07 dicembre 2010

Nelle mani dello stato – Lucarelli racconta

Storie di uomini e donne morti quando si trovavano nelle mani dello Stato, o perché erano in carcere, o perché erano in custodia di polizia o carabinieri in caserme o commissariati.
Storie che non sono solo tragici casi di fatalità, perché purtroppo anche in carcere si muore, e si può anche morire per la droga che si ha in corpo, perché si va in esagitazione.
Sono anche la testimonianza della situazione tragica nelle nostre carceri, troppo affollate, troppo vecchie, con poco personale di Polizia Penitenziaria, che subisce lo stesso stress di chi sta dietro le sbarre, oltre ad aggressioni e altro. L'inadeguatezza dei manicomi penitenziari, gli O.P.G., strutture residue dalla legge Basaglia dove finiscono spesso le persone senza una famiglia, senza un peso alle spalle e lì dimenticati. Carceri destinate a riempirsi di detenuti in attesa di giudizio, di fermati per droga e clandestini irregolari mischiati assieme ad ergastolani.

  • 68000 detenuti. 30000 in attesa di giudizio.
  • 450000-63000 posti disponibili.
  • Nel 2009 175 decessi in carcere.
  • Nel primi sei mesi del 2010, sono 109 i decessi.

Gli agenti di polizia penitenziaria dovrebbero essere 45000 e passa, sono invece 40000.

Storie che, in alcuni casi, raccontano di un male dentro le forze dell'ordine: comportamenti sbagliati , eccesso di violenza contro i fermati. Frutto di un mutamento negli indirizzi che la politica da: non più la priorità alla grande criminalità, i trafficanti di droga, ma il clandestino, il piccolo spacciatore, una lotta conto l'emarginalità.

Federico Aldrovandi, morto dopo un fermo di una volante a Ferrara nel settembre del 2005.
Morto per la troppa droga che aveva in corpo, secondo la versione delle volanti, droga che l'aveva fatto scagliare contro gli agenti.

Eppure ci sono le foto del volto devastato dalle botte, la macchia di sangue dietro il capo, le testimonianze che parlano di un alterco precedente all'orario dati nei verbali.
Per avere verità, la mamma di Federico ha aperto un blog: da qui è nato un processo contro gli agenti, e un altro per i depistaggi.
“tutti quanti potevano essere genitori di Federico .. non erano novellini, volevano veramente picchiarlo”. Agenti, tutt'ora in servizio.

Stefano Cucchi, un ragazzo fragile con alle spalle problemi di droga (e che forse stavano tornando). Morto in un ospedale penitenziario, dopo aver rifiutato le cure, le visite dei parenti il cibo. La versione ufficiale dice che si è lasciato morire: nel paese dove si voleva fare un decreto per impedire la fine di Eluana, possiamo veramente credere e accettare questo?
Possiamo accettare che un ragazzo sia lasciato morire? E purtroppo le foto sul cadavere di Stefano parlano d ben altro: occhi gonfi, fratture allo sterno, alla colonna.
Cosa è successo a Stefano? E' naturale una morte come questa, “devastato dalla droga” come ha raccontato il sottosegretario Giovanardi?

C'è un processo in corso, che parla di un sistema (medici, agenti, funzionari del tribunale) che ha portato Stefano alla morte.

Aldo Bianzino: si può morire per infarto in carcere, in attesa di giudizio, per delle piantine di cannabis in casa, per uso personale?
Sì, può succedere. Aldo e la moglie sono arrestati e Perugia, lui è messo in isolamento. Viene trovato la mattina dopo, dalle guardie. Alla moglie che chiede quando potrà vedere il marito viene risposto “dopo l'autopsia”, con un cinismo che fatico ad accettare.
Malore? Due costole rotte, il fegato distaccato. Anche qui un processo stabilirà come sono andate le cose in carcere. In ogni caso, sono andate male.

Riccardo Boccaletti: coinvolto in una indagine per droga, viene arrestato e portato in carcere.
In carcere sta male, per la dipendenza alla droga e vorrebbe andare in comunità: lo visitano e dicono che le condizioni sono compatibili col carcere, a meno che non ci siano peggioramenti. La sua salute peggiora, ma non succede nulla. Ad un colloquio la madre stenta a riconoscerlo: muore in carcere (“morte naturale”): dice la madre “lo stato me l'ha portato via e me l'ha ridato dentro una bara”.

Si può morire così? Il dottor Donato Capece definisce le carceri “discarica sociale”, non un luogo nel quale espiare la pena per un ritorno alla società.

Giovanni Lo Russo.
Arrestato per un furto di uno zainetto, poiché recidivo viene condannato a 4 anni e trasferito nel carcere di Palmi. In isolamento: aveva chiesto il trasferimento a Milano, vicino ai parenti. Trasferimento che non viene notificato per intoppi burocratici. Si uccide col gas il 17 novembre 2009.

Katiuscia Favero. Arrestata per il furto di un orologio, viene mandata in un O.P.G. (ospedale psichiatrico giudiziario), per il suo carattere aggressivo, “borderline”.
A Castiglione aveva già denunciato per molestie due medici, indagine archiviata. Qui si suicida, con una corda attaccata ad una rete.
Un suicidio “strano”.

GianClaudio Arbola. Arrestato, dopo che la moglie era stata trovata in possesso di un pacco che si era fatto spedire con 20 grammi di droga dentro.
Finisce in carcere dove si impicca.
Uno dei 72 suicidi dietro le sbarre del 2009.
Nel 2010 i suicidi sono stati 31.

Male che accomuna carcerati e carcerieri: tra il personale delle carceri, ci sono state 5 suicidi, 4 agenti e un dirigente.

Giuseppe Uva.
Fermato per una bravata, viene fermato assieme ad un amico dai carabinieri.
Da in escandescenza, si agita, e allora i carabinieri chiamano la guardia medica che gli prescrive un T.S.O. Viene preso in carico dal Pronto Soccorso.

Ma Giuseppe muore: la sorella in obitorio si trova di fronte una persona che ha segni di botte, sangue sugli indumenti, un pannolone per coprire i lividi e il sangue dal retto.
Cosa è successo? Alberto, nella sala d'attesa, sente un pestaggio, chiama il 118 per una ambulanza, ma questi non si fidano.
Alle sue rimostranze gli viene detto “non ti preoccupare che adesso viene il tuo turno...”.

Si apre un fascicolo, ci sarà una indagine.

Il carcere - racconta Lucarelli - è oggi come un ospedale di una volta: era come un lazzaretto per chi non si poteva curare a casa. Oggi l'ospedale è un luogo dove ci si va per curarsi e così dovrebbe essere il carcere.

Non un luogo lontano dai nostri occhi perché non vogliamo vedere il male. Perché questo dice la nostra Costituzione.
Non una discarica sociale dove mettere le persone che una certa parte della società non vuole più vedere in giro.

Rivista “Ristretti orizzanti” dal carcere di Padova.
Il blog di Carlo Lucarelli.

La puntata sul sito della Rai.


1 commento:

Anonimo ha detto...

A me quella di Bianzino ha fatto veramente gelare il sangue. É stata una puntata molto toccante.