24 agosto 2005

La prima inchiesta di Maigret di George Simenon

Al commissariato di Saint-Georges, una notte, un musicista si presenta a denunciare un presunto omicidio, in rue de Chaptal, presso la villa dei signori Gendreau-Balthazar. Ad accogliere la denuncia è il giovane segretatio del commissario Le Bret, Jules Maigret. Justin Minard, il musicista, riferisce di aver sentito uno sparo e di aver bussato alla porta della villa. Dopo aver insistito al campanello, il maggiordomo lo avrebbe anche colpito con un pigno. Entrambi si Maigret si precipitano alla villa, dove vengono accolti dal figlio, Richard, il quale nega lo sparo, anzi, invita Maigret a visitare tutte le stanze per cercare il corpo del morto. Nega anche che la sorella, Lise, che vive nella stanza da cui sarebbe partito il colpo, sia presente in casa. Maigret non si rassegna, ed inizia un'indagine personale, avallata, almeno inzialmente, dal tacito consenso del capo, il commissario Le Bret.

Inizia così “La prima indagine”, libro scritto nel 1948, molti anni dopo che il personaggio di Maigret aveva preso forma dalla penna di Simenon. E' il debutto investigativo di Maigret, appena ventiseienne, da poco sposato e non ancora commissario, che qui abbozza per la prima volta gesti e comportamenti che saranno segni distintivi del suo carattere. Come il Calvados o la capacità di giudicare una persona da pochi sguardi, grazie al sui intuito e alle sue eccezionali doti di analisi.
Che Maigret emerge da questo libro? Un ragazzo giovane, ancora un po' timido, pronto a rassegnare le dimissioni alla prima delusione professionale o al primo richiamo da parte del suo superiore. Ma con una tenacia e un orgoglio che lo portano a portare a termine la sua indagine anche contro il volere dei superiori, desiderosi di non creare uno scandalo che coinvolga l'ambiente aristocratico da dove tutto è partito. Un Maigret che non ha nessuna accondiscendenza nei confronti dei superiori o delle persone che contano, come i signori Gendreau-Balthazar, i quali non si fanno scrupolo di far pesare su Maigret l'amicizia personale con Le Bret.

Ma è soprattutto un Maigret con le idee chiare sul proprio lavoro e sul futuro cui aspira: un futuro che lo vede funzionario presso Quai des Orfevres, negli uffici della polizia Giudiziaria di Parigi. Ecco come, egli stesso, parla della sua scelta di entrare in polizia:

A dire il vero, il mestiere che aveva sempre sognato non esisteva. Da ragazzo, al paese, aveva come l'impressione che un sacco di gente non fosse al posto suo, o prendesse una strada sbagliata unicamente perchè non aveva le idee chiare.

E immaginava un uomo di infinita saggezza, e soprattutto di infinita perspicacia, al tempo stesso medico e sacerdote, un uomo in grado in un'occhiata di intuire il destino delle persone. Un uomo da consultare come si consulta un medico. Una specie di accomodatore di destini. E non solo perchè intelligente - forse non aveva neanche bisogno di un'intelligenza eccezzionale -, ma perchè capace di vivere la vita di chiunque, di mettersi nei panni di chiunque.

Maigret non aveva mai parlato di questo con nessuno. Né osava pensarci troppo seriamente per paura di sentirsi ridicolo. Non potendo portare a termine gli studi di medicina, era comunque entrato nella polizia, per caso. Ma era stato poi veramente un caso? E i poliziotti non sono qualche volta proprio degli accomodatori di destini?”

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1 commento:

antonella zatti ha detto...

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