04 agosto 2007

La gita a Tindari di Andrea Camilleri

La morte di un picciotto che, non si sa come, faceva la bella vita. Ucciso con un colpo in faccia davanti il portone di casa.
La scomparsa di due vicchiareddri, i coniugi Griffo, spariti dopo una gita a Tindari.
Il vecchio boss Don Balduccio Sinagra che manda messaggi pieni di sottintesi (“alla siciliana”) sulla nuova mafia emergente che non guarda in faccia a nessuno, mentre noi “sapevamo quale era la linea che separava l'uomo dalla vestia”.
Queste le premesse del libro che, probabilmente, rappresenta la punta più alta dal punto di vista giallistico, del maestro.

Una trama complessa, che si sviluppa attraverso piccole intuizioni, maturate magari sotto l'ulivo saraceno, con quei rami così contorti e intorciniati, come i ragionamenti del commissario.
Che lavoro faceva Nenè Sanfilippo, per poter tenere quel tenore di vita? Che significato ha il suo libro-romanzo (per dirla alla Catarella) nel quale racconta una storia di robot?
Esiste qualche legame con i Griffo (i vicchiareddri), che abitavano nello stesso stabile, ma conducevano una vita normale, senza dare confidenze a nessuno?
Qual'è la malattia misteriosa che li ha portati a fare quella gita? E poi alla loro morte?

Ci arriverà pian piano alla soluzione: con il solito aiuto di Fazio (il suo angelo custode), del suo ulivo, di Ingrid (la svidisa) e di Mimì Augello. Qui alle prese con un matrimonio, che Montalbano stesso (un vero diavolo) farà saltare.
La verità arriverà dura, spietata e verrà svelata piano piano e segnerà il primo segnale dell'inizio della vecchiaia per il commissario.
Perchè la nuova mafia si è adeguata ai tempi: usa internet, i computer, si è globalizzata. E' già pronta per il 2000, mentre lui è un uomo del secolo passato.
Ma se usa la tecnologia è del futuro, l'orrore che emerge ha sempre la stessa faccia:

“la prima immagine che vide fu quella di un campo di concentramento, non dei tempi di Hitler, ma di oggi. In qualche parte del mondo che non si capiva, perchè le facce di tutti quelli che patiscono l'orrore sono sempre uguali”.

Ne La gita a tindari, la scoperta del intreccio giallo si associa al piacere della lettura, elegante, colta, divertente. Come i dialoghi tra il commissario e Catarella

“Ca quali affari e affari. Littre di pilo sono”
“Non ho capito”.
Arrosì Catarella.
“Sono littre comu a dire d'amori, ma ...”
“Va bene, ho capito. E in quei dischetti?”.
“Cose vastase, dottori. Mascoli con fimmine, mascoli con mascoli, fimmine con fimmine, fimmine con armali ...”
La faccia di Catarella pareva pigliasse foco da un momento all'altro.
“Va bene Catarè. Stampameli”.
“Tutti? Fimmine con omini, omini con omini ...”.
Un romanzo dove, assieme a Montalbano, si compie un viaggio, una pagina dopo l'altra, con gli occhi della mente, tra i personaggi dell'universo metaforico di una Sicilia che si poggia su radici antiche; tra i piatti che, oltre al palato, arricriano l'anima; un viaggio raccontato con quel linguaggio musicale che mescola dialetto siciliano e lingua italiana.
Buon viaggio.

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Il sito di Vigata e la terza di copertina.
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