12 marzo 2012

Presadiretta – da Fukushima all'Italia, il futuro energetico (e non solo)


Meno male che Presa diretta c'è, verrebbe da dire: una delle poche trasmissioni che, ha ricordato l'anniversario del tragico terremoto di Fukushima, portando le telecamere là dove è successa la catastrofe (che, è bene ricordarlo, è frutto di un evento imprevedibile, ma anche dell'incapacità della Tepco, che non aveva nemmeno un piano per affrontare queste situazioni) .

Alessandro Libbri (il giornalista che ha girato il servizio), dopo un anno, ha mostrato quale è la situazione: nel raggio di 10 km dai reattori esplosi, c'è il vuoto, il deserto.

In questa zona la radiazione nell'aria è ancora alta: case vuote, paesi svuotati, animali lasciati allo stato brado o lasciati morire nelle stalle.

In questa fascia non è stata fatta ancora alcuna bonifica (e chissà quando verrà fatta, se non rimarrà sempre per sempre un deserto).

Le persone sono state spostate in prefabbricati, dopo un periodo di qualche settimana dentro i tendoni: la gente (bambini, adulti e anziani), è costretta a passare le giornate al chiuso, senza poter fare nulla.
E inizia anche ad avere paura: chi rimane in questa prefettura, è solo perchè ha qui il lavoro e non se può andare più lontano: “è come se ci avessero abbandonato .. dall'incidente, delle radiazioni non se ne parla più, è sceso il silenzio”.

Il sindaco di Minamisoma , intervistato, racconta che “non ho ricevuto avuto alcuna informazione dalla Tepco [prima dell'incidente], mi hanno contattato la prima volta 11 giorni dopo l'incidente”.
Qui è stato il comune ad aver pagato di tasca propria le bonifiche, e, ad un anno dal terremoto ancora nessun soldo dal governo.
A sentire queste storie, viene in mente l'Aquila, col centro storico congelato alle 3.37 di notte, e la paura delle persone di non poter più tornare nelle loro vecchie case.

E altri problemi verranno fuori adesso: i disturbi psichici per il trauma subito si faranno sentire ora, nell'anniversario. L'ansia e la paura per quanto è successo, per il futuro, per i figli.
Non sappiamo nemmeno quanti soldi serviranno per la bonifica: uno studio di greenpeace parla di 500-650 miliardi di dollari, ma sono solo ipotesi.


E in Italia? Abbiamo detto no due volte al nucleare, alla faccia del partito del si alle centrali (parente stretto del partito del si alle grandi opere). Ma a che punto siamo con le rinnovabili?

Presadiretta ha sfatato un primo luogo comune: la nostra dipendenza dal nucleare è, rispetto alle altre energie, molto bassa.
Inoltre, secondo gli studi del professor Armaroli del CNR di Bologna, con le energie rinnovabili possiamo farcela a coprire tutto il fabbisogno.
Basterebbe, se volessimo sostenere il 100% dell'energia col fotovoltaico “pannellare” tutta la provincia di Piacenza (e non tutta la pianura Padana, come si sente dire).
Il che, tradotto in termini pratici, significa che si iniziassero a sfruttare i tetti delle aree industriali, anche quelle dismesse e che oggi magari vengono riqualificate a colpi di tangenti per fare alberghi e centri commerciali, saremmo già a buon punto.

È quello che hanno fatto a Castelgugliemo, a Rovigo.
A Casalecchio di Reno, il comune mette in affitto i pannelli solari, inventandosi una “comunità solare”, per cui un cittadino può affittarsi il pannello e questi soldi finiscono in un fondo usato per comprare altri pannelli.
L'obiettivo del comune non è solo l'acqua, ma anche il riscaldamento, per abbattere ancora di più i consumi dai derivati del petrolio.


Perchè la riduzione dei consumi di petrolio e dei gas, passa anche per la costruzione di case a basso impatto termico: impianti di cogenerazione che raffreddano le case d'estate e la riscaldano di inverno. Muri coibentati per non far sfuggire nessun spiffero.
A Ravenna hanno costruito una classe di modello A, dove si risparmia dal 20-25 % sui consumi per il riscaldamento.
A Dovadola (Forlì) una coppia mostrava alla giornalista di Presadiretta la propria casa, di 160 metri quadri, con riscaldamento a pavimento. Questa casa, progettata e costruita da imprese del posto, è costata 1400 euro al metro quadro, in 8 mesi.


Si può fare, dunque: spingere (o costringere) chi costruisce da zero, a seguire certi criteri di nuova concezione. Costa un po' di più, forse all'inizio, ma è un risparmio per il futuro.
Così come si potrebbe spingere per la ristrutturazione delle case vecchie, per renderle meno “spendaccione”: doppi vetri, muri coibentati, pannelli solari.
Si creerebbe un nuovo mercato, per le case a basso consumo, si darebbe un impulso per queste imprese edilizie (se lo stesse ci mettesse degli incentivi), e si riuscirebbe a risparmiare sul fabbisogno energetico nazionale (altro che rigassificatori e centrali).

Ma per tutto questo servirebbe una politica capace di guardare al futuro, alle piccole opere utili, piuttosto che alle grandi opere, che sì creano lavoro. Ma poi?

Meglio continuare a costruire come si è sempre fatto, allora. Se lo scopo è quello di spendere di più, consumare di più, risparmiare sui costi di costruzione.

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