15 ottobre 2007

La mano sinistra del diavolo di Paolo Roversi

Sono tempi difficili, per il giornalista free-lance Enrico Radeschi in vacanza nel suo paese natio, Capo di Ponte Emilia per l'estate.
Dovrà vedersela col l'irascibilità del suo capo, dovrà far fronte ad una crisi amorosa, fare da cat sitter al gatto dei genitori, al suo labrador, ma sorpattutto, affrontare due casi di omicidio.
La scoperta di una mano mozzata in una busta per le lettere, turba la quiete del paese dove “non succede mai nulla”: Radeschi viene chiamato dal capo a seguire, per conto del giornale, le indagini, condotte dai carabinieri del maresciallo Boskovic.
Ma il suo aiuto viene richiesto anche a Milano, dall'amico Sebastiani, vicequestore al commissariato di via Fabebenefratelli, per un duplice caso omicidio di una impiegata e di un barista di un sushi bar.
Dividendosi tra i due casi e facendo la spola tra Milano e Capo di Ponte, Enrico inizia a seguire gli sviluppi.
A Capo di Monte, chiedendo in giro alla gente del paese. Il parroco, l'oste, i vecchi amici.
A Milano, per dare la sua consulenza come hacker (senza dirlo troppo in giro).
Il caso della mano mozzata si presenta strano: chi è perchè l'ha fatto? Che messaggio ha volto lasciare? Cosa centra il fatto che la mano sia stata scongelata perchè vecchia di 50 anni?

Altre morti seguono: un pensionato in una casa di riposo. Ne “La mano sinistra del diavolo” ci sono dei morti che vengono dal passato, che creano gli omicidi del presente. E poi ci sono dei morti che non hanno futuro.
Cosa lega le morti di ieri a quelle di oggi?

Sarà grazie all'indagine nella memoria, che il maresciallo Boskovic farà luce sul mistero.Devo dire che mi è piaciuto molto questo libro: scorrevole, scritto con una certa dose di ironia, prendendo come spunto il noir milanese, con tutti quei riferimenti di scerbanenchiana memoria: dall'ispettore Mascaranti, al questore Duca Lamberto, fino al medico legale Ambrosio (altro personaggio di gialli).

Ma l'indagine milanese è quasi una parentesi nel racconto, che si svolge su due binari: il cuore pulsante della storia (almeno la parte che io apprezzato di più) è l'indagine nella bassa.
Un ritorno alle origini per il giornalista (ma lo stesso vale anche per l'autore), da qui è partito anni fa per fare carriera nella grande metropoli.

Mi piacciono gli autori che non rinnegano le origini, ma che anzi amano raccontare quel piccolo mondo di provincia che vive attorno a vecchie abitudini (la pesca al siluro, la grigliata al mattino, le chiacchiere in osteria). Come anche mi sono piaciute le descrizioni del paese in campagna, con la sua umidità, le zanzare, i personaggi del paese (il partigiano, il matto, l'oste, il brigadiere occhialuto) ..

La presenza del dialetto emiliano nei dialoghi, tra Radeschi e Calzolari (il suo capo al giornale) e usato dagli anziani di Capo di Monte mi ha ricordato il maestro Camilleri, un altro autore capace di raccontare storie, mondi e personaggi fuori dal comune. Testimonianza del fatto che per scrivere un buon noir non serve per forza ambientarlo in una grande città (sebbene Milano offra sempre spunti per gli scrittori di genere).

E in effetti, il legame tra le indagini di Milano e quelle della provincia, che Roversi ha voluto inserire quasi a forza, appare (sempre a mio giudizio) unica nota stonata del libro.
Vale la pena leggerlo, oltre a quanto detto finora, per le pagine finali (l'indagine nella memoria sui morti del passato), dove Roversi ci racconta una della pagine più tragiche della nostra storia.

Il sito di
Paolo Roversi e il blog Milanonera. La pagine dedicata al libro su Milanonera, che raccoglie altre recensioni.
Il link per ordinare il libro su
internetbookshop.
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