29 gennaio 2012

Se questo è un uomo di Primo Levi

Il 27 gennaio 1945 l'esercito russo entrava nei cancelli del campo di concentramento di Auschwitz: i tedeschi avevano lasciato già il campo 10 giorni prima abbandonando i pochi detenuti ebrei al loro destino.
Tra questi, pochi e fortunati, lasciati vivi non per merito o capacità ma anche per fortuna o destino,  Primo Levi. Che era stato catturato per la delazione di un italiano e consegnato agli aguzzini nazifascisti nel dicembre 1943: passando prima per il campo di Fossoli, Levi arrivò nel lager di Auschwitz Monowitz, lager satellite del complesso di Auschwitz e sede dell'impianto Buna-Werke, nel marzo 1944, varcando in una notte gelida il cancello con la scritta “Arbeit macht frei”.

Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,

Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.

Se questo è un uomo” è il racconto della sua detenzione, della sua discesa agli inferi, del suo non essere più uomo: un non-uomo in mezzo ad altri non uomini. Un Haftling senza più nome, ma un numero 174.517, da imparare in fretta per pronunciarlo di fronte alle guardie e ai kapos, pena botte e bastonate. 
Che soffre qualcosa che non può essere nemmeno definito “fame”, “freddo”, “paura”: non ci sono parole per descrivere quello che quotidianamente, per mesi e mesi, dall'inverno alla primavera all'estate fino al nuovo inverno, Primo Levi ha visto e documentato qui.

Un viaggio nell'inferno (quello Dantesco, spesso citato nel libro, come il canto di Ulisse) che la mente umana fa fatica a comprendere: un inferno in cui la differenza tra la vita e la morte la fa il caso, il capriccio di un SS che non ti seleziona per il “camino”, il destino che ti consegna ad un incarico meno gravoso (come capitato a Levi, appunto, finito nel laboratorio chimico del dottor Pannwitz col Kommando 98, perchè laureato in chimica) rispetto a quello assegnato ad un altro compagno. Spostare tubi di acciaio nel fango, sotto la neve e il vento gelido dei Carpazi.

Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.
Pagina 29

Un inferno in cui ogni non essere del campo doveva imparare subito la legge del campo: non fare domande, mettersi nella posizione giusta nella fila per la zuppa, difendere con le unghie tutti i beni di cui si è in possesso, guardarsi dal vicino che alla minima disattenzione potrebbe rubarti la gamella, il cucchiaio, il pezzo di pane che ti sei tenuto nascosto.
Come tutti quelli che sono riusciti a sopravvivere, anche Levi imparò la parola “organisacja”, il traffico illegale di merce da e fuori il campo, l'unico modo che aveva una non persona di sopravvivere alla non vita del campo. Sempre che uno avesse voglia di sopravvivere: quanti ne ha visti, Levi, di non uomini che si lasciavano morire nella fatica del lavoro quotidiano.

Distruggere l'uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice.
E infine, si sa che sono qui di passaggio, e fra qualche settimana non ne rimarrà che un pugno di cenere in qualche campo non lontano, e su un registro un numero di matricola spuntato. Benché inglobati e trascinati senza requie dalla folla innumerevole dei loro consimili, essi soffrono e si trascinano in una opaca intima solitudine, e in solitudine muoiono o scompaiono, senza lasciar traccia nella memoria di nessuno.
Pag 188

Un inferno in cui, come in quello dantesco popolato da diavoli delle Malebolge, anche tra i detenuti ci sono caste, la gerarchia delle Prominenze: ci sono i detenuti per reati comuni, le stelle verdi, con incarichi di Kapo e capo baracca, i detenuti politici con la stella rossa e infine gli ebrei, con la stella gialla.
E anche tra questi ultimi, i “sommersi e i salvati”, come li chiama l'autore. I sommersi: quelli morti nel campo senza lasciar traccia (senza nessun ricordo dietro, che la memoria è bandita nel campo)

La loro vita è breve ma il loro numero sterminato; sono loro, i Musulmänner, i sommersi, il nerbo del campo; loro, la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, dei non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente. Si esita a chiamarli vivi: si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono troppo stanchi per comprenderla.
La persuasione che la vita ha uno scopo è radicata in ogni fibra di uomo, è una proprietà della sostanza umana.
Pag 113

E i salvati: quelli che seppero adottare diverse strategie per riuscire a sopravvivere. 
L'arte dell'ingegno e dell'astuzia, anche denunciando altri compagni pur di prenderne posto o un premio.
Curando l'aspetto in modo da essere considerati diversi e superiori dalla massa degli altri.
Tra i salvati anche quelli cui il fisico forte rendeva indistruttibili alle fatiche del lavoro e quanti sapevano usare la pietà come arma, per circuire i prigionieri di guerra inglesi (che vivevano in condizioni nettamente migliori).

Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

Non c'è desiderio di vendetta, nelle pagine di questo libro, dove l'aspetto più sorprendente  forse   è l'amarezza di fondo, il pessimismo del dover vivere senza poter pensare che all'oggi quotidiano, a come sopportare il freddo e il vento, a come sfuggire le fatiche (gli stratagemmi per recuperare del cibo).
La psicologia del non-uomo, abbruttito costretti a non-vivere secondo regole complesse e incomprensibili:l'assenza di pietà, se non in poche e fidate persone, la necessità di non potersi curare degli altri e per entrare nel gruppo dei privilegiati che, dentro questo inferno, riusciranno a vedere il domani.
Purtroppo, questo è stato.

Le citazioni del libro sono state prese da Wikiquote.
Il link per ordinare il libro su ibs.
La scheda del libro dell'ultima edizione Einaudi.
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