12 marzo 2008

Doveva morire di Sandro Provvisionato e Ferdinando Imposimato

No, nessuna dietrologia. Sembra che oggi in Italia non si possa parlare di Moro se non per dire che non c’è niente da dire. Invece proviamo a mettere insieme tutto quello che sappiamo e soprattutto quello che ancora non abbiamo avuto modo di conoscere.
Fatti, documenti, testimonianze sono lì, davanti a noi. Non dietro.

Dalle conclusioni del giudice Imposimato:
“Con l trascorrere degli anni e l'acquisizione di nuove prove – afferma Imposimato – e soprattutto dopo il lavoro di redazione di questo libro mi appare chiara una cosa: il sequestro Moro, partito come azione brigatista alla quale non è estranea l'appoggio della Raf e l'interessamento, per motivi opposti, di Cia e Kgb, è stato gestito direttamente dal Comitato di crisi costituito presso il Viminale. Il delitto Moro non ha avuto una sola causa.
Ma ha rappresentato il punto di convergenza di interessi disparati.
In questa operazione perfettamente riuscita, sono intervenuti la massoneria internazionale, agenti della Cia [Ferracuti, criminologo che tracciò il profilo del Moro non più Moro dentro il covo delle Br], del Kgb [l'agente Sokolov presentatosi a Moro come studente borsista], la mafia [Pippo Calò che si interessò con i suoi contatti con la Banda della Magliana per scoprire il covo] ed esponenti del governo [Cossiga ministro dell'interno ed Andreotti pres. Del Consiglio], gli stessi inseriti nel comitato di crisi. Tutti questi dopo il 16 marzo, hanno vanificato le opportunità emerse per salvare la vita di Moro, spingendo di fatto le Br ad ucciderlo”.

Nella storia del delitto Moro, chiude il ragionamento il giornalista Provvisionato, la prudenza è d'obbligo: occorre evitare di passare da una verità di comodo ad una scarsamente dimostrata. Ma occorre anche evitare l'errore opposto: pretendere prove matematiche assolute, granitiche per dimostrare un fatto.
Come avete capito, leggendo queste righe iniziali, questo non è il solito libro sul rapimento e uccisione del presidente Aldo Moro.

Scritto a due mani dal giudice istruttore che seguì, tardivamente le indagini e da un giornalista che si occupò del caso, ricostruisce a mò di istruttoria tutti i misteri, i lati oscuri della vicenda.Andando a demolire tutti i luoghi comuni, le false verità, che il governo italiano stesso complice anche parte del giornalismo che accettò la verità che veniva propinata: fu fatto tutto il possibile per salvare Moro, che fu sacrificato in nome di una ragione di Stato, per salvare la democrazia e non cedere al ricatto dei brigatisti.

Tuttò ciò è falso.

Falso per chè la polizia giudiziaria e la magistratura furono bloccate dal seguire piste, indizi, dal governo che, tramite il comitato di crisi e la procura Generale di Roma, bloccò per giorni preziosi le indagini.

Il covo in via Gradoli poteva essere trovato prima; come la tipografia in via Foà; note del Sismi parlavano di un imminente sequestro importante e che in Italia si stavano radunando molti terroristi (della Raf e di quel misterioso gruppo chiamato Superclan o Hyperion).
L'Ucigos (la polizia creata da Cossiga in fretta e furia dopo la riorganizzazione dei servizi) sapeva del covo in via Montalcini già nel ottobre 1978.
Si poteva arrivare al covo seguendo la pista degli incontri tra i briatisti Morucci e Faranda con esponenti di Potere Operaio Piperno e Pace.

Falso parlare di ragion di stato quando in realtà si registrò da parte del governo e delle forze dell'ordine (che rispondevano al Viminale e non alla magistratura) un immobilismo sconfortante: peggio ancora si costruì con le Br, un muro contro muro.
Non solo non si accettò nessuna condizione (caso unico quello del rapimento Moro, se confrontato con il caso Sossi prima e quello Cirillo poi), non solo non seguì una politica attendista per prendere tempo e scoprire il covo.Come due laboriosi muratori (in inglese mason), Cossiga e Andreotti voltarono la faccia al compagno di partito: a partire dalle lettere di Moro, giudicate scritte da un Moro non più in possesso delle facoltà mentali.

Bloccando le iniziative della famiglia Moro (lasciata isolata).Si arrivò anche alla farsa del lago della Duchessa, nel giorno del ritrovamento del covo in via Gradoli, col falso comunicato numero sette. Un messaggio sottile alle Br: “sappiamo chi siete e dove siete. Fate quello che dovete fare e fatelo in fretta”.

Doveva morire: troppi interessi attorno alla sua morte. Moro stava parlando di Gladio (la struttura segreta militare legata alla strategia della tensione, di cui Cossiga e Andreotti erano a conoscenza), degli scandali interni alla Dc, dei finanziamenti dagli Stati Uniti.
Moro era un pretendente scomodo alla corsa per il Quirinale: alla presidenza arrivarono infatti prima Cossiga nel 1985 e poi sarebbe arrivato Andreotti, se non ci fosse stata la stagione delle stragi del 1992.

Non è il solito libro: qui alle Br superstiti, oggi quasi tutti liberi, non viene dato spazio alle loro giustificazioni, ai loro farneticanti ideali.Qui compaiono tra i tanti imputati di una istruttoria per un processo che ancora deve venire, assieme a nomi illustri (Cossiga, Andreotti, Gelli) anche nomi meno illustri: Pieczenik che organizzo la manipolazione strategica che ha portato alla morte; Steve Ferracuti, i piduisti nei servizi segreti e negli apparati di polizia; esponenti di quei movimenti in contatto con le Br, come Pace e Piperno.

Nell'intervista finale, Eleonora Moro racconta:
“Ora vedo che coloro che hanno ucciso Moro sono vivi. Non mi riferisco a quei poveretti che gli hanno sparato. Intendo gli altri, quelli che avendo in mano ... Ma non mi faccia parlare.Sono tutti conniventi. E lei stia attento perchè quelli che non hanno indietreggiato di fronte al fatto di uccidere una persona che aveva loro spianato una carriera, sono capaci di fare qualunque cosa.”

L'onorevole Aldo Moro e la sua scorta: il maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi, i brigadieri Domenico Ricci e Francesco Zizzi, gli agenti di polizia Giulio Rivera e Raffaele Iozzino.Che avevano segnalato più volte la pericolosità del servizio che svolgevano (strani avvistamenti, la macchina che non aveva la blindatura), ma vollero lo stesso stare accanto al presidente.

Il generale Dalla Chiesa, il colonello dei carabinieri Antonio Varisco, il giornalista Mino Pecorelli.

Sono capaci di qualunque cosa...
“A me sembra giusto che da qualche parte resti scritto come sono andate realmente le cose. Io sono una catechista, quindi sono un educatore.
La gente deve sapere per evitare che accada ancora”.

Il link per ordinare il libro su internetbookshop.
Il post sul blog dell'editore Chiarelettere.
Il sommario e l'indice dei nomi.

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2 commenti:

luca pagni ha detto...

Chi ha ucciso Aldo Moro? Chi aveva interesse ad abbandonarlo al suo destino ? A questi ed altre domande cercano di rispondere Sandro Provvisionato e Ferdinando Imposimato (allora Giudice Istruttore) nel libro DOVEVA MORIRE, edito da Chiarelettere. Essi provano che il sequestro Moro, partito come azione brigatista con l'appoggio della Raf e l'interesse di Cia, Kgb e Mafia, venne gestito dal Comitato di Crisi presso il Viminale. Secondo Imposimato tutti prendevano ordini da Licio Gelli (Gran Maestro Venerabile della Loggia Massonica Propaganda 2) che contava almeno 52 tesserati nelle strutture di indagine, ed era amico di F. Cossiga e G. Andreotti. Tutti questi dopo il rapimento e la strage in via Fani il 16 marzo 1978, vanificarono le opportunità emerse per salvare Moro. La Polizia giunse alla porta della prigione di via Gradoli 96 per perquisizioni già il 18 marzo 1978 ma all’interno 11 sc. A suonarono il campanello senza irrompere come dall’ordine di perquisire TUTTI gli appartamenti. Imposimato denuncia che alla tipografia dove andava Moretti prima dell'assassinio, in via Pio Foà, l’Ucigos giunse il 28 marzo 2008 senza allertare ne la Procura di Roma ne la Digos, così come quando giunsero a via Montalcini 8 subito dopo la strage. Dal 19 aprile 1978 non venne pedinato Teodoro Spadaccini che gestiva la Renault 4 usata per l'assassinio ed il trasporto di Moro. Furono bloccati gli ordini di cattura emessi il 24 aprile 1978 contro pezzi da novanta del terrorismo, di cui molti presenti in via Fani per la strage. Molti documenti scomparvero o vennero manomessi come i documenti e le registrazioni video del processo delle BR a Moro. Andreotti, Zaccagnini e Cossiga sostengono che Moro non abbia mai manifestato timori di sorta, ma tra le carte ritrovate c’è anche un appunto del Sismi diretto al Ministero dell’Interno in cui si accenna alle dichiarazioni del caposcorta di Moro su qualcuno che controllava anche in vacanza i movimenti del Presidente DC. Carmine Pecorelli, vicino ai servizi segreti, alludette sul primo numero di Osservatorio Politico (OP) al possibile sequestro di Moro, prima del marzo 1978 e pure la Polizia sapeva che le BR volevano sequestrare a Roma un politico importante.

In occasione delle annuali commemorazioni del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro, per i quali ricorre il Trentennale della morte il 9 maggio 2008, abbiamo intervistato il Sen. Giulio Andreotti: D) Moro fu rapito dalle BR per colpire il sistema politico. Che idea si fece all'epoca dei fatti e cosa ne pensa oggi, con il senno del poi ? R) Che vi fosse una realtà complessa dietro l'operazione di cattura e l'assassinio di Aldo fu unanime la convinzione. E certamente il bersaglio era duplice: DC e PCI. D) Pare che le B.R. studiassero la possibilità di rapire Lei, Giulio Andreotti, Presidente del Consiglio, ma poi abbandonarono l’dea per la sua alta protezione. Cosa pensa di questa ipotesi e come visse la paura di poter subire un attentato alla sua vita? R) Moro era l'obiettivo sia come esponente politico sia sia come personalità di grande fascino intellettuale. Per questo era più al rischio rispetto a tutti noi. Del resto anche dentro la Dc Aldo aveva una posizione molto accentuata. D) Furono commessi errori nelle ricerche della prigione di Aldo Moro? R) Errori no. Purtroppo non avevamo un apparato di sicurezza di grande spicco. Ma sarebbe stato difficile metterlo in piedi, quando già per quello modesto che avevamo vi era l'accusa di Stato di polizia. D) Cosa fecero realmente lo Stato italiano ed il Vaticano, per liberare Aldo Moro? R) Attivammo tutti i canali possibili (e Mons. Macchi offrì anche un riscatto in danaro). D) Che ruolo ebbero la P2 e le spie dell'ex Unione Sovietica nel rapimento di Aldo Moro? R) Al riguardo vi sono state molte ipotesi e ricerche. Ma nulla di certo emerse. D) Cosa pensa del coinvolgimento della Massoneria nel rapimento? R) Non ho elementi in proposito. Del resto della Massoneria non è che si conosca molto. D) Lei personalmente ha dei rimorsi? R) No. Tutto quello che si poteva fu attivato. Come scrisse Aldo Moro al Presidente del Senato: “Muoio, se così deciderà il mio partito, nella pienezza della mia fede cristiana e nell’amore per una famiglia esemplare che io adoro e spero di vigilare dall’altpo dei cieli… Questo bagno di sangue non andrà bene né per Zaccagnini, né per Andreotti, né per la D.C. né per il Paese. Ciascuno porterà le sue responabilità…Ma nessun responsabile si nasconda dietro l’adempimento di un presunto dovere. Le cose saranno chiare presto.”

Per approfondire lo studio del caso Moro, suggeriamo la lettura dei libri: "Un affare di Stato” di Andrea Colombo, Eseguendo la sentenza di Giovanni Bianconi, “Abbiamo ucciso Aldo Moro” di Emmanuel Amara,“La foto di Moro” di Marco Belpoliti,“Lettere dal patibolo” di Critica Sociale, “L’affaire Moro” di Leonardo Sciascia, “Moro si poteva salvare” di Folco Accame e “Il Falsario di Stato” di Nicola Biondo con intervista a Tony Chichiarelli autore del falso comunicato n.7 B.R.



Articolo di LUCA PAGNI per IGEA news © Roma 18 maggio 2008

Anonimo ha detto...

Buongiorno,
vorremmo segnalare una grave inesattezza in questo post che riporta l'articolo di Luca Pagni. Nel volume il Falsario di stato sulla vita di Tony Chichiarelli non compare nessuna intervista al protagonista. Semplicemente perché è morto nel 1984, quando gli autori avevano 14 e 8 anni. Non risulta poi che Chichiarelli abbia mai rilasciato interviste.
Nulla di strano, un errore può sempre capitare. Ma chi conosce la storia di quel periodo, giudicherebbe una bufala un qualsiasi volume che dovesse riportare una tale circostanza.
Grazie
Nicola Biondo
Massimo Veneziani
(autori de "Il Falsario di stato")