01 giugno 2008

Annozero: il divo e noi

Il divo è, ovviamente, Giulio Andreotti, come lo definì il giornalista Mino Pecorelli.
Uno dei tanti che volevano scoprire la verità: Pecorelli, Dalla Chiesa, Ambrosoli, Falcone ... “la verità può essere destabilizzante”.
E Andreotti e del suo ritratto che ne da il film di Paolo Sorrentino, è stato il tema della penultima puntata di Annozero.
Puntata inframezzata da spezzoni del film, con immagini di repertorio: la strage di Capaci, la bomba alla stazione di Bologna, una vecchia puntata di Samarcanda con la vedova di Roberto Calvi (“mio marito mi disse che i capi della P2 erano Andreotti poi Cosentino...”), una vecchia puntata del Maurizio Costanzo Show con Giovanni Falcone e Leoluca Orlando ....

Un parterre de roi come ospiti: Paolo Mieli, Natalia Aspesi, Carlo Lucarelli, Cirino Pomicino (gli andreottiani seppelliranno tutti), Claudio Martelli, il regista Paolo Sorrentino e Anna Bonaiuti, il figlio di Giorgio Ambrosoli.
Tutti lì a parlare del Divo, di Belzebù, del sette volte primo ministro: il politico che viene tirato sempre in ballo in ogni scandalo, dai tempi del Sifar di De Lorenzo, ai rapporti tra mafia e politica. Tante volte audito (si dice così) dalle commissioni parlamentari (P2, strategia della tensione) e condannato infine per mafia (la mafia palermitana dei Bontade) fino al 1980, reato poi prescritto.

Dalla sentenza della Cassazione:
« Quindi la sentenza impugnata, al di là delle sue affermazioni teoriche, ha ravvisato la partecipazione nel reato associativo non nei termini riduttivi di una mera disponibilità, ma in quelli più ampi e giuridicamente significativi di una concreta collaborazione. »

Il film inizia con queste parole allo stesso tempo pacate ma minacciose di Andreotti: una sorte di autopresentazione:

“Guerre puniche a parte, mi hanno accusato di tutto quello che è successo in Italia.. ma io possiedo il dono dell'umorismo. Altra cosa possiedo: un grande archivio. E ogni volta che nomino questo archivio, chi parla inizia a tacere”.

Chi è Andreotti? Un politico esperto, di respiro internazionale, aperto al dialogo con i paesi arabi, che ha saputo navigare nelle acque torbido della politica italiana.
Oppure il capo della mafia, della P2, il mandante delle stragi ..?
Nessuno lo ha mai accusato di essere il mandante delle stragi, né un uomo di mafioso (alla Riina, alla Provenzano), né di aver ordinato la morte di Ambrosoli.
Per le stragi della strategia della tensione basta ricordare la teoria dei “Cerchi concentrici” spiegata da Corrado Guerzoni (riportata ne "Il paese della vergogna" di Biacchessi). Nessun politico è direttamente responsabili delle bombe ...
Come ricordava Mieli in studio, la cosa è più complessa.

Ma la responsabilità politica?
Chi era ministro della difesa quando si doveva distruggere il dossier illegale del Sifar?
Chi era ministro negli anni in cui il Sid era pieno di generali appartenenti alla P2? Chi nominò il comitato di crisi per il rapimento di Aldo Moro (anche questo pieno di massoni)?
E' un caso che Andreotti era ministro degli interni quando Pisciotta fu avvelenato nel carcere di Viterbo, prima di fare delle rivelazioni straordinarie sulla strage di Portella della Ginestra?
E' un caso che fu avvelenato in modo analogo nel carcere di Voghera anche Michele Sindona, che stava anche lui per fare delle rivelazioni su Ior, servizi, mafia ..?

La storia, specie quella italiana, è un po' più complessa: è complessa è anche la figura di Andreotti. Una figura ambigua: carica di sospetti, ma che suscita negli italiani anche grande ammirazione e fascino.
Il fascino del potere: potere amministrato in nome di Dio. Potere che si nasconde dietro ad una maschera, spiegava Natalia Aspesi: maschera data dall'assenza di movimenti, dalla camminata lenta, dall'assenza dello sguardo. La maschera ambigua riflette il suo modo di fare politica, che è la stesso della DC, che agiva molto nell'ombra.

Giudizio opposto dell'ex DC Pomicino: l'errore del film è stato separare Andreotti dalla DC. Andreotti sette volte presidente del Consiglio non è il potere che si nasconde.
Furbo l'ex potente DC napoletano: legando la balena bianca ad Andreotti è come se dicesse “processando Andreotti per mafia, stragi, P2,.. è come se processaste l'intera DC”.
Pomicino sa di raccontare una falsità: se un pregio lo ha questo film, che racconta un pezzo di storia in modo romanzato ma vero, è quello di raccontare agli italiani più giovani chi fosse Andreotti.
Il politico legato a doppio filo col Vaticano, con la chiesa, con i servizi americani. Ma anche con Salvo Lima in Sicilia, con i fratelli Salvo, condannati per mafia.
Ma se Andreotti non è il grande vecchio (il burattinaio presente ad esempio nel “Romanzo criminale” di De Cataldo), se dopo il 1980 cercò di combattere la mafia, se le cose sono più complesse, allora cosa dobbiamo fare, smettere di cercarla la verità?
Ecco, ieri, a sentire le conclusioni di Mieli, poi quelle spudorate di Pomicino (condannato per tangenti, ricordiamolo), sembrava che questa complessità della storia italiana, del potere italiano, venisse usata come giustificazione, come scudo.

Bene: non processiamo Andreotti dal punto di vista giudiziario (anche perchè è già stato fatto).
Ma dal punto di vista politico?
Il film, secondo Lucarelli (che si è occupato di mafia con “La mattanza”, raccontata da Saverio Lodato nel suo libro) mette in scena i meccanismi di un certo potere, usando il linguaggio dell'arte. Racconta di una storia criminale vera: i linguaggi, i ragionamenti visti nel film sono alla base delle vicende criminali narrate.
Crimini per cui per anni non sono state individuate responsabilità politiche. Come oggi, dove nemmeno la condanna (sebbene in primo grado) per mafia allontana onorevoli eccellenze dal Parlamento.
E questo è un grave danno per la Sicilia e per l'Italia.

Claudio Martelli nel suo intervento raccontava del suo rapporto con Falcone. Che chiamò a Roma per allontanarlo dal clima velenoso di Palermo. Ricordò la sentenza del maxi processo in Cassazione, il criterio di rotazione adottato (per impedire al giudice Corrado Carnevale di annullarla) e di come, in realtà, i provvedimenti più efficaci contro la mafia (il 41 bis ad es.) furono adottati dopo la morte del giudice. Altro che grande lotta alla mafia di Andreotti.
La politica, concludeva Santoro, si è sempre preoccupata di governare il fenomeno mafioso: disegnare i confini di autonomia della mafia con la politica.

Sorprende che ancora oggi rimanga questa ambiguità tra gli italiani. Anche dopo la sentenza della Cassazione. Anche dopo aver letto i diari di Dalla Chiesa (ricordato ogni settembre come un eroe).
Eppure chi fosse Salvo Lima lo si sapeva da tanto, almeno tra i politici. Buscetta, da una parte si rifiutò di parlare dei legami tra mafia e politica (“si solleverebbe un polverone che potrebbe essere perfino destabilizzante”), dall'altra parlò di Andreotti al magistrato americano Dick Martin nel 1983.
Si sapeva tutto: ma in Italia i tempi non erano maturi. Doveva prima cadere il muro, cadere la necessità di avere un partito di riferimento come la Dc, cadere la prima repubblica.
Per tornare qui, a parlare sempre di lui.

E sentire gente come Pomicino affermare che la criminalità organizzata è incompatibile con i grandi partiti di massa. Che bisognerebbe togliersi il cappello di fronte alla Dc, che ha mantenuto la stabilità del paese ...
La Dc di Lima o quella di Piersanti Mattarella? Ucciso perchè voleva fare pulizia in Sicilia?
Anche una persona pacata come Lucarelli ad un certo punto è sbottato, di fronte alla provocazione “so che lei è uno scrittore, ma non faccia i romanzi!”
“i romanzi, semmai, li avete fatti voi”.

Romanzi criminali: da Moro (che nel film è ricordato tramite tanti flashback, come un peso sulla coscienza del Divo), a Sindona, a Calvi, a Cirillo (niente linea della fermezza per il rapimento Cirillo, come mai?).
Un romanzo che vede come comparse anche il PCI (che nel 1984 salva Andreotti sul caso Sindona al Parlamento).

Qualcuno un giorno chiederà conto delle morti della strategia della tensione, del terrorismo che uccise politici, magistrati, poliziotti, professionisti. Delle morti per mafia. Come gli uomini della scorta di Falcone, lasciati nel dimenticatoio, in una corsia dell'ospedale ..
Si scoprirà una storia complessa, con tanti esecutori materiali, tanti personaggi abili nel deviare, bloccare, depistare le indagini (anche uomini dello stato). Ma il bandolo della matassa sarà sempre lo stesso: un potere che si perpetua, senza rinnovarsi, senza cambiare nelle persone e nei modi. Un potere che si auto giustifica (come l'Andreotti che ogni mattina va a confessarsi), un potere che non si lascia controllare, un potere opaco.

Ogni volta mi sorprendo: dopo il rumore della puntata sul V2-Day, sulle presunte offese a Napolitano, ci si aspetta chissà cosa dopo quello di cui si è discusso venerdì.
Invece niente: sintomo che abbiamo ormai sdoganato, dopo fascismo e mafia, anche Andreotti.
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