29 agosto 2011

Il posto di ognuno di Maurizio De Giovanni

Il posto di ognuno . L'estate del commissario Ricciardi

Si, lo so: iniziare a leggere una quadrilogia a partire dal terzo volume, è poco furbo, specie se poi ti viene voglia di leggerli a partire dall'inizio. Quattro indagini, per le quattro stagioni del commissario Ricciardi: ma è estate, è mi è sembrato naturale partire dal terzo libro, “Il posto di ognuno”.

Siamo a Napoli, nel 1931, in un estate torrida: in una serata di festa, mentre la gente balla attorno ai fuochi, l'angelo della morte scivola non visto tra le persone, per compiere il suo atto di giustizia.

Al mattino, viene trovata morta, nell'anticamera del suo appartamento, la duchessa Adriana Musso di Camparino, moglie in seconde nozze di Matteo Mussa duca di Camparino. A sua volta morente, nel suo letto.

Ad occuparsi del caso, in una afosa domenica, sono proprio Ricciardi e il suo brigadiere, Raffaele Maione. Uno dei pochi agenti che ha piacere a lavorare con questo funzionario della Questura, perchè, si dice, porti male, non sorride mai, ha sempre quell'aria triste, non è sposato ….

E infatti, Ricciardi, Luigi Alfredo, pure lui nobile, con dei possedimenti nel Cilento, è una persona solitaria. Per colpa del Fatto. La maledizione che si porta appresso da bambino: la capacità di vedere, anzi di rivedere, gli ultimi istanti di vita dei morti. Le loro ultime parole, le loro ultime espressioni.
Come la famiglia trucidata dai briganti, che la madre, Marta Ricciardi di Malomonte, lo portò a vedere a cinque anni “Pietà, pietà, pigliateve tutte cose, pigliateve 'a criatura e 'o guaglione, pietà ... ” .

Come può condividere questo Fatto, con una persona? Come potrebbe spiegare, ad una moglie, ad una fidanzata, che mentre cammina per strada, rivede la famiglia che si è schiantata in macchina, il ragazzo pestato a morte da una squadraccia di fascisti “buffoni, buffoni ..” ..?

Per questo, è costretto a rimanere da solo: come da solo deve entrare dentro la stanza dove la servitù ha trovato il corpo della duchessa. Per risentire, da solo, le ultime parole “L'anello l'anello, hai tolto l'anello, l'anello mi manca”.

A quale anello si riferisce? Dalla mano della morta, qualcuno ha tolto l'anello da dito, forse dopo morta, dopo averle sparato un colpo di pistola in faccia. Dopo aver provocato altre ferite, sul corpo, lasciato poi adagiato su una poltrona.

Ci sono fin da subito, due sospettati : il figlio di primo letto del duca, molto legato alla madre, che non sopportava questa estranea che si era inserita nella famiglia, prendendone il titolo e l'anello familiare. Il signorino Ettore è, tra le altre cose, un personaggio ambiguo: passa le giornate tra le sue piante, i fiori, gli insetti “ognuno al suo posto, ognuno a fare la sua parte”.
Studioso celebre di filosofia, dalle amicizie intoccabili nel partito, non solo non nasconde il suo odio verso la madre, ma nemmeno ha chiarito dove fosse, quella notte.

Il secondo, sospettato, è il giornalista del Il Roma, Mario Capece, che per la duchessa (una signora dalla vita notturna molto movimentata) aveva lasciato la famiglia.

Nonostante queste piste, non è un'indagine facile: troppe pressioni arrivano dall'alto, a cominciare dal vicequestore Garzo, suo diretto responsabile, che gli chiede di fare presto, senza troppo rumore, visto il titolo nobiliare della morta.

Dunque piedi di piombo sul signorino Ettore. Ma anche col giornalista, perchè i giornali, nonostante le leggi fascistissime del 1926, sulla stampa, rappresenta ancora un potere. Con un articolo critico, sulla polizia, sul suo operato, suo suo brancolare nel buio, potrebbe mettere in difficoltà la Questura e in special modo le ambizioni di carriera di alcuni dirigenti. È vero che la cronaca nera deve sparire dagli articoli, per volere del fascismo, che sta plasmando un paese e una società dove “ciascuno deve saper stare al suo posto”, ma Capece, che nel passato è stato critico nei confronti del regime, non è tipo da farsi mettere i piedi in testa.

E nemmeno Ricciardi, alla stessa modo, si lascia fermare da pressioni o dai titoli nobiliari: col fido Maione al fianco , inizia a seguire tutte le piste. Che ha fatto quella sera il duca?
Se Capece quella sera era in giro per taverne, chi altri poteva avere motivi di uccidere?

Sorvegliato dall'alto dalla polizia segreta fascista, l'Ovra, che lo lascia libero di indagare solo perchè ne riconosce le sue capacità di investigatore, Ricciardi attraversa la città, mostrandone i molti aspetti: i quartieri e i palazzi nobiliari, coi titoli e i privilegi, che passa le serate a teatro, e poi i quartieri poveri, degli scugnizzi, dove “decine di bambini e anziani si ammalavano ogni giorno per carenza di igiene e morivano nelle case e negli ospedali”. Ma la radio non lo poteva dire. Anche loro, dovevano rimanere al loro posto.

Al termine di un lavoro faticoso, Ricciardi riuscirà a trovare quale è l'anello mancante, quello che ha causato la morte della bella Adriana, quello che ha causato tutto il dolore dentro la famiglia, la sua e le altre.

Unico neo, che ho trovato in questo giallo, è tutto lo spazio riservato ai problemi personali del commissario, inesperto di questioni d'amore, di fronte alla scelta se rimanere solitario o rivelarsi alla signorina Enrica Colombo, vicina di casa, spiata dalla sua finestra per mesi.
E anche l'affascinante cantante lirica Livia, tornata proprio a Napoli per comprendere meglio la natura dei suoi sentimenti verso quest'uomo, enigmatico ma a suo modo affascinante. Vedremo queste storie in una fiction televisiva?

E dopo le quattro giornate, cosa ci aspetterà, dal commissario Ricciardi?

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