03 settembre 2012

La bella del Chiaravalle di Dario Crapanzano

La bella del Chiaravalle. Milano, 1952


La bella del Chiaravalle si chiama, anzi si chiamava Carolina Marchesetti, in arte Lina. In arte perché, sebbene cercasse di tenere la cosa nascosta ai parenti, Carolina esercitava il mestiere più antico del mondo. A Milano, alla casa chiusa del Chiaravalle e anche in altre città del nord.
Molto bella e dunque molto richiesta dai clienti, ma anche molto sfortunata: giovane vedova, per la morte del marito, partigiano ucciso dai tedeschi durante la guerra. Per sfuggire alla miseria e allo sfruttamento del lavoro di mondina, decise di usare la sua avvenenza e il fascino sugli uomini.
Fino al 7 maggio 1952, quando suo zio Attilio, operaio della Marelli, la trova morta rincasando dal turno di notte. 

È il commissario capo Mario Arrigoni, del commissariato di Porta Venezia a Milano, che deve seguire il caso, assieme alla sua squadra (che già abbiamo conosciuto nel precedente romanzo, “Il giallo di via Tadino”): il vice Mastrantonio e l'agente Di Pasquale.

Ed è una indagine molto particolare, che ruota attorno alla professione svolta dalla morta: dentro i “casini”, i luoghi dove le prostitute esercitavano legalmente (dal 1860, quando furono introdotti da Cavour) quel mestiere. In questo mondo Arrigoni deve svolgere le sue indagini, fare le sue domande, trovare i perchè alle sue domande. Le solite che ci si pone di fronte ad un omicidio: chi può averla uccisa? Per quale motivo?

Dentro il casino di Chiaravalle il commissario ha modo di incontrare maitresse con pochi scrupoli, magnaccia (o protettori) con troppo gioielli addosso e un'aria da criminale e soprattutto le altre colleghe della Lina. Che era molto bella e suscitava invidie, sia per i riguardi che riceveva dal padrone della casa, sia perchè era molto richiesta dai clienti (che incontrava anche fuori).
Clienti, su cui giocoforza deve allargarsi l'indagine, tra i quali compaiono avvocati, assicuratori e anche semplici impiegati. Tutti sedotti dal fascino della ragazza morta, per cui erano disposti a spendere un piccolo patrimonio, per comprarne la compagnia.
E' stato uno di loro ad ucciderla? Un amante respinto, un cliente? Potrebbe essere perfino lo zio Attilio, che con la Lina aveva un atteggiamento “morboso”.

Tra le colleghe, Arrigoni ha modo di conoscere la Veronica, molto amica della Lina, che lo indirizza sul suo ultimo fidanzato, Angelo Gatti. Anche lei una bella donna, che sa usare bene il suo fascino sugli uomini: persino il commissario rimane turbato dalla sottile seduzione che questa mette in atto nei suoi confronti.

L'indagine è l'occasione per mostrare la Milano dei primi anni del dopoguerra: le macerie nei quartieri le case distrutte, testimoniano le ferite che la guerra ha lasciato.
Un certo benessere inizia a girare, specialmente a riguardo di quello che gli italiani possono permettersi di mettere a tavola. Nelle case degli italiani iniziano a comparire quegli elettrodomestici che oggi ci sono così familiari (come il frigorifero); per le strade di Milano girano i tram (il metrò ancora non è stato inaugurato), i milanesi usano molto le bici per spostarsi e infine i Navigli sono ancora lì, scoperti.

È la Milano delle botteghe, delle osterie dove magiare un sanguis (traduzione dall'inglese sandwich) e bere un bicchiere di vino. Dei caseggiati popolari, dove vivevano assieme l'operaio e il professionista.
E dove erano ancora aperte le “case chiuse”, dove dietro l'apparenza di sensualità, seduzione, erotismo a pagamento, si nascondevano sfruttamento, tristezza, invidie e amicizie.

Il secondo romanzo di Crapanzano, conferma quanto di buono avevo trovato nel primo: l'umanità del personaggio (possiamo definirlo il Maigret meneghino?), la bella ricostruzione della Milano degli anni '50, il far convivere nelle stesse pagine sia il lato professionale del protagonista, ma anche quello personale (la moglie più giovane, la figlia), raccontate dall'io narrante che è un po' la voce della coscienza del commissario capo Mario Arrigoni.


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