07 ottobre 2009

Caso Alstom: sequestro o non sequestro?

I dirigenti parlano di una discussione tesa e serrata, ma non di sequestro.
Lo stesso i lavorati, a rischio posto e, visti i tempi, a rischio la loro vita.

Cosa è successo in realtà?

Una sola cosa è certa: a Colleferro c’è tensione, parecchia, perché la chiusura dello stabilimento Alstom certificherebbe la fine del sito industriale in cui una volta c’era una fabbrica di esplosivi, poi riconvertita. La vicenda industriale della cittadina romana è un intreccio di questioni industriali, richieste politiche ed effetti della crisi.

La Alstom produce treni e vari prodotti collegati: in Italia ha stabilimenti anche a Cuneo, Bologna, Sesto San Giovanni, Bari.

A Colleferro costruiva il Minuetto, i piccoli treni regionali a tre vagoni commissionati dalle Ferrovie dello Stato.
Poi, nel 2006, la produzione è cessata: l’impianto è stato riconvertito per la matuenzione di eccellenza ma, spiega Colonna della Uilm, “non è arrivato quasi nulla da manutenere”.
Alstom è un colosso che lavora in mezzo mondo che ora sta scontando la crisi: un anno fa aveva ordini per 6,5 miliardi di euro, nel trimestre aprile-giugno del 2009 erano crollati a 4,8.

E quindi ha iniziato a tagliare i rami secchi, incluso lo stabilimento italiano: ai lavoratori ha proposto il trasferimento a Nola (Napoli) o in Francia. Un’offerta che - essendo per molti inaccettabile - vuole spingere alle dimissioni spontanee.

Secondo i sindacati, una fetta di responsabilità per questa situazione è di Trenitalia che negli ultimi quattro anni non ha bandito gare d’appalto tranne quella molto recente per 350 vagoni (va però ricordato che, se oggi lo facesse a Colleferro non sarebbero comunque in grado di costruire un treno completo, visto che si occupano di manutenzione). E, risalendo per la catena, è colpa anche del governo che non impone a Trenitalia di investire sostenendo l’occupazione nei siti industriali italiani. E il governo è intervenuto sulla vicenda. Ha parlato il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, Maurizio Sacconi, per dire che si tratta di un tentativo di “drammatizzazione mediatica” da non assecondare perché “costituirebbe un pericoloso precedente”.