13 novembre 2011

Le riforme a costo zero di Tito Boeri, Pietro Garibaldi (1 parte)

I due economisti de Lavoce.info fanno la loro proposta per rilanciare la crescita del paese: 10 riforme a costo zero per le casse dello stato. Dalla formazione alle pensioni, al mondo del lavoro, le professioni, il sostegno all'occupazione femminile (cose che ci chiede, tra l'altro l'Europa).
Non tutte queste riforme sono a costo zero per alcune fasce di italiani: molte vanno proprio ad intaccare quelle posizioni di rendita che rendono l'Italia un paese poco liberale e aperto alla concorrenza.
Perchè la politica non prova a prenderle in considerazione una per una e a metterle in agenda?
Dire che non ci sono soldi per fare le riforme e che l'importante è tenere la bara dritta e aspettare la fine della crisi finanziaria (quello che ha fatto Tremonti e questo governo ormai al termine) è sbagliato: la crisi non è finita e ha spazzato via migliaia di posti di lavoro, le multinazionali hanno chiuso le fabbriche (la Whirlpool, Sanofi Aventis, la Yamaha, ma anche Fiat ), le famiglie hanno visti intaccati i propri risparmi magari per aiutare i figli in cerca di un posto di lavoro (o con un lavoro saltuario ma insufficiente a dare indipendenza). L'assenza di una programmazione economica della classe dirigente (i politici, ma anche i manager delle imprese, i banchieri, gli amministratori .. spesso indistinguibili gli uni dagli altri) ha portato il paese in questa drammatica situazione, dove le strade diventano teatro di drammatiche proteste di cassaintegrati, di studenti. Di citadini persone.

Non è vero che l'unica strada sono i tagli alle pensioni, al welfare, agli stipendi, i licenziamenti facili e i contratti precari.
Esistono altre strade, vediamo quali:
le 10 proposte di Tito Boeri e Pietro Garibaldi (molte con l'aiuto dei lettori del sito Lavoce.info).
  • Il governo dell'immigrazione. 
  • La transizione tra scuola e lavoro.
  • La contrattazione salariale e l'introduzione del salario minimo.
  • La macchina dello Stato e gli incentivi dei dipendenti pubblici.
  • La riforma del lavoro autonomo e degli ordini professionali
  • Incoraggiare il lavoro di più persone nella stessa famiglia
  •  L'intersezione fra mercato del lavoro e mercati finanziari.
  • La selezione della classe politica.
  • La costruzione di una costituency, un partito a favore delle riforme.
Il governo dell'immigrazione.
"È opportuno ripensare radicalmente le nostre politiche dell'immigrazione, che devono essere differenziate per livello di istruzione." pagina 20- 21
Rendere più semplice l'arrivo in Italia di immigrati con un buon profilo di istruzione: facilitare la ricerca del lavoro, il poter girare per l'area Shengen (per esempio per i ricercatori con un dottorato), l'ottenimento di un permesso senza troppe trafile burocratiche.
Gli immigrati con un livello di istruzione più alto sono quelli più disposti degli altri ad integrarsi nel paese, ad accettare la mobilità per la ricerca di un posto di lavoro.
In cambio di un cauzione all'ingresso nel nostro paese (soldi che oggi vengono dati agli scafisti e alle organizzazioni criminali che trafficano in esseri umani), otterrebbero un permesso temporaneo nel paese. Cauzione che verrebbe restituita se dovessero andare via e che verrebbe confiscata nel caso commettessero reati.
Significa andare oltre la Bossi Fini (che non aiuta la ricerca del lavoro per chi arriva da fuori): dovremmo garantire loro meno “bureaucrazy”, l'accesso ai concorsi pubblici. Anziché spendere milioni per pattugliare le coste (a volte inutilmente) dovremmo investire nei controlli sui posti del lavoro, per contrastare sia il lavoro nero, che l'immigrazione clandestina.

La transizione tra scuola e lavoro.
"Una riforma a costo zero per le casse dello Stato è quella di introdurre la formazione tecnica universitaria sul modello delle scuole di specializzazione tedesche." pagina 37-38
Boeri e Garibaldi prevedono la creazione di scuole di apprendistato universitario per i giovani che, finite le scuole, non sono alla ricerca del posto del lavoro né studiano. O perchè scoraggiati, o perchè non riescono a trovarne uno.
Sullo stile delle
fachhochschuletedesche, il triennio di corsi, organizzato dagli atenei italiani in contatto con le imprese della zona, garantirebbe a questi giovani una formazione aggiuntiva, un primo ingresso nel mondo del lavoro (senza obbligo di assunzione per le imprese, ovviamente), perchè verrebbero assunto con contratto di apprendistato (e questo si lega all'altra proposta di Boeri, il Contratto unico di inserimento).
Si riuscirebbe a colmare due lacune: la scarsa formazione nel mondo del lavoro (le imprese italiane investono poco) e le troppe università italiane che non hanno sufficiente massa critica per fare ricerca.


La contrattazione salariale e l'introduzione del salario minimo.

Seguire la strada dell'accordo del 28 giugno 2011
tra tutti i sindacati e Confindustria: favorire il decentramento degli accordi locali tra imprese e sindacati aziendali, anche sul tema dei salari minimi aziendali, che diventerebbero salari federali.
Garantire l'esigibilità dei contratti da parte delle imprese, che devono essere garantite prima dei loro investimenti.
Ma il punto di vista di Boeri è l'opposto di quello del ministro Sacconi: la politica non deve derogare a terze parti sugli aspetti fondamentali (come fa Sacconi su licenziamenti e incentivi e salari), ma bensì tracciare delle linee comuni che devono essere garantite.
Lo stato dovrebbe fare una legge nazionale, dopo che si è fatto questo importante accordo, sulla rappresentanza sindacale, sul salario minimo garantito (per non portare ad una involuzione verso il basso nei contratti locali), sui licenziamenti e sulla previdenza.
Altro che articolo 8, che si presta a troppe interpretazioni: il ministro dovrebbe prendersi le sue responsabilità.

La macchina dello Stato e gli incentivi dei dipendenti pubblici.
Andare oltre la riforma Brunetta (che, dicono gli autori, ha almeno avuto il coraggio di riformarla la pubblica amministrazione): legare gli incentivi alle performance e agli obiettivi degli uffici.
Ma a valutarli devono essere i dirigenti, non enti terzi che (almeno sulla carta) dovrebbero essere esterni alla amministrazione (dunque altra burocrazia).
I dirigenti, come anche gli amministratori e i politici non devono essere deresponsabilizzati nel proprio lavoro, semplici burocrati che eseguono solo ordini.
Così come è stata pensata, la riforma ha un taglio centralista (dal governo del federalismo!), impone a priori il 100% del premio ad un quarto del personale, ad un altro quarto non venga dato nulla e il restante 50% la metà. Invece si devono impostare gli incentivi e i premi in modo piramidale (non i singoli lavoratori), dove i responsabili degli uffici sono gli unici a poter valutare le persone.
Gli obiettivi da raggiungere devono essere noti e trasparenti, e misurabili. Premi che poi devono essere legati alle carriere per impedire promozioni generalizzate.

Il sito degli autori, Lavoce.info
La scheda del libro sul sito di Chiarelettere.
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