26 agosto 2007

Q. di Luther Blissett

Frankenahusen 1525.
Munster 1534.
Anversa 1538.
Venezia 1551.
Le tappe di una rivolta, di una rivoluzione mancata.

Da una parte il popolo dei contadini, dei servi della gleba, costretti ad una vita di miseria e di fame. Dall'altra i principi, l'imperatore e il papa.

La vendita delle indulgenze e le tesi di Martin Lutero a far da miccia a questa rivolta.

Una rivoluzione che vede tra i protagonisti, oltre alla schiera del popolo affamato dalle tasse dei principi, una schiera di predicatori nati sulla scia di Lutero e staccatisi poi dopo il suo accordo con i principi tedeschi.

Predicatori come Thomas Muntzer, Melchior Hoffmann, Jan Matthys, Jan Bockelson di Leida.

Ma anche persone come l'Io narrante "un reietto senza nome, in fuga da sempre. Ultimo sopravvissuto di una razza senza fortuna, un popola che la storia ha voluto sterminare".

Una rivolta che viene tenuta d'occhio da Roma, dalle spie del papa e del potente cardinale Carafa: Q. l'ecclesiaste. Che riferisce dei movimenti dei rivoltosi, si insinua con l'inganno al loro interno, li tradisce, li sprona al massacro.

Una lotta a due, l'io narrante da una parte, l'uomo in fuga, l'uomo dai molti nomi, e Q. dall'altra.
Fino alla scontro finale, nella città di Venezia, dopo decenni di battaglie senza conoscersi. I due nemici si conosceranno faccia a a faccia e si riconosceranno.

Un romanzo di battaglie, rivolte, massacri, intrighi, amori, tradimenti e complotti. Nell'Europa in fermento per la Riforma e la successiva Controriforma.

Negli anni dove l'Europa era dominata dall'impero di Carlo V, che si estendeva dalla Spagna alla Germania, all'Italia. Un potere cui si contrapponeva quello del papa e della Chiesa. Un potere minato dalle rivolte scoppiate con l'affissione delle tesi di Lutero: una bomba che poteva far scoppiare il sistema di potere politico alla base di tutti i regni, principati, d'Europa. Il popolo, il principe e il vescovo, tramite del papa di Roma.

Un libro che si può leggere come romanzo di "cappa e spada", come storia di azione. Ma, ad una lettura più approfondita, emergono più chiavi di lettura.
Difficile non cogliere le analogie con altri periodi storici più recenti della nostra storia.
Come il periodo degli anni 70: da una parte le utopie nate con i movimenti del 68 e del 69, che puntavano ad una società più moderna, più equa nella distribuzione delle risorse (si pensi alle lotte sindacali).

Dall'altra un sistema di potere che invece mirava alla sua perpetrazione, a non essere intaccato ne tanto meno dimesso da queste rivoluzioni.

Ed ecco gli scontri, la lotta che diventa man mano lotta armata. Ecco che spuntano le sigle di movimenti, che spezzano quello che sarebbe dovuto diventare un fronte unito, per la riforma.

Dagli slogan, alle chiavi, ai pugni alzati, alle P38. Ai gruppi che sparano.
Anche qui: chi muoveva i "cattivi maestri"? Chi finanziava il partito armato e i gruppi eversivi?

Questi movimenti vennero sostituiti dalle idee neoliberiste, il culto dell'individualismo, del successo. Il riflusso degli anni 80.

Per questo gli stessi membri del collettivo Luther Blissett/Wu Ming hanno descritto il romanzo come un manuale di sopravvivenza.

Leggo dal libro: "Il piano, quello che Carafa sta lavorando da tutta la vita. [...] La maggior gloria di Dio"

"Imporre un ordine al mondo. Concedere alla Chiesa di Pietro di rimanere arbitro indiscusso del destino degli uomini e dei popoli. Più di ogni altro, Carafa ha capito su cosa si fonda un potere millenario. Un messaggio semplice: il timore di Dio.

Un apparato gigantesco e complesso che lo inculchi nei costumi e nelle coscienze. Diffondere il messaggio, gestire il sapere, osservare e vagliare l'animo degli uomini, inquisire ogni spinta che osi attraversare quel timore".

E alla Congregazione del Santo Uffizio e alla Santa Inquisizione il ruolo di cacciare i nemici della chiesa all'interno prima, indebolendo e facendo fallire i caratteri della Riforma. Ma rivolto anche all'interno della Chiesa stessa: contro quella parte più riformista, aperta le idee dall'esterno, al cambiamento.

Q. è la storia di battaglie, in realtà di tante sconfitte. Tante come i morti che, volgendo lo sguardo al passato, il narratore ricorda ancora con dolore. Ma è anche una battaglia in nome delle idee di libertà, progresso, giustizia, che non moriranno mai. Ci sarà sempre una persona, come in questo libro, che vivrà per portarle avanti.

Una nota sullo stile di scrittura: i ricordi del capitano Gert (la voce narrante) sono raccontati in periodi brevi, frasi scarne, con verbi e nomi.
Una scrittura "visuale", asciutta, povera di articolazioni ma ricca di sensazioni. Quasi più sceneggiatura che scrittura.

Il sito di Wu Ming, e le voci relative al romanzo e al collettivo su Wikipedia.
Qui potete scaricare il libro.
Il libro su internetbookshop.

Technorati: , ,

1 commento:

Giulia ha detto...

Bellissimo romanzo, storia geniale anche se il pathos talora scende un po'. Il finale mi sembra la storia di Bersani, Veltroni & Co., che si adagiano dimenticando le battaglie passate.
Chi lo ha amato non potrà apprezzare anche IL VIOLINO DI GALILEO, che ne rappresenta l'ideale continuazione in chiave barocca, assolutamente da leggere!