30 gennaio 2011

I milionari di Luigi Alberto Cannavale e Giacomo Gensini

I milionari, ascesa e declino dei signori di Secondigliano.

Non è difficile, leggendo le pagine del libro del pubblico ministero Cannavale e del giornalista Gensini, fare il paragone con l'altro celebre Romanzo Criminale: il libro di De Cataldo (giudice pure lui) che racconta l'ascesa al potere di alcuni ragazzotti nella Roma di fine anni 70, la Banda della Magliana.
Nei milionari, si racconta dell'ascesa sulle strade della periferia partenopea del clan Di Lauro.

Stesso il periodo storico, stessa la fame dei protagonisti delle storie criminali: ragazzi di borgata, i romani: Testaccio, Magliana. Ragazzi di un paese della periferia di Napoli, Secondigliano, Marano: paesini nella campagna, dove le case terminavano sui campi di pomodoro. Questo prima della speculazione edilizia, che, a Napoli come a Roma, come a Milano, ha riempito il verde attorno al centro con case fatiscenti. Per quella speculazione edilizia che ha fatto arricchire palazzinari senza scrupoli, con spesso alle spalle gruppi criminali.

Stessa è anche l'ambizione: conquistare sempre più potere, per mettere le mani su Napoli, per acquistare sempre più potere. Con gli strumenti propri di una banda militare: il piombo.
Se a Roma i protagonisti del romanzo hanno nomi che vengono dalla borgata, dal popolo (Dandi, Er Libanese, Bufalo, Ricotta), qui i protagonisti si chiamano 'o Barone (il vecchio capo fatto fuori dai nuovi boss del clan di Secondigliano), Ciruzzo 'o milionario (il capo della banda), i suoi colonnelli Sarracino (primo dei fratelli Cavani),Chiapparello, Capaceccia, Papele. E poi 'o Biondo, 'o Fascista, 'o Lello, 'o Nigro, Mimì 'a Svergognata e il Sicco, fratello del Sarracino. Le cui memorie nei mesi di latitanza si alternano alle gesta del clan.

Clan che, attorno alla figura di Ciruzzo (Di Lauro), metteranno in piedi un'organizzazione efficiente basata su un modello federale, con le mani dentro il mondo delle costruzioni (controllando appalti, le imprese di movimentazione, del cemento armato). Appalti gonfiati nei confronti della regione. Controllando la distribuzione della droga, in collaborazione con i siciliani e i calabresi, ma capaci di trovare strade alternative come la pista della coca verso i colombiani.
La svolta, per la ricchezza (che li porterà poi ad un controllo sempre più esteso sul territorio) sarà il terremoto in Irpinia:

"Senza il terremoto, Sicco ne era sicuro, non avrebbero mai potuto fare quello che avevano fatto, senza il terrmeoto non abvrebbero mai potuto investire somme colossali nella droga, nell'usura, nel costruire quartieri e tutto il resto: uccidere, corrompere, demoninare e soffocare la città. Guappi con la pistola in mano erano e tali sarebbero rimasti, ma marginali, esclusa dai grandi giochi.
Invece erano arrivate le migliaia di miliardi della ricostruzione e loro ne avevano approfittato. Insomma, come per una qualnque azienda, si diceva alla fine Sicco, il salto di qualità era avvenuto grazie ai finanziamenti di Stato. A quel punto il grande gioco era stato solo il loro, e chi voleva giocare doveva prima chiedere per favore, e poi pagare per averlo chiesto."

Come per la banda della Magliana, i ragazzi di Secondigliano diventeranno ricchi, tanto da diventare habituè dei casino di Venezia e Montecarlo. Feste con i giocatori del Napoli, amicizie dentro le amministrazioni (Luca Delfino, il più giovane sindaco d'Italia). E la loro ricchezza sarà poi la causa del loro declino, che porterà invidie, gelosie, faide per il controllo delle piazze dello spaccio: seguiranno altre morti, altri agguati, altre morti. Morti non solo all'interno della banda ma anche di persone innocenti, di donne (contro il codice di onore della Camorra), fino al culmine della strage di Monterosa.
Tensioni che sfoceranno, negli ultimi anni di vita della banda, ad una vera e propria scissione all'interno.
Ma nel libro trova spazio anche il racconto della vita privata dei componenti della banda: il tentativo di Sicco (l'io narrante) di costruirsi un suo spazio privato da cui tenere fuori la vita criminale, per tornare ad essere una famiglia come tutte le altre.
Il rapporto quasi filiale che legava il fratello Gennaro (Sarracino) con capo Ciruzzo e che sollevava gelosie dagli altri capi.
Infine, la presa di coscienza di aver sbagliato tutto, di aver vissuto secondo regole e principi sbagliati: la loro concezione della vita, il potere conquistato a colpi di pistola, la violenza.
La storia dei panni stesi:

“Il problema vero era un altro, ee quel problema era suo figlio, che romai aveva sedici anni, che lui amava e che era indiscutibilmente figlio delle regole della madre. Sicco lo guardava e subito gli veniva in mente la storia dei panni stesi. Due persone abitano una sopra l'altra, una e 'nu bravo guaglione , l'altra 'nu bravo ragazzo. Se è il bravo ragazzo a stare sopra, potrà tirare secchiate d'acqua sopra i panni stesi di quello di sotto, l'altro non dirà mai niente. Se al contrario è il bravo guaglione ad abitare sopra, gli basterà lasciar cadere due gocce e non stenderà mai più panni.
Sicco lo sapeva bene che era così nel loro quartiere, che era così in tanti quartieri, aveva vissuto tutta la vita in quel sistema, che gli sembrava naturale, forse perchè stato lui il bravo ragazzo. Ma ora, guardando suo figlio, gli appariva chiaro che era sbagliato, che era concettualmente sbagliato.
Perchè suo figlio era proprio 'nu bravo guaglione, e che potesse nella subire angherie da uno come suo padre mandava Sicco in cortocircuito”.

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