lele Rizzo e Davide Richetto, oltre ai deputati Carbone (PD) e Meloni (Fratelli d'Italia).

La piazza è stata una aggregazione sociale di un popolo che dice basta all'austerità e che indica anche i colpevoli di questa crisi: i ministeri, i partiti istituzionali (di governo, credo intendessero).
La mancanza di leadership non li spaventa, perché sanno cosa vogliono e sono organizzati.
Persone che, per senso di responsabilità, si sono messe in moto per cambiare le cose: non si sono fermati alla sola critica, all'indignazione fine a se stessa.

http://www.serviziopubblico.it/puntate/2013/10/24/news/una_piazza_antagonista.html?cat_id=10

Tutta questa partecipazione non spaventa l'ex ministro Meloni che però ha ricordato che questa classe politica, che loro (questi movimenti) criticano, è la rappresentazione del paese e dunque non si deve generalizzare.
Dire che tutto fa schifo è un alibi per fare schifo un pò noi.

Gli imprenditori in Val di Susa: gli atti di sabotaggio contro le cose sono macchinari dati alle fiamme, danneggiati. Sono le minacce agli autisti dei mezzi.
Sono danni materiali a imprenditori che, intervistati da Ruotolo, hanno tutti detto la stessa cosa. Hanno vinto i no tav e lo Stato ha perso.
E se dopo le cose, gli atti di sabotaggio arrivassero alle persone? Per questo la procura di Torino ha ravvisato il pericolo terrorismo, in Val di Susa.

Ma c'è anche un altro aspetto di cui parlare: questi imprenditori non sono immacolati. Uno di questi ha patteggiato due condanne per reati contro la pubblica amministrazione. Una delle sue aziende era fallita, ma ha vinto l'appalto per il TAV (prestando i dipendenti all'azienda che ha vinto l'appalto).
C'è il rischio concreto che in Val di Susa sia arrivata la ndrangheta e che i miliardi che lo stato ha messo da parte per questa opera finiscano nelle tasche delle ndrine.
Come successo per l'alta velocità o la Sa Rc.

Il costo delle grandi opere: l'intervento di Dragoni ha messo in luce un altro aspetto critico di questo paese, da sempre alle prese col problema delle infrastrutture.



In Italia le opere non si fanno non perché ci sono i No Tav, per l'effetto nimby. Ma perché spesso i costi lievitano troppo, perché impiegano decenni per completarsi (se si completano). Dietro le grandi opere spesso si celano disastri ambientali, corruzione, mafie.

Il ponte sullo stretto costerà come penali (decise da funzionari di questo stato) almeno 500 ml.
La Salerno RC costerà alla fine più di 10 miliardi. La Nasa per mandare Curiosity su Marte ha speso solo 2,4 miilardi.
L'alta velocità costerà 15 miliardi di euro, o forse 32 miliardi, per un costo al km di 32 milioni di euro.

Forse qualche ragione a criticare le grandi opere c'è: non sono sempre il futuro del paese, come diceva ieri sera la Meloni. Cosa lesceremo ai nostri figli? Un tunnel nel cui far passare merci, quando oggi le aziende chiudono?
Quei soldi potrebbero essere impiegati per mettere in sicurezza il territorio, investiti in cultura e istruzione (per preparare meglio i nostri figli).



Questo ha risposto Lele Rizzo ai due politici in studio, facendo una figura di molto superiore a loro.
Usando argomenti non da politichese, usando parole di speranza.
Perché se abbiamo questo debito pubblico, non è colpa dei No Tav: forse è più colpa dei governi Berlusconi di cui l'ex ministro era parte. Forse è più colpa dell'operazione Alitalia del 2008 quando la compagnia di bandiera è stata privatizzata ai capitani coraggiosi.

Ma ai politici queste parole non piacciono: non piace sentirsi dare delle colpe. Chiedere di cambiare mentalità è un'impresa difficile.

L'intervento di Travaglio: la legge la deve rispettare solo chi la subisce.
Dal gesto di Maradona, al nero di Verdini.
Dalla testimonianza di Lea Garofalo (che per questo è morta) alla mancata testimonianza del presidente della repubblica.
Quello che ieri ha convocato la sua maggioranza per discutere della legge elettorale.



Ma tanto si fa sempre in tempo a dare la colpa a Grillo (che ha chiesto l'impeachment per il presidente) e degli antagonisti.


Il futuro di questo paese non è legato solo al completamento delle grandi opere. O ai 14 euro in più al mese nelle tasche di chi lavora. 
Speriamo solo che questi due mondi, quello della politica e quello dei movimenti antagonisti, riprendano a parlarsi. Per decidere che opere fare e come. Per decidere sul piano case. Per evitare che la gente sia costretta ad occupare palazzi lasciato vuoti.

24 ottobre 2013

Occup(y)ati del paese (delle meraviglie)



Il governo americano che ci spia.
A Bologna si facevano rimborsare anche le puntate al wc.
La commissione antimafia che non riesce a partire per colpa della lottizzazione dei partiti.
Il relatore che discuterà della legge di stabilità (nonché capo della comm. bilancio) è indagato per truffa.

Ecco, ci mancava solo questa. Sentire il capogruppo di un partito che da lezioni sulla televisione pubblica (e privata), concorrente proprio delle televisioni del presidente del suo partito.
Chiedere obbligo di rettifica, spazio nei talk show "così abbassano la cresta".

E allora noi spettatori cosa dovremmo fare? Ogni volta che va in tv qualcuno e le spara grosse, dovremmo chiedere obbligo di rettifica.
Così anche loro abbassano la cresta.

Finché ci sarà questa situazione da conflitto di interessi, non si potrà ascoltare queste uscite su regolamenti televisivi senza pensare a chi giovano.
Magari se si occupasse più del paese e meno della Rai (che è in rosso non solo per lo stipendio di Santoro o Fazio) staremmo meglio.

PS: sempre in tema informazione. Belpietro titola "Silvio a processo i teppisti in libertà".
I teppisti sarebbero le persone arrestate a Roma durante la manifestazione di sabato scorso.
Scarcerate perché il GIP ha ritenuto, dai video, che non avessero partecipato agli scontri.
A proposito di garantismo e libertà ..

Sempre a proposito di panzane

A quanto stanno le panzane oggi? C'è ne sono due belle grosse grosse..

Ieri alla Camera è stato approvato con oltre i due terzi di si, la modifica all'art 138 della Costituzione, che permette da una parte lo smantellamento della carta senza il rispetto delle procedure e dall'altra toglie l'obbligo del referendum per confermarla.
Cosa avevavano detto Scalfari e soci sui loro giornali?
Che non c'è golpe, non c'è alcun pericolo, perché tanto alla fine sarà il popolo ad esprimersi ..

Ieri, mentre si discuteva di questo e del voto palese o meno per la decadenza di Berlusconi al senato, i falchi del PDL hanno voluto lanciare un segnale al governo e a Napolitano: il voto sulla riforma della Costituzione è passato infatto grazie ai voti dei diversamente oppositori della Lega (quelli che volevano far cadere il governo) e alla quasi maggioranza del PD (solo in sette non hanno votato i votato no). I 101 coraggiosi del PD hanno votati a favore della riforma, assieme al partito di Berlusconi.

Un segnale a Quagliariello e anche al presidente, sulla tenuta delle larghe intese.
Sempre perché parlare di accordi segreti tra B. Letta e il colle sono panzane.

23 ottobre 2013

Le vendicatrici - Sara, di Massimo Carlotto e Marco Videtta

Incipit

«Perfetto», si disse Giorgio Manfellotti contemplando soddisfatto la tavola apparecchiata per due, con la tovaglia
di lino comprata in Lituania e il runner verde perfettamente coordinato, posate thai in ottone disegnate a forma di bambú, candele intonate, il divano in pelle ricoperto di cuscini etnici. Azionò il telecomando dell’impianto stereo e la voce di Robert Plant che cantava Our Song , versione inglese di La musica è finita, irruppe rimbalzando sulle pareti insonorizzate. Regolò il volume sulla tacca che, come aveva già sperimentato in precedenza, corrispondeva alla soglia fra il sottofondo inutile e l’ascolto forzato. Consultò il cronometro da polso: dieci minuti alle nove.
Era proprio curioso di scoprire fin dove avrebbe potuto spingersi con Sara. Il suo amico Pigi gliel’aveva tanto raccomandata che alla fine l’aveva convinto ad assumerla come segretaria. E non se n’era affatto pentito. I requisiti erano ideali: timida, impacciata, maldestra, con due occhioni che lo fissavano adoranti come a supplicarlo di fare di lei quello che voleva. Non c’era stato nemmeno bisogno di ricorrere alla solita, noiosa cena preliminare al ristorante. Lui avrebbe preferito prendere «possesso» anche della sua casa, ma purtroppo Sara non viveva da sola e aveva dovuto invitarla nella sua garçonnière, un villino con ingresso indipendente sull’Appia Pignatelli.

La vendetta è un piatto che va servito freddo ...
Terzo libro dei quattro, della serie scritta a quattro mani da Massimo Carlotto e Marco Videtta, questo è dedicato a Sara che, della vendetta, ne è proprio la quintessenza.
Questo racconto parte dal piedatterre del figlio viziato di un noto palazzinaro romano, che subirà la prima tremenda e umiliante vendetta da parte della donna: finalmente scopriremo da dove origina la sua rabbia e quali sono i suoi reali obiettivi.
L'abbiamo vista aiutare Ksenia ad uscire fuori dalla vendetta della famiglia dello strozzino Antonino Barone.
Poi aiutare Eva nella sua vendetta contro il clan Mascherano che le aveva ucciso il marito (ed aiutare la giovane nipote ad uscire dalle grinfie di questa famiglia criminale).

Ora tocca proprio a lei: scoprire chi ha rapito e ucciso il proprio padre tanti anni prima, quando lei era ancora una bambina con le treccine.
Il vuoto che le ha lasciato il padre non è stato più colmato: né il tempo, né la famiglia sono riusciti a smuoverla dal desiderio di dare dei nomi a quei volti anonimi che una mattina del 1995 hanno prelevato suo padre dalla macchina.

Sara ha smesso di vivere, di amare e di costruirsi una vita come le sue coetanee, per una cosa sola: la vendetta.

"Raggiunse il cancello arrugginito della villa e vi si aggrappò con le mani, come un detenuto che contempli oltre le sbarre l'impossibilità della propria fuga. Prigioniera. Era così che si sentiva in quel momento. Prigioniera del proprio passato".
Sfruttando la sua esperienza dentro i Nocs (da cui poi è uscita), le sue amicizie (come quella dell'ex collega Rocco), la sua capacità di inventarsi e calarsi dentro vite diverse, per recitare i ruoli (della cameriera burina, della segretaria timida ..), Sara riuscirà non senza fatica a ricostruire tutte le pedine del rapimento.

Ma scoprirà come la vendetta non è un gioco senza conseguenze: non si può andare a caccia di banditi, criminali, rimanendo ai margini della legge e senza sporcarsi le mani.
Alla fine, il viaggio verso la verità sarà costellato di morti, tanto che inizierà a sorgere in lei un senso di rimorso. Tanto da chiedersi se tutti questi sacrifici, l'assenza di una vita normale, di una persona cui volere bene accanto, ne saranno valsi la pena .. Perché la verità, ha il suo prezzo.

Scivola via leggero, il terzo capilo della saga de Le vendicatrici: dei tre, quello con dentro più azione e adrenalina. Ma forse, anche quello meno riuscito.

Il primo capitolo in pdf
La scheda del libro sul sito di Einaudi
Il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Non è razzismo


Un immigrato investe con la macchina un'italiana che muore: il giudice lo scarcera e il corriere titola "Il giudice scarcera il pirata «Beatrice uccisa due volte»".

Un italiano investe e uccide in macchina una immigrata e invece sul corriere si parla del dolore dell'investitore ("lo strazio senza fine ..") e umanamente, non posso che essere d'accordo.

Ma non è questo il punto. E' la doppia visione dei fatti.
Non è razzismo, siamo noi che siamo italiani.

Panzane

Capita di credere a delle panzane, specie se queste vengono raccontate al popolo dalle alte cariche istituzionali.
Come quella del presidente che non si sarebbe mai ricandidato. E invece...
E invece poi si è ripresentato, con un discorso vibrante alle camere plaudenti, dove ricordava l'obbligo e l'urgenza di una nuova legge elettorale.
E vogliamo ricordare allora la moral suasion fatta nei confronti della Consulta, per bloccare il referendum contro il porcellum?

Ricordiamo anche il presidente che, dovendo difendere le istituzioni e la costituzione (quella che oggi si riforma senza rispettare le procedure) ha firmato leggi palesemente anti costituzionali (il lodo Alfano).

Altro episodio da rimembrare, il presidente che rispose stizzito ad un cittadino che gli chiedeva di non firmare lo scudo fiscale di Tremonti. "Se non firmo me la ripresentano ..".

La trattativa stato mafia: in una delle ennesime celebrazioni delle vittime della mafia, piene di retorica, il presidente si augurava che fosse fatta piena luce sulle stragi del 1992-93.
Per poi far bruciare i nastri delle telefonate Mancino-Quirinale, nascondere nell'oblio le parole del consigliere D'Ambrosio sugli "incidibili segreti". Cosa è successo nelle segrete stanze del potere in quei mesi di fine prima repubblica?

E, infine, che accordi segreti ci saranno stati nelle settimane dopo le elezioni di questo febbraio tra Berlusconi e il colle?
Era una panzana anche la grazia al condannato per frode? Che significato dare alle parole "senza toccare la legittimità della sentenza, possono motivare un eventuale atto di clemenza".

E una panzana anche legare assieme il voto del senato sulla decadenza e l'amnistia e la riforma della giustizia?

22 ottobre 2013

Tie!


Succede anche questo in Italia: ci sono quelli che in un gesto riassumono tutto il rispetto per le nostre istituzioni e altri che invece, per farsi ascoltare dalle istituzioni di cui sopra (per avere una casa!!), devono accamparsi come rifugiati.

Spiace per Maradona, e spiace anche vedere quanti, specie nel centrodestra, stiamo strumentalizzando il gesto (per attaccarlo o per difenderlo  assiele al cavaliere) . Come se quel gesto dell'ombrello (tie!) non suonasse per noi italiani come un deja vu.
Le pensioni minime.
L'articolo 18 e i diritti dei lavoratori.
Il diritto alla salute, alle cure, allo studio.
La tutela dell'ambiente ...

La banalità del nero

Si, mi sono fatto pagare in nero, e allora?
Questo dice il coordinatore Verdini al giornalista di Report nell'inchiesta che andrà in onda questa sera su Rai3 ("Bianco, rosso e Verdini"): «Ma è una cosa normalissima, si fa così nella vita» , dice Verdini. Coordinatore del secondo partito di governo, nonchè selezionatore della futura classe dirigente di Forza Italia.

Ecco, e ora provate a parlare di lotta all'evasione.
La scheda della puntata:

Chi è l’uomo che fa da cicerone a Berlusconi durante l’inaugurazione della nuova sede di Forza Italia? Che conforta l’ex premier dopo che in lacrime ha votato la fiducia al governo Letta?

Si tratta del senatore Denis Verdini. La percentuale delle sue presenze in parlamento rasenta lo zero. In compenso lavora duramente per il partito. Ma cosa fa veramente?

Fino alle indagini sui grandi appalti, che hanno fatto emergere gli affari della cricca, il suo volto lo conoscevano in pochi. Nonostante stia facendo i conti con vari procedimenti penali, dalla bancarotta del Credito cooperativo fiorentino, all’accusa di truffa all’editoria, dalla p3 alla p4, al finanziamento illecito ai partiti, oggi Denis Verdini appare sempre in prima fila nelle riunioni segrete di Arcore che l’ex premier tiene con un numero ristrettissimo di persone fidate. È considerato, tra i falchi, quello che riesce di più a influenzare i pensieri dell’ex premier. In molti tra le colombe di Forza Italia vorrebbero arginare il suo potere. Ma oggi è a Verdini che Berlusconi ha affidato le chiavi della rinascente Forza Italia. Se il progetto continuerà sarà proprio lui a scegliere la nuova classe politica del partito, coloro che si candideranno e siederanno sugli scranni del parlamento.

Con quale logica lo farà? Report, con un’inchiesta di Sigfrido Ranucci ha fatto la radiografia attraverso testimonianze e documenti inediti dell’ascesa di uno dei politici più influenti del momento. Dalla sua attività di commercialista a Campi Bisenzio, alla presidenza del Credito cooperativo fiorentino, dalla sua discesa in politica fino ad arrivare alla corte di Berlusconi.


L'anticipazione su reportime


«Sì, ho preso soldi in nero». Davanti alle telecamere di Report il senatore Denis Verdini ammette di aver intascato, senza dichiararli al fisco, 800 mila euro ricevuti da un costruttore siciliano emigrato a Campi Bisenzio, Ignazio Arnone. «Ma è una cosa normalissima, si fa così nella vita», prova a giustificarsi il coordinatore del Pdl, che da presidente del Credito Cooperativo Fiorentino aveva Arnone tra i suoi clienti.

Il denaro incassato dal senatore fiorentino è il frutto di una operazione immobiliare che risale al 1989, quando l’impresa edile del piccolo costruttore rileva da Verdini alcuni lotti a Signa, nei pressi di Firenze, per costruirci residenze familiari. Una parte della cifra pattuita viene versata regolarmente, l’altra in nero. «Una storia vecchia», è la precisazione che fa Verdini. Ma analizzando i bilanci degli ultimi anni si scopre che fino al 2011 Ignazio Arnone ha prelevato circa 2 milioni di euro dal conto aziendale aperto presso il Credito Cooperativo. Soldi messi a bilancio come «finanziamento soci», ma di cui si perde traccia, una volta usciti dalla banca. Ed è in conseguenza di questi prelievi che sarebbero poi fallite le imprese del costruttore siciliano.

Che nelle movimentazioni bancarie di Arnone ci sia qualcosa che non torna lo conferma anche la curatrice fallimentare delle sue aziende, Silvia Cecconi, la quale attribuisce a Ettore Verdini, fratello di Denis, un ruolo centrale nel crac delle società del costruttore siciliano. Secondo l’accusa, depositata presso il Tribunale Civile di Firenze, il fratello del senatore, fino a un anno fa commercialista di Arnone, sarebbe stato «l’amministratore reale» delle aziende dell’imprenditore. Ed è a Ettore Verdini che Arnone vende le quote della società proprietaria dei terreni di Signa, quando comincia a essere in sofferenza con il Credito Cooperativo Fiorentino. Per il ruolo che ha avuto nella vicenda Arnone, la curatrice ha dunque avanzato una richiesta di risarcimento nei confronti del fratello del senatore pari a circa 4 milioni e mezzo di euro.

Analizzando invece le movimentazioni bancarie dei conti correnti di Denis Verdini spuntano fuori alcune curiosità. Tra i bonifici, ce n’è ad esempio uno all’estero, indirizzato a un atelier svizzero specializzato in alto antiquariato. Seguendo la traccia dei soldi, siamo così arrivati a Crans Montana, località del turismo di lusso del Cantone Vallese svizzero, dove abbiamo trovato uno chalet, intestato ancora oggi alla moglie del coordinatore del Pdl, Simonetta Fossombroni.

Ma la disponibilità finanziaria di Verdini non viene messa a rischio nemmeno dalle inchieste della magistratura che tra il 2010 e il 2011 hanno portato al sequestro di tutti i suoi conti e delle proprietà immobiliari. Nonostante i beni congelati, Denis Verdini riesce, infatti, a ottenere da Veneto Banca un prestito da 7 milioni e mezzo di euro, necessari per rientrare dai debiti che aveva contratto con il Credito Cooperativo Fiorentino per le sue società editoriali e le sue imprese immobiliari.

Ma può una banca dare così tanti soldi a una persona che ha tutti i beni sequestrati? È difficile non farlo se la garanzia si chiama Silvio Berlusconi. In calce al bonifico milionario di Banca Veneto c’è proprio la firma del Cavaliere quale cessionario

Report - bianco rosso e verdini

Il sistema Verdini a Report: un sistema dove non si capisce (e non lo capisce nemmeno l'interessato) dove termina il bachiere e dove inizia il politico. Non un politico qualunque, ma il coordinatore di un partito che sta nella maggioranza, che non mette mai piede in parlamento perché "ci sono tanti modi di far politica".

Il banchiere che concede prestiti ad un gruppo ristretto di imprenditori, anche senza garanzie, anche senza fare troppi controlli (lo dice la Banca d'Italia). Un banchiere che si butta in qualunque tipo di affari, ma in particolar modo nell'editoria (per prendere i contributi statali, magari gonfiando le vendite) e nell'immobiliare (come a Lucca).

E in questi affari si presenta nella doppia veste di banchiere e politico: perché in questi incontri dove si discute di ristrutturazioni, edilizia, si siede a fianco di sindaci e amministratori scelti dal suo partito, con imprenditori finanziati dalla sua banca.

Qualche problema? Nessuno, nemmeno per i soldi in neri che ha preso da un contadino siciliano (Arnone): sono 800000 euro, ma sono cose che "per fortuna" sono capitate tanti anni fa.
Nessun problema nemmeno per i procedimenti giudiziari in corso, la P3, il fallimento della sua banca (il Credito cooperativo fiorentino), le accuse di finanziamento illecito ad un politico.
Tutte balle, pippe dei magistrati.

Un animale da palcoscenico, come racconta l'esibizione assieme a Fiorello per i 100 anni della banca, ma anche un politico con pochi problemi di coscienza.
L'inchiesta di Sigfrido Ranucci ha raccontato un sistema dove alla fine, tirando le fila del discorso, si incontravano i soliti personaggi.
Il fido a garanzia di Berlusconi per la sua banca, i soldi a Carboni (per finanziare il giornale di Verdini, ma forse per l'affare dell'eolico in Sardegna), un finanziamento a Dell'Utri per un resort sul lago di Como.
Le pressioni sulla Corte costituzionale sul lodo Alfano, sulla Cassazione per le nomine dei magistrati.

Sappiamo, sempre dall'inchiesta, del patto del Pantheon con il governatore Martini per partorire la legge elettorale attuale, il Porcellum.
Il delitto perfetto della democrazia, quello grazie a cui Verdini (e non solo) ha potuto selezionare i suoi candidati da mandare in Parlamento.

Ma sappiamo anche un'altra cosa: il buco del credito l'hanno risanato i risparmiatori delle altre BCC, per 150 milioni.

L'articolo di Carlo Tecce sul Fatto quotidiano (ripreso qui):

LA CARRIERA DELL’EX MACELLAIO: DAI FINANZIAMENTI DELLA BCC FIORENTINA A CARBONI E DELL’UTRI.

L’inchiesta Bianco, rosso e Verdini di Sigfrido Ranucci, trasmessa ieri sera da Report, ci consegna un copione per una serie televisiva, anche a puntate, più documentario che finzione. Il protagonista è un ragioniere, settore macelleria, di Campi di Bisenzio, paesone in provincia di Firenze: “Quelli che sono bravi a scegliere le parti migliori di una bestia”. Un signore con la scorza dura e le maniere dure che, in vent’anni o poco più, è diventato un uomo d’affari, un banchiere ricercato, un editore multiplo, un politico influente, coordinatore Pdl e selezionatore di candidati.

E IN VENT’ANNI o poco più ci sono milioni di euro che girano, passano di mano e in mano e tornano al mittente; 800.000 euro in nero da un costruttore siciliano emigrato (e lui ammette), Ignazio Arnone; 800.000 euro di un faccendiere Flavio Carboni per il giornale (in realtà, l’eolico in Sardegna), che taglia di sbieco la storia d’Italia; le solite garanzie finanziarie di Silvio Berlusconi (7,5 milioni), una fideiussione; il soccorso di Angelucci (10 milioni). E ancora: lo scoperto infinito sui conti di Marcello Dell’Utri, centinaia di milioni di euro distribuiti tra i soliti imprenditori di area, e soprattutto a Riccardo Fusi per le sue operazioni immobiliari nei comuni toscani. Il teorema Denis Verdini è semplice: da banchiere seleziona gli imprenditori da finanziarie e li porta agli amministratori che da politico ha fatto eleggere. E poi se c’è un affare ci si infila. Il Giornale della Toscana e il Credito Cooperativo Fiorentino sono falliti, ci sono dei processi in corso. E non stupisce che, soltanto 4 anni fa, per i 100 anni di una banca creata per offrire liquidità ai toscani, ci fosse l’ignaro Fiorello a spegnere le candeline con Verdini, allora insospettabile, allora come oggi, un potente. A cantare, a scherzare, a subire una battuta che rende benissimo il personaggio Denis: “Grazie a Fiorello. Vedrà quando l’assegno è scoperto! Ride meno! Noi a volte lo facciamo, agli amici, solo agli amici”. La genesi di Denis, racconta Ranucci: “L’ascesa politica di Verdini comincia nel ‘90, quando da semplice commercialista, diventa presidente del Credito cooperativo fiorentino, una banca nata a Campi Bisenzio nel 1909, come cassa rurale. Verdini in poco tempo apre filiali, anche a Firenze, che vengono inaugurate dall’allora presidente del Senato, Giovanni Spadolini”.

LE ACCUSE DI BANCA d’Italia: 100 milioni di euro di finanziamenti senza adeguate istruttorie. Risposta: “Una cazzata”. Tra i sindaci che dovevano controllare c’erano i legali e il commercialista di Verdini. La fonte di Ranucci rivela la natura dei legami tra Verdini e Giuliano Ferrara e tra Verdini e Marcello Dell’Utri. L’ex senatore Pdl, l’amico Marcello del Cavaliere, voleva fare un centro benessere: “Una legittima aspirazione che s’infrange, però, contro l’ennesimo procedimento penale. Dell’Utri è rimasto coinvolto nel crac della banca di Verdini. Il coordinatore Pdl gli ha concesso un fido di oltre 3 milioni di euro, nonostante fosse esposto con il sistema bancario per oltre 7 milioni. Ma perché Verdini invece di far credito agli imprenditori toscani, aiuta l’ex senatore che ha interessi a Milano?”. Aveva aiutato anche Ferrara per la candidatura al Mugello nel 1996 e aveva adottato il Foglio. Il Credito Cooperativo Fiorentino raccoglieva 418 milioni di euro e ne erogava 410. Ma non per sollevare l’economia locale: no, i soldi erano divisi tra 50 (e fortunati) nomi. Per avere credibilità e nobiltà, Verdini ha coinvolto nell’impresa editoriale il principe Strozzi. L’incontro tra Ranucci e la principessa Irina è meraviglioso, una via di mezzo tra Fantozzi e Woody Allen. A Irina Strozzi quel Denis non piaceva, non voleva che il padre e le loro diagonali generazionali con Guicciardini e la Gioconda si confondessero con l’ex macellaio. La carta, finché non l’hanno inquisito, era l’eldorado di Verdini: “Il banchiere Verdini ha finanziato il Verdini editore per circa 12 milioni di euro. Per accedere al massimo dei contributi statali, avrebbero gonfiato fatture e tiratura così per 10 anni avrebbero ingannato la presidenza del Consiglio, raccogliendo circa 22 milioni di euro”.

VERDINI FORGIA gli uomini per la Toscana, il collaboratore Massimo Parisi è stato spedito a Montecitorio e pare che il porcellum, esportazione toscana, fosse un patto tra la sinistra e la destra che condizionava pure le nomine al Monte dei Paschi. Anche la parte di Ettore Verdini, il fratello, è sublime: gestisce un patrimonio immobiliare per circa 30 milioni di euro, a Prato, ne affitta uno a Equitalia per 220.000 euro l’anno. Verdini ha esteso i suoi interessi, tre appartamenti a Crans Montana. I prelievi e i bonifici sono frequenti, dà segnalare 166.000 euro per le perdite del Foglio. Ma chi paga la morte del Credito Cooperativo? Parla Augusto Dell’Erba, presidente del fondo di garanzia Bcc: “Noi ci siamo accollati 15 milioni di sbilancio patrimoniale, 78 milioni di partite anomale (…) abbiamo anticipato 25 milioni di imposte differite che sono crediti fiscali (…) e poi abbiamo dato garanzie alla banca cessionaria per un pezzo di certi crediti di incerta definizione per 32 milioni”. Verdini è ancora lì, a palazzo Grazioli, a fare e rifare i conti. E spesso, come nel giorno della sfiducia a Enrico Letta, gli riescono male.

Da Il Fatto Quotidiano del 22/10/2013