31 marzo 2013

I soliti noti

Altro che personalità eccellenti: per risolvere i problemi del paese e formulare proposte da dare al presidente, Napolitano ha scelto persone comunque riconducibili ai partiti.
Onida, Mauro, Quagliarello, Violante, Giovannini, Pitruzzella, Rossi, Giorgetti, Bubbico, Moavero Milanesi.

Di Violante (uomo delle larghe intese), Quagliarello (che ha difeso Dell'Utri , uomo di cultura), Mauro (uomo di Cl), Giorgetti (quello del fallimento
Credieuronord), Pitruzzella (vicino a Schifani), Bubbico (quelle dell'inchiesta Toghe Lucane di De Magistris ). E uomini del vecchio governo Monti , quello che non vedeva l'ora di andarsene.

Il sistema dei partiti e del potere che conta.
Ha buon gioco adesso Grillo nel ripetere che questo sistema non si può riformare dall'interno, se non mantando tutti a casa.
Napolitano voleva prendere tempo: ma quanto ne abbiamo di tempo?
Che genere di riforme possono tirare fuori, questi saggi?

A proposito: spero che nessuno pensi che con questo personaggio al comando si dia un segnale di cambiamento. Prenderemo anche voti a destra (in cambio di cosa?), ma ne perderemo tantissimi a sinistra.


Il caso Caffaro e l'emergenza ambientale

Pensavo che, dopo il caso Ilva, l'azienda che ha avvelenato un'intera città, di averle viste tutte.
E invece no: nell'Italia delle emergenze, sociali, economiche, ambientali, c'è sempre spazio per stupirsi. Uno dei più grossi siti inquinati si trova proprio qui al nord, vicino alla città di Brescia.
Sono i terreni su cui sorgeva la Caffaro, azienda oggi chiusa per fallimento, che per anni però ha gettato PCB nelle acque della città.
Ci sono 25000 persone a rischio, perché esposte al PCB, e non si può certo dire (come del resto non lo si poteva dire per Taranto) che nessuno sappia di questa bomba ecologica: in dieci anno, su quest'area, non è stato fatto nulla. E la bonifica Caffaro, come delle altre migliaia di Ilva in Italia, non si trova mai spazio nelle agende che la politica propone al paese.

Della Caffaro e della sua mancata bonifica
ci parlerà stasera Presa diretta nella sua puntata finale.

Il titolo è quanto mai di auspicio: “puliamo l'Italia” . La pulizia e la messa in sicurezza del territorio in cui vivono, ed è bene ricordarlo, migliaia di persone, non solo sono una questione di giustizia, ma potrebbero anche fare da volano per le imprese del settore.
Nella Ruhr, la bonifica della zona industriale ha trasformato quella che una volta era una distesa di industrie, miniere, acciaio, in un parco minerario che ogni anno attira più turisti che a Pompei.
Anche questo, l'incultura ambientale, è uno spread che separa l'Italia dalle altre democrazie europee.
Chi rompe paga, e i cocci sono suoi recita un vecchio proverbio: in Italia si potrebbe dire, molto amaramente (ma è la realtà), che chi inquina non paga mai. E le persone malate o morte (per la diossina, per l'amianto, per il PCB) diventano sono dei numeri dentro le statistiche delle Asl o dei ministeri. Effetto collaterale di un sistema industriale incapace di conciliare profitto e salvaguardia della salute e del territorio.

Il sinossi della puntata:

PRESADIRETTA nell’ultima puntata accende le telecamere sul caso Brescia, l’inquinamento più grave di Italia, forse d’Europa, perché riguarda un pezzo intero di città, 4 milioni quadrati di territorio nella zona sud di Brescia dove vivono 25mila persone.

Si tratta del Sito di Interesse Nazionale Caffaro, dal nome della fabbrica che per 50 anni ha buttato nelle acque della città 150 tonnellate di PCB, Policlorobifenile, allo stato puro, una sostanza la cui tossicità per il terreno e per l’uomo si misura in microgrammi. Eppure in dieci anni non si è fatto nulla e le 25mila persone, donne,uomini e bambini vivono ancora a stretto contatto con il PCB. Ma quanto è pericolosa l’esposizione al PCB per la salute dell’uomo?

PRESADIRETTA è andata fino a Boston, all’università di Harvard, per intervistare PHILIPPE GRANDJEAN, professore e scienziato di fama internazionale, che studia da più di venti anni l’effetto sulla salute umana dell’esposizione a PCB e a Diossina. Lo scienziato ha scoperto di recente che oltre a provocare diversi tipi di cancro, l’esposizione prolungata al PCB “scassa” letteralmente il sistema immunitario e l’apparato endocrino, con conseguenze molto gravi soprattutto per i bambini. Come dimostra la terribile storia di Anniston, una piccola città dell’Alabama, fortemente inquinata da una fabbrica della MONSANTO, che proprio come la CAFFARO, ha prodotto per cinquanta anni centinaia di migliaia di tonnellate di PCB.

PRESADIRETTA è andata a vedere da vicino e ha scoperto una intera comunità malata. L’unica grande differenza è che la MONSANTO è stata portata in tribunale, ha dovuto pagare 700 milioni di dollari ai cittadini che aveva inquinato e adesso si sta facendo carico di tutte le spese della bonifica. Da noi invece non è successo nulla, la Procura della Repubblica non ha portato a processo i dirigenti della Caffaro, la Caffaro nel frattempo è fallita e non esiste più e gli enormi costi della bonifica rimangono sulle nostre spalle. Dove troviamo adesso i miliardi di euro che servono per ripulire la città di Brescia?
In questa speciale puntata PRESADIRETTA vi porta in SUD SUDAN, un paese martoriato dalla guerra e che adesso ha bisogno di tutto. Ma ci sono donatori italiani che grazie ad AMREF, un’associazione non governativa, sono riusciti a mettere su un piccolo grande miracolo, una scuola per infermieri ed ostetrici che sta salvando la vita a centinaia di persone.
PULIAMO L’ITALIA è un racconto di Riccardo Iacona, Rebecca Samonà e Angelo Loy.

30 marzo 2013

Quelli che .. siamo rimasti senza Enzino

Con Enzo Jannacci se ne va un pezzo della Milano più ingenua, candida. Quella delle periferie, dei bar e delle osterie. Delle storie raccontate attorno ad un tavolo.

29 marzo 2013

Servizio pubblico - “Ancora qua”


Bersani è stato messo in stand by, forse un modo elegante prima di togliergli definitivamente l'incarico di esploratore. E, al momento, non esistono molte altre possibilità per formare il governo.
Nella copertina, Santoro ha anticipato itemi della puntata.
Vasco Rossi, il cantante di Bersani, canta che l'anima al diavolo non si vende: Grillo poteva donare l'anima per far nascere un governo. Suggerendo più nomi di candidati a Napolitano e il candidato, a sua volta, poteva formulare una lista di nomi. Questa era una cosa che si poteva fare.
Quello che non si può fare è quello che dice: senza governo non si possono fare leggi importanti (come quella sul conflitto di interessi). Non si può fare nemmeno il confronto Grasso - Travaglio: quando una persona ha una carica importante, ha spiegato Santoro, deve concedere un eccesso di critica, e concedere delle spiegazioni, dei chiarimenti per un suo atto, non lede al suo prestigio.

Santoro ha poi ricostruito i retroscena del dopo serata di giovedì scorso, quando cercò di mettersi in contatto con Ruffini per fare una puntata speciale con Grasso, nel fine settimana.
Ma, dopo l'sms con cui Grasso confermava la presenza alla puntata di Formigli, i telefoni si spegnevano.
Dopo tanto insistere, Santoro è riuscito a parlare con una segretaria che, gentilmente, spiegava che il presidente del Senato era impegnato tutto il fine settimana e non sarebbe potuto essere a Roma. Ma poi era presente al funerale di Manganelli.



Ma voi lo immaginate se ci fossimo inseriti nella polemica Saviano - Maroni, a Vieni via con me? - ha commentato il conduttore.
Sia Bersani che Grasso in questo studio non ci vogliono mettere piede perché la considerano zona nemica. È un atteggiamento che è servito a Bersani?
Poteva dialogare con Travaglio, col pubblico, il che sarebbe stato come dialogare con gli elettori del M5S, che invece sono stati demonizzati.
Alla fine Bersani è stato a sua volta dmeonizzato, Renzi va dalla De Filippi.
Grillo – l'esortazione di Santoro – liberaci dai tuoi catechismi: dai l'anima al diavolo!

Il servizio di Bertazzoni

“Ciascuno si prenderà le sue responsabilità” ha detto Bersani mercoledì sera, alla conferenza stampa dopo l'incontro col M5S, cui ha chiesto “ci dicessero loro quale è la soluzione”.

La loro soluzione è un governo loro, coi nomi che dicono loro, alle loro condizioni. E perché gli altri partiti dovrebbero dare loro la fiducia?
Gli altri partiti nel frattempo, mandano avanti i pontieri.
Verdini che prende il caffè con Sposetti. Giorgetti con Fioroni.

Il PDL apre le porte al governissimo, ma niente conflitto di interessi “è il PD che ha interesse al conflitto” spiega Alfano.
D'altronde B. al momento non ha intenzione di governare, tempi difficili: o governo di larghe intese o elezioni.

In studio gli ospiti erano l'onorevole Nunzia De Girolamo, Laura Puppato e in collegamento il prof. Cacciari in una inedita versione grillina.

Secondo Cacciari in questo momento drammatico l'unica strada è quella del governo del presidente, non tecnico ma politico, che dialoghi col paese e che prenda voti da entrambi gli schieramenti.
Ma è una crisi di sistema: i partiti devono prendere atto del loro sfascio, visto che questa crisi verrà risolta dal presidente mentre i partiti vogliono continuare a vivere di rendita.
Quali le risposte radicali per risolvere la crisi? LA soluzione forte è il presidenzialismo.

Laura Puppato non è nemmeno riuscita a parlare, che è subito stata fermata: stava spiegando come l'ingovernabilità di oggi nasca da una legge elettorale che è diversa per Camera e Senato, mentre un governo deve avere la fiducia in entrambe le camere.
Ma Grillo-Cacciari non l'ha fatta finire: i partiti non sono credibili, non avendo fatto questa legge elettorale (e nemmeno il colle, che ha bloccato il referendum).
Serve il presidenzialismo: ma alla gente che non ha lavoro, che ha un contratto da 1000 euro, che è alle prese con una sanità che non funziona, chi glielo spiega?

L'onorevole De Girolamo ha criticato l'atteggiamento irresponsabile di Bersani, che si è ostinato a provare a fare un governo senza aprirsi a loro.
Se i voti del PDL non sono buoni per eleggere il presidente, come possono esserlo per l'elezione del governo?

Sgarbi, nel suo intervento, ha fatto un nome per il Quirinale: Riccardo Muti.
Ho osservato però la faccia di Cacciare quando parlava il critico: tutto il disappunto di chi oggi non vuole sentire altre ragioni se non le sue.
Prima Sgarbi l'ha messo tra i papabili e poi, alla prima interruzione, gli ha dato della capra.

Ma il primo momento clou della serata è stato l'intervento di Travaglio su Grasso: l'italiano furbo, il campione di slalom in toga, quello della medaglia antimafia a Berlusconi.
Quello che usciva dal campo con la maglia pulita dal fango (lo ha raccontato Dell'Utri).



Nell'intervento, Travaglio ha elencato le bugie del presidente del Senato: la mancata firma all'appello al processo Andreotti; la gestione del pentito Giuffrè.
Le leggi anticostituzionali che hanno fatto fuori Caselli dal concorso nel 2005 e le critiche al procuratore di Caselli e ai processi del suo periodo a Palermo “bisogna vedere gli esiti processuali”.
Per finire con la domanda: cosa ha fatto per meritare queste leggi? Poteva ritirarsi dal concorso.

Dopo il secondo intervento di Sgarbi sul “torturatore Travaglio”, la Puppato ha ripreso il suo discorso iniziale: un richiamo alla cultura e alle questioni che interessano il paese.
Perché dovremmo chiederci come mai Berlino fa tre volte i turisti di Roma, e il bacino della Ruhr (di cui ha parlato Presa diretta qualche mese fa), una volta bonificato fa più turisti di Pompei.

In Italia anziché la mobilità per pendolari e turisti, si fanno le grandi opere, tanto per aprire dei cantieri infiniti per opere inutili (il TAV in Val di Susa servirà alle merci).
E le bonifiche sono buone solo sulla carta: a Taranto chi sta controllando che l'Ilva non inquini più? Di certo non questo governo che non vede l'ora di andarsene.

La vergogna Aldrovandi: in studio è intervenuta anche Patrizia Moretti, la mamma di Federico Aldrovandi. Ucciso per la violenza subita da alcuni agenti di polizia, condannati anche in Cassazione.
I colleghi del sindacato Coisp sono andati ad esprimere solidarietà agli agenti condannati sotto le finestre del comune di Ferrara, dove lei lavora.
Ma quanti gradi di giudizio abbiamo in questo paese? Come è possibile che nemmeno su questa storia brutta, che infanga una parte delle istituzioni, ci si riesca a dividere?


L'eredità dei tecnici: l'intervento di Gianni Dragoni

28 marzo 2013

Che ne pensa Grillo di questo?

Preso da Wil: visto che Grillo non ha nessuna preclusione su Casa pound, che ne pensa della loro idea di intervenire in India?



Si salvi chi può

La giornata delle due dirette, una in streaming l'altra dalla Camera, hanno mostrato a tutti il grado di disfacimento delle istituzioni.
Alla Camera, l'ex salvatore della patria professor Monti, l'uomo dell'agenda oggi disconosciuta da tutti, ha cercato per l'ultima volta dii difendersi sulla gestione del caso dei due marò.
Fa molta tristezza vedere come sia stato proprio il centrodestra, quel centrodestra berlusconiano che ha portato il paese in questo stato, quello degli attacchi più violenti.
Brunetta, il ministro dei fannulloni, degli attacchi ai precari, delle promesse non mantenute.
C'è proprio una sensazione del si salvi ci può: ministri contro ministri, tecnici che non vedono l'ora di tornare al proprio incarico (dopo essersi lasciati alle spalle blande leggi anticorruzione, la questione degli esodati, l'inquinamento dell'Ilva a Taranto, ...).

E poi la seconda diretta, fatta in streaming perchè al popolo non bisogna nascondere nulla (tranne quello che decidono Casaleggio e Grillo), in cui il M5S ha chiuso la porta in faccia (mai aperta tra l'altro).
Nessuna fiducia, perché voi non siete credibili, avete promesso riforme da anni: "Noi del Pd non ci fidiamo, ma certo, se Napolitano fa un altro nome, cambia tutto". Stiamo aspettando.

Però, quanta superficialità e supponenza da parte dei due portavoce.
"Sembra di stare a Ballarò" (no, è il paese reale che vorrebbe da voi delle risposte, grazie).

Vero, il PD aveva già preparato il matrimonio con Monti e mai si sarebbe sognato di fare leggi serie contro corruzione e conflitti di interesse senza la scoppola delle elezioni di febbraio.
Bersani doveva, come prima cosa, chiedere scusa e prendere atto della non vittoria. E farsi da parte.
Ma la vostra proposta quale è? Il modello bulgaro? Il 51%, il prendere o lasciare? il dateci la fiducia e noi poi vi diciamo i nomi per il governo?
Certo, i partiti sono i padri puttanieri, e anche "lo stato sociale siamo noi" (che suona come "lo stato siamo noi"): non esistono più giornali, più sindacati, più strati intermedi tra il popolo e chi governa. Ma la politica non dovrebbe essere anche dialogo, incontro, convincere le persone della validità delle proprie opinioni?

Io, alla teoria che serva una dose minima di dittatura per salvare il paese, non ci credo.
Anche perché prima di arrivare al governo il M5S deve fare i conti con l'altro partito che non ha vinto le elezioni: Berlusconi è ancora lì a dettare le sue condizioni.

Dove sta andando il Titanic.
Mentre a Roma (o anche in Toscana dove è previsto un incontro segreto tra Grillo e i suoi eletti ) il paese avrebbe bisogno di qualcuno che governi la nave allo sbando.

C'è la vicenda Taranto, dove ora rischiamo una infrazione per l'inquinamento dell'Ilva.
Chi paga? L'azienda che verrà amministrata dal manager dei tagli Bondi?
O più probabilmente nessuno?

"Angelo Bonelli, leader dei Verdi che sull’Ilva ha condotto una battaglia spesso solitaria: “Da sempre chiediamo che l’Ilva paghi per le bonifiche e per questo abbiamo anche chiesto che venissero sequestrati i beni del gruppo Riva. Come denunciamo da mesi, per Taranto, il principio ‘chi inquina paga’ rischia di essere carta straccia: al danno enorme che subisce la città – ‘malattia e morte’, scrive la Procura - ora si somma anche la beffa di una possibile ‘infrazione europea’, ossia una multa che pagherebbero tutti gli italiani, mentre ancora oggi per le bonifiche ai Riva non è stato chiesto nemmeno un euro”" (Marco Palombi su il Fatto).
La questione RCS:
"Rcs che vuole fare fuori 800 dei 5 mila dipendenti per tagliare i costi e non chiedere troppi sacrifici a soci forti come Mediobanca, Fiat, Intesa Sanpaolo. E di Telecom Italia che dichiara 3 mi-la esuberi distribuire ai dipendenti un centinaio di milioni di stipendi in meno, dopo aver annunciato la distribuzione di 450 milioni di dividendi a soci forti come Mediobanca e Intesa Sanpaolo (sì, sono sempre gli stessi, non è un refuso). Le Fs hanno deciso di indebitarsi con le banche per 1,5 miliardi per poter pagare gli stipendi, perché lo Stato non paga i suoi debiti neppure a loro, mica solo alle piccole e media imprese. L’unica cosa certa è che il contribuente dovrà pagare fior di commissioni e interessi alle banche." (Giorgio Meletti su Il fatto)
Gli esuberi Telecom:
"Ma la vicenda di Telecom Italia desta qualche interrogativo. È stato siglato un accordo per cui non si licenzia nessuno, però siccome ci sono 3 mila esuberi, 500 si mandano in prepensionamento, con buona pace del rigore del ministro Elsa Fornero, e gli altri 2.500 esuberi si assorbono con i contratti di solidarietà: lavorare meno e guadagnare meno. Così Telecom Italia risparmierà circa 100 milioni di euro, in parte scaricati sul contribuente grazie al meccanismo dei contratti di solidarietà. Ma una cifra poco inferiore sborserà ai circa 54 mila dipendenti come premio di risultato per il 2012 (mille euro a testa). I sindacati - secondo un’antica tradizione del loro atteggiamento nel gruppo Tele-com - hanno sottoscritto una politica del lavoro opposta a quella che proclamano nei vertici a palazzo Chigi o nei talk-show. Telecom Italia ha terminato nello scorso novembre due anni di contratto di solidarietà, che hanno consentito di risparmiare qualche centinaio di milioni di euro, e negli stessi due anni ha distribuito agli azionisti dividendi per circa 2 miliardi. Adesso i lavoratori tornano in solidarietà mentre l’azienda paga 450 milioni di dividendo e continua a premiare i manager (anche se con bonus calanti)." (Giorgio Meletti su Il fatto)
A breve potrebbe scattare un altro downgrade delle società di rating, lo spread potrebbe tornare a risalire. A luglio scatta l'aumento dell'Iva. Le banche sono in sofferenza, avrebbero bisogno di una ricapitalizzazione, ma dove trovare i soldi?
Dalla Cassa depositi e prestiti (i nostri risparmi)?
Si salvi chi può ...

27 marzo 2013

Da Travaglio a Grasso

Abbiamo una nuova versione del contraddittorio: quando un giornalista critica un politico ( o un potente) in una trasmissione tv che ha un certo share, serve il contraddittorio.
Viceversa, quando il politico critica (anche legittimanente) un magistrato o un giornalista (tanto per fare due casi) il contraddittorio non serve più. E così nell'opinione pubblica non si riesce più aad avere una visione dei fatti.
Ma rimane solo il polverone delle polemiche.


L'editoriale di oggi di Travaglio su Il fatto
Lunedì Grasso (con bugie)
di Marco Travaglio
Nelle quasi due ore di intervista concordata per rispondere ai tre minuti che gli avevo dedicato a Servizio Pubblico, Corrado Formigli e Piero Grasso hanno detto moltissime cose. Tralascio, per palese irrilevanza, quelle dette da Formigli (a parte il rivendicare come “la cosa più normale del mondo” convocare con un tweet notturno un confronto fra la seconda carica dello Stato e un giornalista di un’altra testata, che fra l’altro non frequenta twitter). E passo immediatamente al presidente del Senato, che si conferma purtroppo un pubblico mentitore e approfitta del fatto che i suoi colleghi della Procura di Palermo non possono andare in tv a sbugiardarlo. Se però mi vorrà querelare, sono in molti che verrebbero volentieri a testimoniare sotto giuramento come sono andate le cose e dove sta la verità.

Balla n. 1: appello Andreotti. Grasso dice di non aver firmato né “vistato” l’atto di appello della sua Procura contro l’assoluzione di Andreotti in primo grado per motivi squisitamente tecnici, in quanto era stato sentito come testimone e la sua adesione all’appello avrebbe precluso ai giudici la possibilità di risentirlo in appello. È falso. Quando, nell’estate 2000, i procuratori aggiunti Scarpinato e Lo Forte gli consegnano il plico dell’impugnazione, Grasso rifiuta non solo di sottoscriverlo, ma anche di apporre il “visto” rituale, dicendo che non l’ha letto e non c’entra. Un gesto di plateale presa di distanze, che gli vale le lodi sperticate del Foglio di Ferrara e del Velino di Jannuzzi. Anziché respingere quegli imbarazzanti elogi, Grasso rilascia un’intervista al Quotidiano Nazionale e spiega che “forse, se avessi avuto più tempo a disposizione, avrei potuto collaborare anch’io alla stesura” (7.8.2000). E un’altra a La Stampa in cui boccia i processi della stagione Caselli, capace – a suo dire – di “ottenere condanne solo sulla stampa, nella fase delle operazioni di cattura, e non sempre nelle sedi giudiziarie e in via definitiva” (19.8.2000). Potrebbe dichiarare subito che il mancato visto è dovuto a un motivo squisitamente tecnico (il suo ruolo di ex testimone), ufficializzando così la sua vicinanza ai pm nel mirino per aver osato processare uno dei padroni d’Italia. Invece, col suo attacco a Caselli e ai processi eccellenti istruiti sotto la sua guida, li delegittima e li isola. Soltanto parecchio tempo dopo Grasso scoprirà improvvisamente di non aver firmato l’appello Andreotti (fra l’altro coronato dal successo di una sentenza d’Appello, poi confermata in Cassazione, che dichiarerà provata la mafiosità dell’ex premier fino al 1980) perché aveva testimoniato in primo grado. Una scusa puerile e infondata, sia perché nessuno pensava di richiamarlo a testimoniare in appello; sia perché, da procuratore nazionale antimafia, Grasso ha poi coordinato per anni varie indagini sulle stragi, in cui era stato chiamato a testimoniare più volte sui suoi rapporti con Falcone e sulla sua funzione di giudice del maxiprocesso, e non si è mai sognato di astenersi per quel motivo. Balla n. 2: caso Giuffrè. Nel giugno 2002 si pente Antonino Giuffrè, boss delle Madonie, fedelissimo di Provenzano e membro della Cupola. Grasso dice che Giuffrè “valeva oro” perché sapeva tutto di tutti i livelli mafiosi. Dunque cosa fece? Non avvertì nessuno dei pm antimafia, né tantomeno le procure di Firenze e Caltanissetta che indagavano sulle stragi, e per ben tre mesi se lo gestì da solo, clandestinamente, insieme al fido aggiunto Pignatone e al fido sostituto Prestipino (all’altro aggiunto Lo Forte diede la notizia, ma negò l’accesso ai verbali). E lo interrogò “personalmente nel carcere di Novara”, ma “solo i sabati e le domeniche”: mossa geniale, quella di giocarsi 5 giorni su 7 a settimana, visto che la nuova legge sui pentiti dava ai pm solo 6 mesi di tempo per cavargli di bocca tutto quel che sapeva. Perché tanta segretezza?

segue dalla prima
Per evitare “fughe di notizie” che avrebbero messo a repentaglio la vita dei famigliari del neopentito: oltretutto – dice Grasso – “Giuffrè mi aveva parlato di talpe in Procura, che poi abbiamo individuato”. Se ne deduce che Grasso sospettava (senza prove) dei suoi colleghi, e perciò disattese la regola-Falcone della “circolazione delle informazioni” nei pool antimafia. Ma non basta: nei primi tre mesi (su sei a disposizione) interrogò Giuffrè quasi soltanto su certe estorsioni nelle Madonie, che porteranno all’arresto di una dozzina di pastori: la gallina delle uova d’oro che partorisce il topolino. Per annunciare i mirabolanti arresti, Grasso convocò una conferenza stampa il 20.9, svelando la collaborazione di Giuffrè “nuovo Buscetta”. Insomma, la fuga di notizie la fece il procuratore che ora dice di averla sventata, precludendo l’effetto sorpresa che poteva portare alla cattura di latitanti o al rinvenimento di prove decisive sui rapporti mafia-politica. Per questo tutta la Dda di Palermo “processò” Grasso che alla fine dovette capitolare: Giuffrè poteva essere sentito (giorno e notte, a tappe forzate, essendo rimasti solo tre mesi) dai pm dei processi eccellenti. A loro rivelò particolari importanti su Andreotti, B., Dell’Utri e trattativa, che Grasso non aveva chiesto. Non solo: consentì di individuare il referente mafioso delle talpe in Procura (che non erano pm, ma i marescialli Ciuro e Riolo): il costruttore Michele Aiello. La scoperta si deve ai pm Scarpinato, Lari, Russo, Paci, Piscitello, Guido e Tarondo che lo interrogarono a tutto campo il 12.11.2002. Lì Giuffrè rivelò che Aiello era un prestanome di Provenzano. Così Grasso e i suoi, due anni dopo, fecero arrestare lui e i marescialli-talpa. Dunque è falso che la segretezza su Giuffrè abbia consentito la scoperta delle talpe: al contrario, fu proprio quando Grasso dovette informare su Giuffrè i suoi pm che le talpe furono smascherate.

Balla n. 3: Ciancimino & C. Partito Grasso da Palermo nel 2005, dai cassetti della Procura saltano fuori un sacco di documenti dimenticati o trascurati sui rapporti mafia-politica. 1) Le intercettazioni dirette e/o indirette di telefonate del 2003-2004 fra il prestanome di Vito Ciancimino, il ragionier Lapis, e gli on. Cintola, Romano e Vizzini, in cui si parlava anche di Cuffaro, e che facevano ipotizzare una corruzione mafiosa. 2) Un pizzino di paternità incerta (Ciancimino? Riina? Provenzano? Un loro scriba?) con minacce e promesse di appoggio a B. in cambio di una tv Fininvest. Grasso l’altra sera si è fatto una risata: ai suoi tempi Massimo Ciancimino “non collaborava” e i Carabinieri o i suoi sostituti – lui, mai – “commisero degli errori o forse trascurarono qualcosa”. Già, ma era difficile che Ciancimino collaborasse, visto che la sua Procura non gli domandò nulla sulla trattativa. E non fece domande sulle carte sequestrate a Ciancimino jr. sulla trattativa: come il pizzino su B. e Dell’Utri (puntualmente segnalato dall’Arma alla Procura). Grasso dice che “non si sapeva chi l’avesse scritto, forse Provenzano o Riina”. Invece di indagare meglio, lo gettarono in uno scatolone, dove lo ritrovò un pm dopo la dipartita di Grasso.

Quanto alle telefonate dei/sui quattro politici, Grasso sostiene che non erano dirette, ma fra terze persone che accennavano a nomi di battesimo imprecisati: i Carabinieri non capirono che “Totò” era Cuffaro e “Saverio” era Romano (probabilmente pensarono al principe De Curtis e a Borrelli), dunque ignorarono i nastri “senza neppure trascriverli”. Ma neanche questo è vero: le telefonate erano fra Ciancimino jr., Lapis e tre politici. Grasso aggiunge che, in ogni caso, “Cintola è morto, Cuffaro è stato condannato, Romano è stato assolto e per Vizzini c’è una richiesta di archiviazione per prescrizione”, dunque la dimenticanza “non fu un gran danno”. Ne avesse azzeccata una: Cuffaro è stato condannato per altro (favoreggiamento mafioso) e Romano assolto per altro (concorso esterno). Sulla presunta corruzione mafiosa, Cuffaro è uscito dalle indagini; per Romano pende una richiesta di archiviazione per prescrizione; idem per Vizzini perchè il Parlamento ha negato l’uso di numerose intercettazioni. É incredibile che il Pna uscente ignori fatti così gravi. Se poi sul caso incombe il rischio di prescrizione, è proprio perchè le bobine furono ignorate nella sua gestione nel 2005 e scoperte dai suoi successori nel 2008, perdendo tre anni preziosi. In realtà i carabinieri obbedirono a una circolare diramata da Grasso il 26.11.2004 sulle intercettazioni di parlamentari su utenze di soggetti terzi: “Non dovranno essere riportate nelle richieste di intercettazioni o di proroga, né in qualsiasi altra nota... all’Autorità giudiziaria”, ma solo trasmesse con “note separate” alla Procura, mentre nei “brogliacci” si deve annotare solo che le intercettazioni esistono. Così, se un killer confida a un deputato che sta per uccidere qualcuno, la polizia non può riportare la conversazione nella richiesta di intercettare il killer, solo perché il killer ha preannunciato l’omicidio a un deputato. Senza la circolare, magari, i Carabinieri avrebbero segnalato alla Procura le telefonate dei politici. E la Procura di Grasso si sarebbe forse accorta per tempo della loro esistenza.

Balla n. 4: le querele minacciate. “Mai minacciato querele a Travaglio”, assicura Grasso. Invece il 10.1.2006 Grasso definì il libro Intoccabili. Perché la mafia è al potere (Bur) scritto da Lodato e da me “opera di disinformazione scientificamente organizzata” (non disse da chi) e aggiunse: “Non mancheranno le ‘sedi giudiziarie ed istituzionali in cui far trionfare la verità’”. Poi naturalmente se n’è tenuto alla larga.

Balla n. 5: l’amante del confronto. Grasso lamenta, sull’orlo delle lacrime, l’impossibilità di ottenere un confronto col sottoscritto. Se ciò fosse vero, accetterebbe il mio invito a dibattere con me a Servizio Pubblico, Otto e mezzo, al Tg di Mentana, o da Lerner. E, se ciò fosse vero, avrebbe risposto venerdì a Santoro che lo cercava tramite la batteria del Viminale, anziché fargli rispondere (l’indomani e da una segretaria) che era totalmente impegnato sabato e domenica (peccato che sabato fosse a Roma, ai funerali di Manganelli). Personalmente cerco un confronto con lui da dieci anni. Nell’estate 2003, quando ricostruii per MicroMega le drammatiche spaccature nate nella sua Procura (quelle che lui liquida come “normali dialettiche interne”, mentre lui si sforzava di “tenere unita la magistratura”), il direttore Flores d’Arcais lo invitò a un forum in redazione o a un confronto con Scarpinato. Ma Grasso declinò entrambi gli inviti. Idem quando molti dei suoi pm chiesero un confronto con lui dinanzi al Csm.

Balla n. 6: caso Schifani. Archiviato ai tempi di Grasso, Schifani è stato di nuovo indagato dopo la sua dipartita. E, contrariamente a quel che lui afferma, non è stato archiviato: la richiesta è ancora all’esame del gup Piergiorgio Morosini.

Balla n. 7: le leggi anti-Caselli. Dice Grasso che, contrariamente a quanto ho sostenuto a Servizio Pubblico, le tre leggi del governo Berlusconi nel 2005 per eliminare il suo concorrente Gian Carlo Caselli dal concorso per la Dna, non furono da lui “ottenute”. Gli piovvero in testa come la casa di Scajola: a sua insaputa. “Ottenere significa chiedere e io non ho mai chiesto niente”. Ma ottenere significa anche meritare. Si è mai domandato perché ha meritato tre norme (e da che governo!) contro il suo unico avversario, e dunque in suo favore? E perché i cinque membri laici del centrodestra al Csm votarono per lui? E perché, mentre il centrodestra cannoneggiava, spiava fin dentro i calzini, insultava, attaccava, faceva punire, chiedeva di trasferire, delegittimava tutti i magistrati più in vista d’Italia, e tutti i pm antimafia, elogiava, applaudiva, favoriva per legge e votava soltanto uno: lui? Grasso sostiene che le tre leggi non ebbero effetto perché il Csm avrebbe potuto procedere alla nomina del Pna in un plenum straordinario, in fretta e furia, prima che entrasse in vigore la terza e decisiva legge anti-Caselli. Il quale dunque “se la deve prendere con i colleghi che impedirono la decisione”. Balle: la commissione Incarichi direttivi dà 3 voti a lui e 3 a Caselli il 12 luglio 2005; e il 20 luglio viene approvata la legge: come può il plenum deliberare in una settimana, visto che uno dei relatori delle candidature deve ancora stendere le motivazioni? Inoltre la lettera che chiedeva il plenum straordinario su input del centrodestra era irricevibile, infatti non ebbe risposta dal vicepresidente Rognoni. La legge poi ebbe un effetto gravissimo: escludendo Caselli, gli impedì di ricorrere al Tar contro la nomina di Grasso vantando titoli e anzianità che Grasso si sognava. In ogni caso resta la questione di principio: un cultore della Costituzione come Grasso dovrebbe sapere che l’art. 105 affida le nomine dei magistrati al Csm senza interferenze del governo. E avrebbe dovuto rifiutare quel concorso truccato a suo favore. Invece ne approfittò senza batter ciglio, salvo poi – quando la Consulta dichiarò incostituzionale l’ultima norma – riconoscere che sì “era stata contro Caselli e a favore mio”, ma conservando la poltrona. Ottenuta, sì “ottenuta” in quel modo scandaloso.

* * *

Esaurito – per esigenze di sintesi e per ora (il resto domani a Servizio Pubblico) – il capitolo-balle, e sorvolando sul paragone tra le critiche di un giornalista e le minacce dei mafiosi alla sua famiglia, restano un paio di violenze alla logica che confermano platealmente la sua fama di italianissimo furbo, una sorta di Alberto Sordi della toga.

8. Premio antimafia a B. È stato tutto un equivoco, colpa di “quei birbanti de La Zanzara”. Ma per non cadere nel presunto tranello, anziché dire e ripetere che B. merita “un premio speciale” antimafia, bastava rispondere: “No, nessun premio a chi dice che Mangano è un eroe e che i magistrati sono matti, antropologicamente diversi dalla razza umana, golpisti, cancro della democrazia”. Nessuno avrebbe equivocato.

9. Processi & (in)successi. Se un pm si chiama Ingroia o Caselli o Gozzo e si vede condannare un imputato, tipo Dell’Utri, per Grasso “non deve viverlo come un successo”. Anzi, come una sconfitta, perché il processo “è durato troppo”. Se invece l’imputato si chiama Cuffaro e viene condannato e il pm si chiama Grasso, allora è un trionfo: la prova che il suo “metodo” è quello giusto, mentre quello degli altri era sbagliato, viziato da “processi gogna” a politici poi assolti, dunque da non processare proprio (ma i processi non servono proprio a stabilire se uno è colpevole o è innocente?). Quali? “Non è elegante fare nomi”. Invece i nomi dei suoi imputati politici Grasso li fa eccome e molto elegantemente. Tanto ce n’è solo uno: Cuffaro. Anzi no, ha sgominato anche un altro pezzo da 90: “Vincenzo Lo Giudice detto Mangialasagne”, nientemeno che consigliere regionale Udc. E qualcuno osa insinuare che si sia tenuto a distanza dalle indagini sulla politica?

10. Applausi da B. e Dell’Utri. Se B. applaude il suo discorso al Senato e se Dell’Utri si spertica in elogi in ogni intervista, è colpa del Fatto che chiede pareri su di lui a “persone non in auge dal punto di vista dell’opinione pubblica”. Ma Dell’Utri, prima che lo intervistassimo, aveva già esternato qua e là in difesa di Grasso: “È equilibrato, un uomo di Stato. Lui sa chi sono io... Grasso è brava persona, sono contento per la sua elezione a presidente del Senato... Non è un magistrato fanatico come Ingroia”. E già nel 2004 gli aveva dipinto un impareggiabile ritratto umano: “Grasso, quando era giovane, giocava a calcio nella mia squadra, la Bacigalupo, ed era famoso perché a fine partita usciva sempre pulito dal campo: anche quando c’era il fango, lui riusciva sempre a non schizzarsi...”. Comunque, promesso: la prossima volta che ci servirà un parere su Piero Grasso, chiederemo direttamente a Piero Grasso

Il senso è quello

Ha sbagliato l'assessore Battiato ad usare quella parola parlando di alcuni componenti delle nostre istituzioni.
Perché denota un pò di maschilismo (il maschio che si vende è un gigolò, la donna è invece troia ..).
Ma il senso è quello: a meno di non voler non vedere tutto il mercimonio di intelligenze (per modo di dire) da parte di certi personaggi, l'espressione giusta è "prostituzione".

Che è stata usata tra l'altro già nel passato .
Beppe Grillo in commissione affari costituzionali
"Questa Commissione, questo Parlamento, non hanno nulla a che fare con la democrazia. sei persone hanno deciso i nomi di chi doveva diventare deputato e senatore. Hanno scelto 993 amici, avvocati e scusate il termine, qualche zoccola, e li hanno eletti."

Angela Napoli su Klauscondicio

“Non escludo che senatrici o deputate siano state elette dopo essersi prostituite. Purtroppo puo’ essere vero e questo porta alla necessita’ di cambiare l’attuale legge elettorale”. Cosi’ Angela Napoli, deputata del Fli e membro della Commissione parlamentare Antimafia, intervistata da Klaus Davi su Klauscondicio. “E’ chiaro che, essendo nominati- aggiunge- se non si punta sulla scelta meritocratica, la donna spesso e’ costretta, per avere una determinata posizione in lista, anche a prostituirsi o comunque ad assecondare quelle che sono le volonta’ del padrone di turno”.

Vittorio Feltri sulle liste del PDL:

“Non siamo mica nati ieri e sappiamo che ha candidato di nuovo delle mignotte. Sì, mi riferisco alla mignottocrazia, ho visto dei nomi che immediatamente richiamano alla mignottocrazia. È cambiato troppo poco rispetto alle aspettative, la serietà delle persone è importante. Un censimento è difficile e vedendo le liste, volando basso, mi sono saltati agli occhi i nomi di una decina di mignotte, intese come persone che si adattano a fare qualsiasi cosa, che fanno quegli esercizi che non sono titolo di merito. Non è che se io faccio una scopata allora merito un aumento di stipendio”
.

26 marzo 2013

C'è sempre qualcuno più a nord

I manifesti del partito Svizzero UDC contro i frontalieri (italiani):


C'è sempre qualcuno più a nord di te.
L'accordo di Schengen che fa circolare i criminali, il tema della sicurezza, prima gli Svizzeri, basta immigrati, ci tolgono il lavoro  .. dove è che ho già sentito questi slogan?


Petrolio e sangue: Chi ha ucciso Enrico Mattei, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

Sempre per Chiarelettere, i due giornalisti Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza avevano scritto il saggio “Profondo nero”: l'intreccio tra oro nero, potere e politica che legava assieme il presidente dell'Eni Enrico Mattei, il giornalista Mauro De Mauro e lo scrittore Pier Paolo Pasolini.
Caro lettore,
prendi fiato: stai per fare un salto nel tempo, una corsa a ritroso nella storia italiana, per scoprire il mistero del complotto che potrebbe avere provocato la morte di Enrico Mattei, il presidente dell'Eni precipitato nel 1962 con il suo aereo nella campagna pavese di Bascapè.
Ma stai per scoprire qualcosa di più.
Che quel complotto sarebbe stato orchestrato “con la copertura di organi per la sicurezza dello stato”, e poi occultato in un intrecciodi omertà e depistaggi pronti a ricompattarsi ogni volta che, nella storia del paese, qualcuno minaccia di rivelarne il segreto.
Per questo motivo sarebbe sparito nel nulla a Palermo il giornalista Mauro De Mauro, eliminato in circostanze misteriose per volontà di un mandante invisibile. Per questo motivo lo scrittore Pier Paolo Pasolini, ucciso ufficialmente in una lite tra “froci”, sarebbe vittima di un agguato studiato a tavolino. Come si legano i tre delitti? Un filo nero come il petrolio avvolge la fine di Mattei, De Mauro e Pasolini.

Questa la prima pagina del libro che, mettendo assieme tre dei misteri d'Italia più enigmatici, racconta di trame di potere, di uno stato dentro lo stato, che vede assieme pezzi dei servizi, esponenti del mondo politico, mafia e logge massoniche.
La solita storia? 
E allora chi ha stoppato la rivoluzione impossibile di Mattei? Rendere l'Italia independente dal punto di vista energetico, emanciparla dal giogo delle sette sorelle, allontanarla dagli influssi atlantici. Rendere l'Italia un paese con gli stessi diritti delle altre potenze occidentali, non più un paese a sovranità limitata.

Chi ha messo a tacere la voce del giornalista Mauro De Mauro: scomparso nel nulla; le indagini stoppate dai servizi. Molti di coloro che hanno indagato sono stati uccisi: Boris Giuliano (commissario della Mobile a Palermo), Giuseppe Russo (cap. dei carabinieri), Carlo Alberto Dalla Chiesa (comandante della Legione Carabinieri di Palermo) e il procuratore Scaglione. Quest'ultimo ucciso poco prima di andare a testimoniare su una telefonata tra “Mister X” Don Vito Guarrasi e il commercialista Antonino Buttafuoco in cui si parlava del giornalista scomparso.

Infine, come è morto e perchè il poeta Pier Paolo Pasolini, nella notte tra il 1 e 2 novembre 1975?
C'erano altre persone? E chi ne garantito l'impunità per più di 30 anni?
È morto per aver detto “io sosul corriere, per aver messo assieme i fatti (le stragi, le violenze), con i gruppi di potere e gli attori degli anni 70 (la DC, la P2)?
Questo libro, che esce solo in formato ebook, si concentra solo sul mistero italiano della fine del fondatore dell'Eni, Enrico Mattei: morto in un incidente aereo (così disse la prima inchiesta del 66 e anche l'inchiesta ministeriale della Difesa) sui cieli di Bascapè nella sera del 26 ottobre 1962, mentre stava rientrando da una visita in Sicilia, agli stabilimento di Gela e a Gagliano Castelferrato dove l'Eni aveva scoperto la presenza di petrolio nel sottosuolo. Oltre a Mattei morirono Irenio Bertuzzi il suo pilota e il giornalista americano Mc Hale.
Strane presenze sul luogo del disastro.Il libro parte dalla ricostruzione delle ultime ore del presidente, fino all'incidente di Bascapè. Se già gli ultimi spostamenti in Sicilia sono un piccolo giallo (come mai Verzotto lo chiamò in Sicilia?), un altro giallo riguarda le strane presenze sul luogo della tragedia.
Che ci faceva l'investigatore Tom Ponzi a Bascapè (negli anni '70 si scoprì che era a libro paga dell'Eni di Cefis)?

Il luogo della tragedia nel giro di poche ore si riempie di persone: anche agenti dei servizi segreti. C’è anche Tom Ponzi, il noto detective privato arrivato a bordo di una Jaguar e, dopo di lui, un misterioso dirigente Eni (Cefis, che era stato silurato da Mattei a gennaio 62?)
E poi, la ritrattazione del primo testimone, l'agricoltore Ronchi: “La fiammata tra le nuvole la vede l’agricoltore Mario Ronchi, che abita nella cascina Albaredo” e la racconta in una prima intervista alla TV. Testimonianza poi ritrattata davanti ai carabinieri e ai giornalisti che in seguito lo intervisteranno: c'entra qualcosa il fatto che fu chiamato subito dopo negli uffici dell'Eni e che per anni prese uno stipendio dall'azienda?
Da quel momento, infatti, il contadino negherà tutto. Niente «palla di fuoco», Dice il contadino che il giorno successivo all’incidente aereo, la domenica, alcuni dipendenti della Snam (Società nazionale metanodotti, consociata all’Eni) si presentano alla sua cascina e lo accompagnano a San Donato Milanese[..]
Niente «palla di fuoco». Niente esplosione. Niente sabotaggio.

Ascesa del corsaro del petrolioChi era Mattei e perché faceva così paura all'establishment italiano, al sistema dei partiti, alle sette sorelle che in un unico oligopolio gestivano l'estrazione del petrolio nel mondo?
La filosofia del fondatore dell'Eni, sin dai tempi in cui fu chiamato a liquidare l'Agip, era quella di rendere l'Italia autonoma dal punto di vista energetico. Aveva capito che senza questa autonomia, osteggiata dal clima della guerra fredda e dagli americani che consideravano l'Italia una colonia, non ci sarebbe stata alcun sviluppo industriale.

Mattei fu :

“il primo «stregone» dell’informazione, finanziando e comprando agenzie di stampa e quotidiani per imporre il proprio punto di vista e manipolare l’opinione pubblica sui grandi temi della finanza e della politica.”
[..]
Mattei è un innovatore, un autentico «corsaro» del petrolio:

Mattei dice chiaro e tondo che l’Eni può e vuole trovare mercati nuovi, [..] disturba profondamente i potentati angloamericani del petrolio, soprattutto gli Stati Uniti, [..] guardano all’Italia niente più che come a una provincia del nuovo impero occidentale
[..]
non ha remore a offrire ad altri interlocutori, paesi «poveri» fino ad allora fuori dal gioco dei contratti economici internazionali, condizioni più favorevoli.”
Tutta la filosofia si racchiude in questa racconto, l'apologia del gattino affamato:
«C’era una volta un gattino gracile e smunto che aveva fame. Vide dei cani grossi e ringhiosi che stavano mangiando e timidamente si avvicinò alla ciotola. Non fece nemmeno in tempo ad accostarsi che quelli, con una zampata, lo allontanarono. Noi italiani siamo come quel gattino».
Il gattino divenne una tigre: riuscì a non far chiudere l'Agip, aiutò la campagna elettorale di De Gasperi nel 1948 e in cambio, il 10 giugno 1948 De Gasperi fa eleggere un nuovo cda dell’Agip: Mattei torna baldanzosamente in sella.
Nel 1949 l’Agip trivella un pozzo a Cortemaggiore e trova metano, lo Stato italiano riserva per sé le concessioni (suscitando il risentimento delle compagnie americane).
Mattei ebbe con i partiti un rapporto spregiudicato: fu un grande elemosiniere dei partiti. Per la sua battaglia politica contro le “sette sorelle” Mattei ha bisogno di alleanze dentro i partiti.

Qui inizia l’invenzione del sistema tangentizio in Italia, dei bilanci paralleli per la creazione di «fondi neri» con cui pagare cordate politiche, condizionare le elezioni. Compra giornali e giornalisti, sindaci.

Enrico Mattei fa la vera politica economica del paese. Si muove come un manager di Stato e il disordine morale della politica italiana gli attribuisce di fatto pieni poteri: il suo motto è
«Per me i partiti sono come taxi. Salgo, pago la corsa e scendo».
Riesce a far approvare dal Parlamento una legge che autorizza l’Eni a disporre delle concessioni in Italia.
E non è sua solo l'impronta in termini di politica economica: l'Eni, di fatto, condiziona la politica estera del paese. L'Italia non è più la colonia americana, con una sovranità limitata:
“Il presidente dell’Eni costruisce nuovi rapporti con l’Iran, ne avvia con la Libia, stabilisce contatti con l’Egitto, tratta col re di Giordania con un rispetto mai mostrato dai petrolieri anglosassoni, si infila nei rapporti fra Algeria e Francia, segnati dalla guerra di liberazione anticolonialista”.
I generali del Patto atlantico lo tengono d’occhio: due rapporti dei servizi segreti americani e inglesi indicano nella politica dell'Eni una minaccia per la politica estera dei due paesi, abituati a muoversi come ai tempi del colonialismo nei paesi del termo mondo.

I nemici di Mattei: Eugenio Cefis, Vito Guarrasi e Graziano Verzotto
Per capire chi potrebbero essere i mandanti occulti dell'attentato, gli autori si sono concentrati sulla domanda: chi , dalla morte di Mattei, ha avuto maggiori vantaggi, tra le persone che erano a fianco dell'ingegnere. Il saggio si concentra su tre persone: l'ex braccio destro Eugenio Cefis, senatore DC Graziano Verzotto e mister X, l'enigmatico avvocato palermitano Vito Guarrasi.
Eugenio Cefis
Come mattei, che fu a capo delle formazioni bianche dei partigiani, anche Cefis lottò dentro la resistenza, col nome di combattente «Alberto».
Tanto Mattei svolse un lavoro sul territorio, costruendo alleanze con preti, quanto Cefis fu uomo vicino agli americani. I suoi rapporti si fanno stretti con il capitano Emilio Daddario, esponente dell’Oss, incaricato di mettere le mani sui caporioni fascisti prima che i partigiani li catturino.

Scrivono gli autori:
“Sono due caratteri temprati dalla guerra. Quanto Mattei è impulsivo e passionale, tanto Cefis è freddo e determinato. La sola cosa che hanno in comune è un anticomunismo viscerale”.
Mattei, quando inizia l'avventura dell'Eni, si ricorda del combattente “Alberto” che diventa vicepresidente.
Mattei scopre che Cefis fa il doppio gioco ed è collegato con i servizi segreti americani: con una trappola, pesca Cefis mentre sta frugando dentro la cassaforte del suo ufficio.

Sembra un pezzo di una fiction, ma non lo è: “gli dice, secco: «Hai una sola possibilità: le dimissioni. Se non ti dimetti entro ventiquattr’ore, ti sbatto fuori». Eugenio Cefis, direttore generale dell’Eni, si dimette” nel gennaio1962.
Iniziano ad arrivare le lettere di minacce: dall'OAS, l'organizzazione terroristica che lottava contro l'indipendenza dell'Algeria (con cui Mattei stipulava contratti convenienti) dalla Francia.
All’Oas sono collegati i servizi di spionaggio americani, attraverso il vicedirettore della Cia Richard Bissell Junior. L’Oas, inoltre, è in stretto contatto con i gruppi neofascisti italiani.

Chi ha ucciso allora Mattei? Forse qualcuno, vicino agli ambienti atlantici, ai servizi americani e dunque all'arcipelago neofascista, che aveva raccontato loro di come Mattei con la sua politica fosse un pericolo?


L’ingegnere è morto alla vigilia di appuntamenti cruciali:
Kennedy che si apprestava finalmente a riconoscere il suo peso internazionale, un nuovo accordo con l’Algeria, un’intesa con l’Iraq.

Con la sua morte cambia la politica estera dell'Eni. A cominciare dal rientro di Cefis. Nel novembre 1962, appena otto giorni dopo la tragedia di Bascapé, e nove mesi dopo le sue dimissioni, Cefis viene nominato dal governo al vertice dell’ente petrolifero di Stato.
Cefis sostenuto dall’allora presidente del Consiglio Fanfani, con un diverso collocamento politico:

Mentre “Mattei prediligeva la “linea di sinistra” della Dc che aveva forti radici a Milano, mentre Cefis era più orientato verso la “linea di destra” della Dc che aveva la sua base a Roma ed era rappresentata da Fanfani”.

La carriera di Cefis, che una nota dei nostri servizi indicavano come il vero fondatore della Loggia P2 (prima di Licio Gelli), prosegue. Nel 1971, il «grande elemosiniere» conquista infatti il vertice del gruppo industriale privato Montedison. Sempre grazie all'aiuto della stampa prezzolata e dei politici a libro paga.

Graziano Verzotto

Verzotto è il segretario della Dc siciliana, poi eletto senatore, viene dalla Resistenza, dove si guadagna la fama di «doppiogiochista».
Fu accusato di aver depositato fondi neri dell’Ems, l’Ente minerario siciliano, in una banca del finanziere mafioso Michele Sindona.

E' Graziano Verzotto, senatore DC e dirigente Eni in Sicilia, che richiama Mattei in Sicilia a pochi giorni da un precedente viaggio sull'isola (il 20 ottobre).
È sempre Verzotto che telefona a Mattei parlandogli di un attentato ai Morane Saulnier, per dirottare gli aerei dell'ingegnere su Catania ritenuto più sicuro. Per consentire il sabotaggio a Fontanarossa, agevolando così il lavoro degli attentatori?
Verzotto accompagnò il pilota Bertuzzi nelle ultime ore (lo ha scoperto il giornalista Mauro De Mauro): Bertuzzi stava per diventare imprenditore, convinto anche da Verzotto. Stava lanciando l'Eni, per entrare in una compagnia aerea locale siciliana.
Verzotto telefona alla moglie del pilota, in tarda notte del 26 ottobre, chiedendole del marito. Perché?

Come Cefis e Guarrasi, Verzotto non è stato condannato in nessuna inchiesta della magistratura (né la prima, né l'ultima del pm Calia). Eppure rimane una figura enigmatica: le sue deposizioni di fronte ai magistrati sono state ritenute “un groviglio di «contraddizioni, incongruenze, palesi menzogne, ritrattazioni”.
Verzotto viene sentito due volte, ma muore il 12 giugno 2010, alla vigilia dell’ultima deposizione in aula.
È stato coinvolto anche nell'inchiesta sulla morte del giornalista Mauro De Mauro, che stava indagando sulle ultime ore in Sicilia di Mattei, per conto del regista Francesco Rosi.

Il giornalista scoprì che quel pomeriggio del 27 ottobre di 50 anni fa il Morane Saulnier dell’ente petrolifero di Stato venne sabotato a Fontanarossa grazie a due telefonate che attirarono il pilota Bertuzzi lontano dal suo aereo.

Verzotto fu accusato di essere uno dei mandanti dell'omicidio di Mattei, e inseguito avrebbe poi ordinato l’uccisione del giornalista Mauro De Mauro, ormai vicino alla verità sul delitto Bascapè, quel 16 settembre 1970.
Un assunto, quello dei magistrati, che “lega la borghesia mafiosa palermitana (e Verzotto), e le cosche «perdenti» di Bontate e Badalamenti alle famiglie mafiose catanesi, nissene e gelesi”.

Vito Guarrasi, mister X

La storia dell'avvocato Vito Guarrasi parte dall'armistizio di Cassibile del settembre 1943, dove Guarrasi in una celebre foto, è ritratto a fianco del generale Castellano. Per arrivare al governo di Milazzo, l'esperimento politico in cui in Sicilia si sperimentò una maggioranza, dove la Dc era all'opposizione, guidata “da Silvio Milazzo (ex Dc, poi fondatore dell’Unione siciliana cristiano sociale), appoggiata dalla mafia, finanziata dagli esattori Nino e Ignazio Salvo”.

Scrivono gli autori su di lui:
Vito Guarrasi, è considerato l’autore di tutte le norme economico-finanziarie della Sicilia [..]
l’eminenza grigia di governi regionali, accordi economici, leggi, società finanziarie[..]
È l’uomo che scrive materialmente le leggi che governano lo sviluppo.”
Guarrasi, vicino a Cefis
Il sodalizio tra Cefis e Guarrasi si salda alla fine degli anni Cinquanta durante l’operazione Milazzo”.

Siamo nel 1958: nel 1962, ai tempi del viaggio in Sicilia di Mattei, era presidente il Dc D'Angelo: secondo l'inchiesta, viene salvato dall'attentato (informandolo della bomba) dagli stessi fratelli Salvo, perché “D’Angelo era promotore in quel periodo del disegno di legge regionale di riordino del sistema esattoriale” che favoriva proprio loro. Gli uomini d'onore di Salina.

È Verzotto a parlare di Guarrasi ai magistrati:
“Ma che rapporto esiste tra Verzotto e Guarrasi? I due, depositari entrambi di inconfessabili e terribili segreti, sono legati da un ricatto reciproco
[..]
Verzotto è anche l’uomo chiave del delitto De Mauro
[..]
Verzotto è vicino a Mattei poche ore prima che il presidente dell’Eni venga assassinato
[..]
E Verzotto è tra i finanziatori del volume Questo è Cefis di Giorgio Steimetz”
Il complotto tutto italiano.
Nella sentenza di archiviazione il giudice Calia scrive di una attività occulta
“protrattasi nel tempo, prima per la preparazione ed esecuzione del delitto e poi per disinformare e depistare, [attività occulta che] non può essere ascritta esclusivamente a gruppi criminali economici, italiani o stranieri, a “sette (o singole) ” sorelle o servizi segreti di altri paesi, se non con l'appoggio e la fattiva collaborazione – cosciente, volontaria e continuata – di persone e strutture profondamente radicate nelle nostre istituzioni e nello stesso ente petrolifero dello Stato”.
Questa sentenza di archiviazione mette nero su bianco l'ipotesi del complotto, tutto italiano, all'interno delle istituzioni, per far fuori Mattei. Un complotto portato avanti da “persone e strutture profondamente radicate nelle nostre istituzioni e nello stesso ente petrolifero”. L’uccisione di Mattei potrebbe essere considerata (dopo la strage di Portella della Ginestra), il primo capitolo della strategia della tensione: Mattei era considerato un un rischio internazionale (per le sette sorelle), ma è soprattutto un pericolo per la stabilità italiana.
Quella stabilità per cui l'Italia non doveva conquistarsi una sua autonomia industriale, una sua sovranità politica piena, aprirsi economicamente ai paesi dell'est Europa o del terzo mondo (considerati come colonie da sfruttare), per cui non c'erano alternative ai governi Dc .

Il caso Mattei (come fu chiamato il bel film di Rosi) è un delitto che vede al centro il lato oscuro della nostra democrazia: la politica, l'oltranzismo atlantico (che sarebbe venuto fuori anche per la strage di Piazza Fontana) e la mafia come braccio armato. Per far sparire il giornalista De Mauro o per sabotare l'aero dell'ingegnere.

Oronzo Reale, esponente del Pri, ministro di Grazia, trovandosi un giorno di fronte alla nipote di Enrico Mattei, ebbe a dire: «Ah, la nipote di quello che fu fatto fuori da Girotti, Cefis, Fanfani».

Cefis fu l’ossessione di Pasolini, tanto da diventare, col nome di Troya, uno dei protagonisti di Petrolio. Il libro mai finito del poeta.

Il saggio di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza termina senza fare il nome di nessun mandante, sebbene la pista portata avanti indichi chiaramente chi furono i maggiori interessati alla fine di Mattei.
Enrico Mattei, Mauro De Mauro e infine Pier Paolo Pasolini: tre delitti sepolti dal tempo, su cui ancora c'è tanto da scoprire.

La scheda del libro sul sito di Chiarelettere.
Il link per ordinare l'e-book su ibs e su Amazon store.

L'ambito Colle

Domenica i giornali, a proposito del nuovo presidente della Repubblica, spiegavano che ora servirà un cattolico, per aprire ai moderati.
Mi domandavo, allora: ma Napolitano è ateo o di altra religione?
Oppure, ha avuto nel suo settennato un atteggiamento ostile nei confronti del Vaticano?
Quando tagliavano la scuola pubblica o la sanità pubblica, di fatto favorendo la sanità privata?
Quando veniva tolta l'IMU (o l'ICI) alla chiesa, c'è stato un qualche monito?

E dunque? Avercene di laici così ..


Il dopo Napolitano è un nodo complicato perchè deve rispondere alle esigenze di B. (come al solito): i governi passano (e questo, coi suoi presidenti di Camera e Senato, potrebbe durare poco) mentre i presidenti durano 7 anni.
Serve un uomo non ostile al dialogo con B., cattolico, liberale, magari vicino al centro destra (Dini, Letta, D'Alema, o anche Marini .. Dell'Utri no, purtroppo per altri, precedenti impegni).
Si dice che il conflitto di interessi non da da mangiare agli italiani.
Nemmeno questo totonomine.
Che segna, ancora una volta, la distanza tra palazzo e paese.
Ambito, anche nell'ottica di una riforma presidenziale del paese. Ma queste sono tutte ipotesi fantasiose. O no?

25 marzo 2013

A proposito di agenda digitale.


Questa è una storia vera: per la spending review, quest'anno l'Inps non invia più il Cud a casa.
Puoi stamparlo online, ma serve il PIN e per averlo devo comunque fare la fila.
Se lo vuoi ottenere per posta elettronica , devi avere la posta elettronica certificata. Per ottenere la posta elettronica certificata devi riempire un lungo modulo su internet.
Alla fine della compilazione, non banale e lunga, arrivi alla fine.
Ma per aprire la casella di posta, che serve per avere il Cud, devi comunque andare a fare la fila agli sportelli dell'Inps.

A che serve allora, tutta questa burocrazia?

Presa diretta: la meglio sanità


Questa sera difendiamo il vituperato sistema sanitario nazionale, perché costa meno ed è il migliore in Europa. Ma coi tagli lo stanno massacrando, e i privati sono in agguato”.
Siamo così abituati a vedere nero, nel sistema Italia, che a volte ci dimentichiamo delle eccellenze che pure ci sono: come la sanità in Emilia Romagna, una delle 7 regioni virtuose (un'altra è la Lombardia, ma con qualche scandalo giudiziario in più e con un modello diverso basato sulla sussidiarietà e i rimborsi). Tre invece sono le regioni in cui la sanità è in rosso: Calabria, Campania, Lazio. 

Prima di vedere l'eccellenza, Presa diretta è andata a vedere la “peggiosanità” in Calabria: una regione dove a parlare sono i numeri dei casi di malasanità. 
Un lungo e tragico elenco di persone che, per colpa di una cattiva politica sanitaria, sono morte o sono state costrette a lunghi e penosi sacrifici.
Lauretta Pugliese è morta dopo un intervento in una clinica convenzionata nel 2011 a Reggio Calabria. La figlia ha avuto la prontezza di denunciare subito quanto successo ai carabinieri, prima che gli infermieri spostassero il corpo: il tutto per colpa dell'anestesista che iniettò il doppio della dose necessaria.

L'avvocato della famiglia “c'è poco da stare tranquilli con la sanità calabrese, finché la politica continua a fare clientelismo e a nominare primari, crea un danno alla collettività di 30 anni, perché un primario lavora per 30 anni”.

Federica Monteleone è morta nel 2007 durante un black out mentre era sotto i ferri. Fu un caso che fece rumore: ma da allora poco è cambiato. I genitori di Federica hanno aperto un poliambulatorio in ricordo della figlia.
L'ospedale di Vibo è così com'era, non è in grado di erogare i servizi minimi, ma i medici di prima continuano ad operare senza problemi e altri, pur con delle condanne alle spalle, sono anche stati promossi in altre strutture.

Il 3/12/2007 nella stessa sala operatoria muore Eva Ruscio, per una operazione alle tonsille.
I genitori di Flavio Scintillà, morto nel 2007, sono costretti a pagare anche l'avvocato del medico che ha operato il figlio, pure condannati. Flavio aveva un ematoma al cervello, a Polistena non avevano strutture idonee per curarlo e si dovette trasportarlo a Reggio.
Mancano le ambulanze in queste zone, e quelle poche che ci sono vengono impegnate per trasportare feriti lievi.

Dopo questi casi di malasanità, Loiero, l'ex presidente della regione, promise la costruzione di 4 nuovi ospedali: i genitori dei ragazzi morti entrarono nel comitato etico.
Che fine han fatto i soldi, provenienti dal fondo della Protezione civile? E gli ospedali dove sono?

Il nuovo ospedale di Gioia Tauro è stato spostato nel comune di Palmi: l'avvocato Saccomanno ha spiegato alla giornalista che dietro c'erano gli interessi della cosca dei Fallico, che avrebbero acquistato i terreni agricoli (ma poi convertiti) su cui si doveva costruire il nuovo ospedale.
Di cui il governatore Scopelliti è commissario: i costi sono passati dai 57 ml del 2007, ai 130 ml del bando di gara.

E intanto il vecchio ospedale di Gioia Tauro è sempre lì: semi vuoto, gli ambulatori funzionano per pochi giorni, le infermiere in orario di lavoro vanno a fare la spesa, i medici vivacchiano perché, per un accordo sindacale, non possono essere spostati.

Tutt'altra musica a Polistena: hanno una struttura attrezzata per pochi giorni di degenza eppure non hanno alcun filtro in ingresso che smisti gli arrivi verso altre strutture più organizzate. Per colpa dell'assenza di coordinamento regionale, tra gli ospedali, se arriva un infartuato, ci rischia la pelle.
Qui ci sono 400 dipendenti, ma 80 hanno permessi per le cure di parenti malati. 
La TAC , che nel resto del paese è arrivata nel 1980, qui è arrivata nel 2008 e se si rimpe è un problema.

Quanti sono gli ospedali in Calabria? Sono 44 e cinque sono costruiti ma mai entrati in funzione. Lo ha raccontato il giornalista Flavio D'Elia, mostrando a Presa diretta la mappa di copertura degli ospedali sul territorio.

Copertura che non rispetta nessun criterio di efficienza: ci sono ospedali balneari a Tropea, zone sprovviste di strutture come sulla costa Ionica. Due ospedali a pochi km (Consigliano e Rossano).
Secondo il piano di rientro, dovrebbero chiuderne 17: per ognuno è sorto un comitato di protesta che si oppone.
Perché la regione, nel suo piano, chiude gli ospedali e basta: non li sostituisce con nulla. E le ambulanze? E gli elicotteri? E il coordinamento dei centri?

A Cetraro c'è un ospedale costruito negli anni degli sprechi: 25000 metri quadri, quasi deserto. È stato depotenziato, tutti i servizi sono stati spostati a Paola. Dove l'ospedale è stato costruito su un terreno che sta franando a valle.
Nessuno degli ospedali, in questa regione ad alto rischio, è antisismico.

Attilio Sabato nel libro “Codice rosso” ha raccolto tutti questi casi: come la politica calabrese ha distrutto il sistema sanitario. La malapolitica porta alla malasanità sulla pelle dei calabresi.
Dice il giornalista “la sanità è stata la Fiat della Calabria”: corsi inventati per assunzioni in cambio di voti, la criminalità che gestiva laboratori di analisi private, gli appalti per le costruzioni.

Il caso di Alessandro Desenzi
Alessandro è malato di Leucemia: per curarsi è dovuto andare fino a Roma, dove han dovuto affittare una camera per passare quasi un anno. Il tutto perché in Calabria non era possibile.
A Roma, si sono appoggiati anche alla Casa di Peter Pan, una struttura privata che accoglie i bambini malati di tumore. Non prendono soldi pubblici, ma la giunta Polverini, per il piano di rientro,voleva alzare l'affitto. Per fortuna, il neo governatore Zingaretti ha concesso l'uso del palazzo gratis.

Per colpa di questa inefficienza, di questa malasanità, 68000 calabresi ogni anno sono costretti ad emigrare per curarsi e questo costa 270 ml di euro nelle casse della regione, già in rosso. 

L'eccellenza in Emilia.
Il caso Emilia, che dovrebbe essere esportato in tutto il paese, è la dimostrazione che il pubblico è in grado di fare eccellenza nella sanità, coi conti in ordine. 

Lisa Iotti è partita dall'ospedale S Orsola di Bologna, che oggi è il centro di riferimento per tutti i trapianti, grazie all'equipe del dottor Pinna.
Qui, dove il 50% dei malati per trapianto di fegato viene da fuori regione, hanno la media di interventi più alta d'Italia ed è alta anche rispetto ai dati europei.
Qui vige il sistema rete: sono i medici a girare attorno al paziente, in un lavoro di gruppo che punta all'efficienza delle risorse pubbliche.

Come funziona questa efficienza? A Cesena, per prevenire le malattie cardiovascolari (e in generale tutte le malattie) l'Asl organizza delle passeggiate notturne di 10km dalla periferia al centro. Il dott. Palazzi che si è inventato questa camminata voleva far muovere i suoi pazienti. Tutto questo funziona: si prevengono le malattie e non si spendono soldi per le cure (perché si fa prevenzione). 
A Modena la Asl fa fare ginnastica nelle palestre: esercizi prescritti dal medico, anziché medicine. E l'esercizio funziona come farmaco, per i casi di diabete, i dati della sperimentazione sono buoni.
Come mai non si fa nelle altre regioni?

Il dottor Conconi è colui che pensò questo modello, dove i medici devono stare in mezzo alla gente, non al chiuso dei loro studi.
È sua l'idea di far muovere i pazienti per curarli: si sono risparmianti, nella Asl di Ferrara, 18 euro per ogni km percorso.
Perché è questo il punto: l'inattività fisica ha un costo, stimato in America in 710 miliardi di euro: sfruttando la ginnastica, le passeggiati si stima un risparmio di 60 miliardi di euro l'anno.
Ma forse ai politici conviene spendere soldi in medicine e convenzioni?

La casa della salute: a San Secondo Parmense il vecchio ospedale è stato trasformato nella casa della salute dall'Asl. Sembra di stare in un centro congressi: spazi luminosi, ambulatori per tutti gli esami, medici di famiglia presenti anche la sera. 
I tempi di attesa per le visite sono bassissimi, anzi, a volte è la stessa Asl che convoca le persone (che possono essere accompagnate dal taxi sociale): è il principio della medicina attiva che tende a prevenire le malattie. In questo modo non si intasano i pronto soccorsi (vi ricordate le scene penose di Roma).
I medici qui si sono messi in gioco per usare al meglio il bene comune, i soldi pubblici: il risultato è un risparmio per la Asl di Parma di 3-4 milioni di euro.
I medici in rete: i referti degli esami sono trasmessi in rete a tutti gli specialisti dell'Asl.
Ogni mese si organizzano gli incontri con la gente.
Le medicazioni a casa: sempre a carico della Asl sono le medicazioni a casa per i 100000 pazienti.

L'Emilia è la regione che più ha investito nella sanità sul territorio, l'assistenza domiciliare.

A Forlì c'è il laboratorio d'analisi, unico per la regione, più grande d'Europa. Grazie alla centralizzazione, si sono potute comprare le macchine d'avanguardia, si sono ottimizzati i costi e si è raggiunta una maggiore competenza sulle analisi, grazie ai volumi gestiti.

Sono queste le ragioni che hanno portato ad avere i conti in ordine: meno spesa per gli ospedali e più sul territorio. Qui la gente si ricovera solo quando serve.

Anche l'ospedale di Forlì è di eccellenza: ogni cosa è pensata per ottimizzare i costi e diminuire i rischi. Dalla macchina che fa le monodosi per i ricoverati, ai braccialetti al polso delle persone, grazie a cui tutto viene tracciato sui sistemi informatici.
Perfino la gestione dei camici del personale: ognuno ha un microchip che indica quando è stato indossato e quando lavato. Nulla è lasciato al caso.
Niente sprechi di medicinali, nei lavaggi dei camici: sono soldi risparmiati che possono poi essere investiti in altre maniere.
Sempre in nome del bene pubblico: l'eccellenza il risultato di valori condivisi, dal portantino al primario. Un modello che è stato costruito negli anni, dal 1980.


Un modello a rischio, però. Il presidente Errani ha lanciato ieri il suo grido d'allarme:

l governatore: "se tu mi fai un taglio lineare chi è più virtuoso è quello che subisce il colpo più pesante. I conti della sanità dell'Emilia Romagna rischiano sotto i colpi dei tagli del governo Monti! In Italia sulla sanità non è affatto vero che si spende molto, si spende troppo poco, bisogna rifinanziare il sistema sanitario nazionale, proprio l'opposto di quello che ha fatto il governo. Bisogna governare il sistema sanitario, chi sbaglia nel governo della sanità deve risponderne, ma il diritto alla sanità e al sistema universalistico in questo Paese non si può e non si deve toccare."