28 agosto 2011

Il quarto livello di Maurizio Torrealta

Nell'ottobre 1990 Vito Ciancimino si spedisce una cartolina con un elenco di nominativi (uno di questo scritto con altra calligrafia): sono alti esponenti dei servizi, ministri della repubblica, vertici della polizia, un generale dei carabinieri.

Avrebbero fatto parte di quel “Quarto livello”, ovvero quella struttura (all'interno dei servizi, nell'alto commissariato di lotta alla mafia, nella polizia) che negli anni ha mantenuto i rapporti di pacifica convivenza con Cosa Nostra, perchè questa garantiva, per questo gruppo ristretto di potere, il controllo del territorio.
Il tutto sarebbe nato, sempre secondo la testimonianza riportata dal figlio di don Vito, Massimo Ciancimino, nei primi anni 70, con la strage di viale Lazio da parte dei corleonesi di Totò Riina (quando iniziarono la loro discesa verso Palermo) e col Golpe Borghese del dicembre 1970 (cui venne chiesto anche a Cosa Nostra di partecipare).

Qualcuno a Roma, chiese a Vito Ciancimino di fare da tramite tra questa struttura, il “Quarto livello”, e la mafia.

Prima di andare avanti, con i nomi di queste persone, è bene ricordare quanto dice il magistrato Antonio Ingroia nella prefazione: le sue perplessità (le stesse che aveva il giudice Falcone nei confronti del “terzo livello”) nei confronti di una subordinazione della cosiddetta mafia militare nei confronti della “borghesia mafiosa”, ovvero Riina e Provenzano non sarebbero mai stati braccio armato al servizio di altri poteri. La seconda perplessità riguarda il fatto che le indagini a riguardo di questa documentazione (la cartolina oggi in fotocopia, come anche il famoso “papello”) sono ancora in corso; le ricostruzione e le ipotesi su questa struttura poi derivano dalle rivelazioni di Massimo Ciancimino, e non c'è modo di sapere in che modo il padre fondasse queste sue convinzioni sulle persone nominate.

Chiarito questo, il lavoro di Torrealta è stato quello di prendere in considerazione la carriera, i processi, le indagini e le condanne delle persone citate nella cartolina, per gettare un po' di luce su quella zona grigia degli apparati dello stato, il cui operato dovrebbe essere di contrasto alla criminalità organizzata, ai nemici dello Stato e della democrazia.

E che invece, negli anni, è stato spesso caratterizzato da scandali, segreti di stato, omissis, se non addirittura da veri e propri atti contrari alla nostra Costituzione.
Una vera democrazia, conclude Ingroia, non può permettersi di distinguere un “ragione di stato” (che deriva dagli stati assolutistici) e una “ragione di giustizia” (che deriva dalle leggi che ci siamo dati).

Ed è stata proprio questa proliferazione di queste ragioni di stato, tirate fuori a copertura di episodi gravi nella nostra storia (la strage di Portella della Ginestra, la strage di Piazza Fontana e le altre degli anni di Piombo, il dossieraggio del Sifar, il rapimento di Aldo Moro), a far si che la nostra storia passata (che condiziona però il nostro presente) sia piena di “misteri”.
A far si che ogni tanto, dalle inchieste della magistratura (quando questa veniva lasciata lavorare, quando le inchieste non finivano insabbiate in qualche “porto delle nebbie”), emergesse qualche struttura apparentemente legata ai servizi, ma in qualche modo sovrapposta e con compiti poco chiari.
L'ufficio affari riservati del Viminale, Gladio (e tutto il mondo che questa struttura della Nato aveva dietro), l'Anello (di cui Stefania Limiti ha scritto un bel libro).

E infine i servizi veri e propri:
riformati e ristrutturati in Italia ogni volta che era scoppiato uno scandalo sui giornali. Il Sifar di de Lorenzo, il Sid di Vito Miceli, l'UAARR di Federico Umberto D'Amato. E poi l'alto commissariato per la lotta alla mafia (che Ciancimino chiamava invece commissariato per la pacifica convivenza), infine il Sismi di Santovito (e Pazienza, entrambi iscritti alla loggia P2) e il Sisde di Contrada e Narracci, passato alle cronache più per lo scandalo dei fondi neri, scoppiato alla fine della prima repubblica, che per le sue attività anticrimine.

Ecco allora che questo libro, nella sua carrellata di fatti e personaggi, serve a coprire questi buchi neri nella storia del nostro paese, raccontando non della mafia militare, ma della “convergenza” (come l'ha anche chiamata il professor Nando Dalla Chiesa nel suo libro) di interessi tra parte della politica, di persone inserite nelle istituzioni, col potere mafioso, con la borghesia mafiosa (uomini politici, imprenditori, funzionari statali).

Una convergenza cresciuta all'ombra dei depistaggi, delle intimidazioni e delle stragi, delle trattative tra stato e mafia (di cui è bene che si parli, che non resti un tabù da nascondere), inquinato prove, corrotto e ricattato pezzi dello stesso stato (“io non ci sto”, come disse l'ex presidente Scalfaro in quel discorso del 1993).

La lista:
Attilio Ruffini, ministro DC della difesa dal 1977 al 1978.
Franco Restivo, ministro DC degli interni dal 1968 al 1972, della difesa dal 1972 al 1976.
Giuseppe Santovito, capo del Sismi dal 1978 al 1981. Iscritto alla loggia P2, condannato per i depistaggi sulla strage alla stazione di Bologna.
Domenico Sica, pm presso la procura di Roma (“asso pigliatutto”), poi dal 1988 al 1991 a capo dell'alto commissariato per la lotta alla mafia (che è stata poi trasformata nella Dia).
Emanuele De Franesco, direttore del Sisde (dall'81 all'84) e in seguito a capo dell'alto commissariato per la lotta alla mafia (creato da Spadolini dopo l'omicidio Dalla Chiesa nel 1982). Sotto la sua direzione, fece carriera Bruno Contrada.
Riccardo Malpica: direttore del Sisde da 1987 al 1991. Coinvolto nello scandalo dei fondi neri del Sisde (il Sisdegate).
Lorenzo Narracci: al Sisde dal 1987 al 1991 per la ricerca dei latitanti, dal 1991, presso il centro di Palermo. In un pizzino trovato a Capaci compare il suo numero di cellulare (“guasto numero 2”).
Angelo Finocchiaro, dal 09/91 al 08/92 all'alto commissariato per la lotta alla mafia. Direttore del Sisde dal 1992 al 1993. Coinvolto anche lui nel Sisdegate.
Francesco Delfino: generale dei carabinieri, si dice anche agente della Cia. Seguì le prime indagini sulla strage di Piazza della Loggia e su altri casi degli anni di piombo. Nell'ultimo processo a Brescia per la strage, è stato assolto dalle responsabilità imputate.
Arnaldo La Barbera: nel 1993 fa parte del gruppo speciale per la cattura degli assassini di Falcone e Borsellino, arrivando alla falsa pista di Scarantino. Coinvolto nel 2001 nelle violenze della Diaz.
Michele Finocchi: capo di gabinetto di Malpica al Sisde nel 1987, che lascia nel 1991, coinvolto nel caso Sidegate.
Vincenzo Parisi: vicedir. Sisde dal 1980 al 1985, nel 1987 capo della Polizia; dopo l'arresto di Bruno Contrada, ne prese le difese.
Gross/De Gennaro: secondo Massimo Ciancimino, sarebbe l'ex capo della Polizia Gianni De Gennaro dietro la figura di Gross (Carlo o Franco), la persona che il padre incontrava, come tramite dello stato coi corleonesi.
Non solo è tutto da verificare quanto dice Massimo Ciancimino, ma se così fosse, non tornerebbero le date del suo racconto. Ho il timore che Gross potrebbe essere un po' come il “grande vecchio” degli anni di piombo.
Bruno Contrada, capo della Squadra Mobile di Palermo, poi alla criminalpol e infine al Sisde. Arrestato e condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

I capitoli trasversali.
Alcuni fatto attraversano trasversalmente i capitoli del libro. Le stragi degli anni di piombo, Gladio, i tentativi di Golpe.
E infine il Sisdegate: cosa è stato, lo racconta Torrealta nell'intervista sul sito di Grillo:

Nel libro prima segnalavo che emergevano in queste 12 persone delle cordate precise, una è quella dell’alto commissariato, del doppio ruolo che aveva l’alto commissariato, c’è una seconda cordata che emerge ed è quella del cosiddetto "SisdeGate". Il SisdeGate è uno strano caso scoppiato proprio nel 1993, l’anno peggiore, l’anno delle bombe, che oggi possiamo definire l’anno della trattativa, prima non eravamo a conoscenza della trattativa più dura tra Stato e Costa Nostra. In quell’anno vengono scoperti alcuni 007 del Sisde che avevano un ammontare piuttosto forte di capitali di dubbia provenienza, si trattava più o meno di 100 miliardi di lire di quei tempi e che in realtà non risultavano fossero parte dei cosiddetti fondi neri del Sisde. I fondi neri del Sisde sono dei fondi utilizzati senza rendicontazione per operazioni sporche di vario genere, all’inizio si chiamava lo scandalo dei fondi neri del Sisde perché hanno cercato di farli passare come fondi neri del Sisde, ma in realtà erano soldi che non avevano quella provenienza. È curioso che, in quel momento particolare i nostri servizi invece di essere impegnati nel rafforzamento dello Stato che era in grave difficoltà, fossero invece coinvolti in una lotta senza quartiere con altre correnti interne, tant’è che il famoso discorso del Presidente il Scalfaro: “Io non ci sto” fatto proprio il 4 novembre del 1993 era indirizzato a delle accuse che provenivano dagli 007 di allora, che lo accusavano di godere di fondi riservati ingiustificatamente.

Lo scandalo dei fondi neri del Sisde è un buco nero che nessuno vuole affrontare perché farebbe emergere delle complicità e delle finalità dei nostri servizi, indicibili. A cosa servivano quei 100 miliardi? Chi li avrebbe dovuti utilizzare? Per quali motivi? Da dove provenivano? Sono tutte domande che ancora non trovano risposta e credo che non sia un problema giudiziario perché i processi sui fondi neri ci sono stati, il problema è un problema politico e dovrebbe essere affrontato dall’unico organismo che può fare questo che è la Commissione parlamentare sulla mafia, sarebbe utile che si riscrivesse anche questa parte di storia del nostro paese che è ancora così misteriosa.

La lettura del libro fa sorgere molte domande: è esistita veramente un'entità superiore, dentro lo Stato, ma che rispondeva non alla “ragione della giustizia” ma a logiche di potere criminale che ha influenzato la politica italiana, magari rispondendo ad input oltreoceano (sia negli anni della cortina di ferro che dopo, nel passaggio prima a seconda repubblica)? Che ha usato la mafia come leva per la sua economia criminale al servizio di una strategia politica internazionale, per spostare soldi da investire in zone da destabilizzare o stabilizzare (Massimo Ciancimino si riferisce agli investimenti della Cia a Sharm El Sheik, in Egitto)? Parliamo dello Ior e del Vaticano, di Michele Sindona e Roberto Calvi.

E poi, che fine hanno fatto queste strutture nascoste nelle pieghe dello stato, UAARR, Gladio, Anello .. sono tutte state smantellate? O forse han solo cambiato nome, come sembrerebbe dai casi dei dossier di Pio Pompa nel sismi di Pollari?

Che succederà nell'Italia di oggi, con una classe politica alle prese con la crisi nazionale e internazionale, con scandali e inchieste, con storie di ricatti e corruzioni.
Siamo alle soglie di un nuovo cambio di gruppo di potere? Di una nuova Tangentopoli, di un nuovo 1992?

Per rispondere a queste domande, conviene leggersi “Il quarto livello”, per comprendere meglio il paese in cui viviamo oggi.

Il link per ordinare il libro.
La scheda sul sito di Bur RCS
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