28 dicembre 2010

Lucarelli racconta – la mafia del Brenta

Che già con Nordest, e negli altri racconti con l'Alligatore, parlava del Veneto e di quel nordest che oggi, tra la Lombardia e il Piemonte, fino alla Slovenia è il tratto dove passa la maggior parte della merce illegale nel nostro paese. Ci sarebbe un cartello dei gruppi criminali, dice Carlotto, che si sono messe d'accordo qui per fare affari assieme.
Non è mai stato tenero con la propria terra, Carlotto: in particolare, quello che condanna, è un sistema (politico, amminisrativo) che tende a consumare il territorio. Una scelta folle.

Il nordest, e Felice Maniero: la sua storia racconta bene cosa è questo nordest. Incontra la sua fortuna (criminale) in un momento felice del territorio, quando inizia ad arrivare la ricchezza e il benessere. Le piccole aziende che iniziano a vendere e produrre ricchezza.
Una ricchezza che significa maggiori consumi di quei beni che la sua banda poteva gestire (la droga, le bische clandestine); maggiori consumi, significa maggiore denaro in circolazione, dunque maggiori obiettivi da colpire, da cui prendere denaro.

La storia della banda di Felice Maniero, la mala del Brenta, finita con la condanna per associazione mafiosa, è stata raccontata bene da Carlo Lucarelli.
Perchè alla fine i magistrati questi hanno stabilito (e i giudici lo hanno confermato): nel profondo nord, in quella regione che una volta era considerata il sud del nord d'Italia, si era creata una banda criminale, che aveva tutti i crismi di un gruppo di stampo mafioso.
Spargere il terrore, controllo del territorio, omertà.
Come i colpi sparati contro l'abitazione del maresciallo Palumbo a Cantalupia.

Un capo carismatico che aveva messo la sua intelligenza e la sua capacità di fare impresa a frutto per la sua carriera criminale. L'eliminazione degli altri capi e membri, quando questi davano segni di insofferenza, facevano di testa propria, tradivano (omicidi sistemici, si dicono).
Intimidazione nei confronti degli obiettivi da colpire: i cambisti del casinò di Venezia colpiti, gli orafi, portavalori minacciati.
Capacità di fare accordi con le altre associazioni criminali presenti sul territorio: la mafia, per i boss che venivano mandati al confino (e che hanno invece trasferito Cosa Nostra al nord), Totuccio Contorno, Salvatore Badalamenti. La Camorra, con Vincenzo Casillo.
La mala milanese con i contatti con la cosa Fidanzati e Francis Turatello.
Ma Maniero aveva preso accordi con un trafficante turco di droga, per rifornirsi anche da lui: diversificare gli investimenti e aprirsi a più fornitori. Proprio come un imprenditore.

La storia della mala del Brenta è una storia di gangster, tanti morti, una ferocia che forse è passata in secondo piano per l'immagine che Maniero ha saputo crearsi. Belle donne, in giro in Ferrari, una certa simpatia, almeno inizialmente per i furti con cui iniziò a farsi strada (le forme di Grana Padana ruubate sui camion).

Ma è anche una storia di morti (non solo gli omicidi, ma i morti per la droga che questi avevano messo in circolazione), di funzionari dello stato corrotti, di pentimenti e di processi che hanno portato a secoli di galera.

La storia di Maniera ricorda un po' quella della Banda della Magliana: stesse le origini umili, con la mala dentro la famiglia (lo zio e il padre).
Stessa anche la voglia di mettere le mani sul territorio che gli si apriva davanti: la città di Roma da una parte e il Veneto che in quegli anni stava scoprendosi ricco (senza che nemmeno i veneti stessi se ne accorgessero).
Ma la sua banda non era quella del bandito Toninato della Campolongo degli anni '50. Bische clandestine, droga, usura, rapine (ai camion, agli orafi, ai portavalori), estorsione, usura. Vendita di armi (con l'aggancio del figlio del leader nazionalista Tujiman).
Tanti soldi che hanno portato poi, inevitabilmente come per i capi Magliana, a degli scontri interni: come l'uccisione dei fratelli Rizzi, i capi di Venezia.
Ma la Banda Maniero è anche quella dei colpi spettacolari: come il furto all'aeroporto Marco Polo di Venezia. I furti ai beni artistici e alle reliquie religiosi, usati come strumento di ricatto per ottenere dei benefici (l'aveva capito molto prima di cosa nostra, dell'importanza simbolica di questi beni, ben oltre il valore economico).

Sebbene l'importanza della banda fosse stata inizialmente sottovalutata, successivamente su di essa si concentrano le attenzioni della Criminalpol del Veneto, del Questore Francesco Zonno, assieme alle Squadre Mobili coivolte: si arriva ad un primo arresto a metà anni 80; la fuga del 1987, dal carcere di Fossombrone.
Il seguente arresto, a Capri, seguendo la pista dei soldi.
L'istruzione del processo, per 416 bis, a Venezia, per la “mala del Brenta”: un processo difficile anche per la carenza di strutture adeguate a contenere gli imputati (per evitare fughe).
E anche qui, prima della sentenza, la fuga dal carcere di Padova, nel giugno del 1994.

Un'evasione perfetta, indice della perfetta organizzazione della sua banda.
La latitanza in Spagna, i viaggi in Italia per dirigere la sua banda: la sua latitanza non durerà a lungo. Anche perchè dal processo, vengono fuori altri omicidi.
Fino alla cattura a Torino, nel 1994. E poi, un altro colpo di scena, il suo pentimento.
L'elenco delle rapine, degli omicidi, dei luoghi dove furono sepolti i cadaveri.
Maniero disegna agli inquirenti l'organigramma della mala, le sue protezioni: nel Sismi, nel Ros, nella polizia.
Il processo dopo l'operazione Rialto, per l'arresto di oltre 300 arresti della banda.

Ma come in un buon giallo, rimangono tanti dubbi alla fine.
Il suo fu un pentimento, o una dismissione di una azienda (la sua banda) in crisi dopo gli arresti?
C'è stata una trattativa, prima del suo arresto, che ha portato poi al suo pentimento? E poi, Maniero, ha detto proprio tutto su tutto, delle cose che sapeva ai giudici?
I conti all'estero, che fine han fatto?
Chi ha permesso il riciclaggio dei suoi soldi?

Alla fine, è stato condannato a 17 anni di reclusione. Grazie ai benefici di legge. Una storia avventurosa, da imprenditore criminale, da studiare per capire come evitare che si ripeta.
E' stata mafia anche quella del Brenta? C'era il terrore, i contatti con la società civile, il controllo del territorio, l'omertà. L'organizzazione che penetra dentro il territorio e la sua economia.

Dopo la mala del Brenta, il vuoto viene riempito dalla criminalità straniera: i russi, gli slavi, gli albanesi, i cinesi. Terra di conquista, anche per la Camorra e la ndrangheta.

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