20 luglio 2025

Il biennio di sangue di Luca Tescaroli

 

1993-1994. Le menti e gli esecutori degli attentati di cosa nostra nel continente

Lavoravo alla procura Distrettuale Antimafia di Caltanissetta quando si verificarono gli attentati nelle città di Roma, Firenze e Milano, e stavo iniziando ad occuparmi di Capaci, avvenuta il 23 maggio 1992, e dell’attentato dell’Addaura pianificato per il 21 giugno 1989 per colpire Giovanni Falcone e i componenti della delegazioni elvetica in quei giorni a Palermo.

Avevo ancora nella mente le immagini desolanti dell’enorme cratere, di quella Croma scagliata a oltre sessanta metri di distanza dall’enorme deflagrazione, con all’interno i cadaveri straziati di Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro, quella folla enorme e scomposta di persone che si riversavano nell’area aperta a tutti per andare a rendere omaggio alle vittime o semplicemente a curiosare [..]

Immagini che mi apparvero come lo specchio su cui si rifletteva uno Stato assente e distratto, che per tanti anni aveva tollerato o, forse, favorito, il dilagare del crimine organizzato.

Come sono stati individuati gli autori delle stragi del “biennio di sangue”, 1993-1994? Quali le prove che hanno consentito agli inquirenti di portarli a processo e ai giudici di condannarli a svariati anni di carcere? In che modo si è giunti alle condanne a Spatuzza, i fratelli Graviano, Riina e Bagarella i vertici dell’ala corleonese che in quegli anni comandava dentro cosa nostra?

La prima parte del racconto si occupa proprio di questo elencando nomi, circostanze, le confessioni degli stessi esponenti delle cosche rese davanti ai magistrati, una volta presa la scelta di diventare collaboratore di giustizia.

Luca Tescaroli oggi procuratore a Prato (dove ha chiesto di aprire una nuova direzione distrettuale antimafia per contrastare la criminalità organizzata cinese) si concentra sulle stragi di Firenze in via dei Georgofili del 26 maggio 1993, sulla strage in via Palestro a Milano e sugli attentanti a Roma del 27 luglio 1993. Oltre agli attentati al giornalista Maurizio Costanzo, il 14 maggio 1993, al fallito attentato a Totuccio Contorno nel 1993 e all’ultima bomba, l’ultima di questa scia di sangue e tritolo (e molto altro) cominciata con la bomba a Capaci, il 23 giugno 1992.

Un biennio di sangue che ha rappresentato la più grave minaccia contro le istituzioni italiane portata avanti da cosa nostra, in prima linea, su cui ancora si deve chiarire se ci siano stati, oltre a i boss, altri mandanti a volto coperto da ricercare sia dentro le istituzioni stesse, sia dentro altre centri di potere tra cui massoneria e pezzi dei servizi.

Come ricorda lo stesso autore, lo stragismo non rappresentava una novità nella storia del nostro paese: quelli che sono passati alla storia come gli anni della strategia della tensione sono stati caratterizzati da attentati contro banche, treni, sindacati riuniti in piazza, tentativi di colpi di stato che avevano come obiettivo quello di lanciare messaggi a chi di dovere dentro le istituzioni.

Quello che colpisce della scia di attentati del 1992-93-94 è quanto abbiano inciso nelle scelte politiche fatte dai vari governi: come per le bombe fasciste di Milano 1969 e Piazza della Loggia 1974 l’obiettivo era destabilizzare per stabilizzare l’asse politico in senso centrista e ostacolare la crescita dei partiti di centro sinistra, l’obiettivo delle bombe di cosa nostra era lo stesso, destabilizzare per non poi trovare all’interno dei partiti nuovi referenti politici.

Cambiare tutto per non cambiare nulla negli equilibri tra stato e mafia.

C’è un filo nero che lega le stragi fasciste a quelle mafiose (sempre che sia solo mafia): la presenza di esponenti dell’arcipelago nero come Paolo Bellini, condannato per la strage fascista di Bologna del 1980 e confidente dei carabinieri nel 1993. Nonché suggeritore a Nino Gioè della strategia di colpire le opere d’arte come strumento di ricatto per lo stato.

E poi Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale, nata da una scissione del movimento sociale, indagato più volte per le stragi fasciste degli anni settanta e sempre assolto.

La pista nera arriverebbe anche a lui: come racconta il collaboratore dei carabinieri Alberto Lo Cicero, Delle Chiaie sarebbe stato visto a Capaci nei mesi precedenti la strage.

Il retroterra stragista degli anni Settanta e Ottanta e il momento di massimo pericolo per la democrazia nel nostro Paese

Lungo il sentiero del tempo che attraversa gli anni Settanta, Ottanta e Novanta, membri appartenenti alla destra eversiva e all’associazione mafiosa denominata Cosa nostra incisero profondamente nella vita democratica della nostra Nazione con il ricorso a dirompenti ordigni esplosivi che hanno prodotto plurime stragi, seminando panico, distruzione, lutti e una diffusa insicurezza nella collettività. Alle bombe nere dei neofascisti degli anni della strategia della tensione [..] si affiancarono le stragi volete ed eseguite dai corleonesi giunti alla guida di cosa nostra, nel quadro delle ipotizzate convergenze di interessi con soggetti esterni alla stessa organizzazione.

Prosegue poi Tescaroli:

Nella fascia temporale che ha preceduto l’esecuzione di queste otto stragi [quelle del 1993 e il mancato attentato allo stato di Roma nel gennaio 1994] sono affiorati e, comunque, sono rimasti sullo sfondo rapporti tra esponenti della destra estrema, come Paolo Bellini risultato in contatto con il mafioso Antonino Gioè, che riportavano alla mente le stragi neofasciste degli anni Settanta e Ottanta.

L’aggressione rappresentò il momento di massimo pericolo per la nostra democrazia, che venne profondamente ferita, e l’attacco più grave posto in essere da Cosa nostra.

La parte più interessante del racconto però è quella successiva: nella seconda metà si raccolgono tutti quegli spunti investigativi ancora da seguire perché o legati a punti poco chiari delle indagini o perché spunti meritevoli di approfondimento.

Perché una cosa va chiarita: nonostante le celebrazioni, le parole di circostanza da parte della politica (la stessa che poi attacca i magistrati quando toccano i loro interessi, la stessa che depotenzia la magistratura togliendo strumenti per fare indagini), siamo ancora lontani dalla piena verità su Capaci, sulla strage di via D’Amelio e sugli attentati avvenuti a Firenze, Roma e Milano.

.. occorre evidenziare che, in ordine ai fatti stragisti terroristico-eversivi del biennio 1993-94, dai processi celebrati, sono emersi spunti investigativi che hanno imposto e impongono di continuare a indagare per verificare se sia dimostrabile sul piano processuale una convergenza di interessi di ulteriori soggetti estranei al sodalizio mafioso [..]
Tutto questo fa parte di altri filoni di indagini, che impongono di continuare a indagare non solo perché questo è un obbligo giuridico, ma perché è la memoria delle vittime innocenti e dei tanti feriti, unitamente al condizionamento provocato da tali attentati alla nostra democrazia, che lo richiede.

Partiamo da Capaci: come mai il commando che era stato mandato a Roma, di cui faceva parte anche Gaspare Spatuzza, nella primavera del 1992 per seguire Maurizio Costanzo e Giovanni Falcone in previsione di un attentato, è stato richiamato poi in Sicilia da Riina?

Perché l’accelerazione sulla strage di via D’Amelio contro Paolo Borsellino e la sua scorta a soli 57 giorni dalla morte di Giovanni Falcone?
Come mai pezzi delle istituzioni hanno costruito il finto pentito Scarantino, un piccolo spacciatore ritenuto credibile in tre gradi di giudizio? Forse per allontanare le indagini dai fratelli Graviano?

Va chiarito il ruolo di Paolo Bellini, confidente dei carabinieri e suggeritore della strategia terroristica di colpire le opere d’arte: “Come mai le anticipazioni sulle intenzioni degli appartenenti a Cosa nostra veicolate a esponenti delle Forze dell’Ordine da Bellini, non hanno consentito di impedire l’escalation di violenza del 1993?”

Meriterebbe un approfondimento la morte di Nino Gioè uno degli autori della strage di Capaci, morto in uno strano (e poco credibile) suicidio in carcere, dopo aver scritto una lettera-testamento dove citava pure Bellini.

Questa storia del suicidio di Gioè secondo me è un altro segreto che ci portiamo appresso”, diceva Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico di Giorgio Napolitano al Quirinale, intercettato mentre parlava al telefono con Nicola Mancino. Ai magistrati di Palermo spiegò il senso delle sue parole: “A me quel suicidio non mi è mai suonato… mi ha turbato, mi turbò nel ’93 e mi turba ancora”. Il corpo senza vita di Gioè lo trovano la notte tra il 28 e 29 luglio del ’93: esattamente 24 ore dopo la stragi di via Palestro, di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio in Velabro.

Anche sulla strage di via Palestro c’è un buco nero: chi ha materialmente compiuto gli ultimi atti della strage a Milano? Il racconto dei mafiosi termina diverse ore prima, come se i mafiosi avessero lasciato l’operazione ad altri soggetti esterni alla mafia.

Come quella misteriosa donna bionda vista da testimoni vicino alla Uno bianca poi esplosa nella notte del 27 luglio.

Il 1993 è stato l’anno di tangentopoli, dello scandalo dei fondi neri del Sisde, del tentato golpe alla rai di Saxa Rubra, del rinvenimento dell’esplosivo sul rapido Siracusa-Torino, collocato da un funzionario dei servizi di Genova, della crisi economica del Paese.

Un anno di forti sconvolgimenti che hanno destabilizzato il paese, anche per le rivendicazioni fatte da una misteriosa sigla “Falange armata”: chi c’era dietro queste rivendicazioni, non solo sulle bombe ma anche sui delitti compiuti dalla Uno Bianca in Romagna?

E poi la trattativa stato-mafia: nonostante l’opera incessante dei negazionisti della trattativa (ovvero del ricatto a organi dello stato portato avanti da cosa nostra con gli attentati), questa trattativa c’è stata.

Lo dicono gli stessi ufficiali del Ros, se ne è ricordato dopo anni di distanza lo stesso Martelli: gli incontro tra uomini dello stato e intermediari mafiosi ci sono stati. Come ci sono state le reazioni da parte del governo Amato in reazione alle stragi, il 41 bis revocato a diversi mafiosi, l’avvicendamento al DAP in primis.

Scrive la Cassazione nella sentenza sulle strage di Firenze in via dei Georgofili:

[…] L’escalation di violenza che contrassegnò la stagione delle stragi era finalizzata a indurre alla trattativa lo Stato, ovvero a consentire un ricambio sul piano politico che, attraverso nuovi rapporti.

Commenta Tescaroli:

Dunque, sono stati acquisiti dati probatori, attraverso i processi celebrati, idonei a ritenere che siano esistite delle trattative, che i vertici dell’organizzazione mafiosa abbiano ricevuto oggettivamente un segnale istituzionale idoneo, nella loro prospettiva.

Sono domande che allargano l’orizzonte delle indagini andando oltre la sola cosa nostra: come mai le stragi sono finite nel 1994, poche settimane prima dello scioglimento del governo Ciampi e delle nuove elezioni, quelle in cui vinse il partito di Berlusconi, Forza Italia.

Il partito si cui, secondi diversi pentiti, si sarebbero convogliati i voti della mafia.

Il partito di Marcello Dell’Utri, il partito di Antonio D’Ali, entrambi condannati per concorso esterno in associazione mafiosa.

La scheda del libro sul sito di Paper First

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19 luglio 2025

Borsellino, la lotta alla mafia e la normalizzazione della mafia

Immagine presa dal sito 19luglio

Oggi è il giorno del santino del giudice Paolo Borsellino, magistrato del pool antimafia di Palermo (e poi a Trapani per tornare ancora a Palermo), ucciso da un’autobomba davanti casa della madre in via D’Amelio il 19 luglio 1992 assieme alla sua scorta, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli.

Un attentato avvenuto a 57 giorni di distanza dall’altra bomba, quella che uccise a Capaci Falcone, Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta (Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro ).

Perché il giorno del santino? Perché nelle celebrazioni che si terranno oggi in memoria si racconterà di un altro Borsellino, quello diventato appunto un’icona per la politica (e per i professionisti dell’antimafia di facciata): Borsellino l’eroe, Borsellino che, come Falcone, lavorava senza fare show mediatici. Borsellino emblema della lotta alla mafia.. l’attuale presidente del consiglio ricorda sempre di essere entrata in politico dopo l’attentato di via D’Amelio.

Ma dimentica tante altre cose: che il suo partito è andato al governo nel 1994, il primo della seconda Repubblica nata sul solco della stragi e della trattativa stato-mafia, assieme ad un partito fondato da un politico molto chiacchierato.

E, ma non solo Meloni, ci si dimentica dei tanti attacchi che il pool di Palermo e Falcone con Borsellino in primis, subirono da vivi. Questo è il destino riservato agli eroi nel nostro paese: il pool di Chinnici e Caponnetto poi furono attaccati dalla DC regionale perché si erano permessi di entrare nelle banche, perché volevano fare luce su quella zona di contiguità (perché complicità non si poteva dire) tra politica e mafia.

Perché finalmente si facevano indagini sui fratelli Salvo, gli esattori della tasse regionali grandi elettori della DC, su Vito Ciancimimo, il più politico dei mafiosi di Corleone (parole di Falcone), su Salvo Lima, il primo politico ad essere liquidato da Riina dopo la conferma in Cassazione del Maxi Processo, il 30 gennaio 1992.

La carriera di Falcone in magistratura fu bocciata più volpe per i tanti giuda presenti anche tra i colleghi e nel CSM. A Borsellino fu contestata la nomina a procuratore capo a Trapani da un “brutto” articolo di Leonardo Sciascia uscito sul corriere, quello dei “professionisti dell’antimafia”. Per fortuna poi lo scrittore e il giudice ebbero modo di chiarire quanto successo.

Oggi nelle tante celebrazioni si dirà che lo stato ha vinto: i responsabili di Capaci e i vertici dell’ala corleonese che hanno organizzato le stragi del 1992-1993 sono stati arrestati, molti di loro hanno scelto la strada della collaborazione, aiutando i magistrati a chiarire altri episodi di mafia.

Ma lo stato non ha vinto: è stata eliminata l’ala corleonese di cosa nostra, quelli per cui bisogna “Fare la guerra per poi fare la pace ”, come disse Riina ai suoi collaboratori.

Eppure in questi anni si è consentito a Bernardo Provenzano una lunga latitanza di 43 anni: lo stato poteva arrestato a Mezzojuso, grazie al lavoro del colonnello Michele Riccio, ma poi il Ros di Mario Mori decise altrimenti. Sono accadute strane cose nella guerra alla mafia: la mancata perquisizione al covo di Riina, la mancata cattura di Provenzano, la latitanza dorata di Matteo Messina Denaro (considerato l’ultimo padrino) durata quasi 30 anni. Arrestato nel gennaio 2022 mentre si recava in una clinica privata (sempre che vogliamo credere a questa versione..).

La trattativa stato mafia, gli incontri tra uomini delle istituzioni e portavoce dei boss, per mettere fine a queste bombe (quelle di Capaci e via D’Amelio, come anche gli omicidi dei politici che non avevano garantito l’impunità dei boss).

Oggi ci diranno che la trattativa non c’è stata, sono stati tutti assolti d’altronde gli uomini dello stato, gli ufficiali del Ros e i politici che erano stati chiamati a processo.

Certo, i contatti ci sono stati, c’è stato il papello, lo stato ha revocato il 41 bis a diversi boss sottoposti al carcere duro, come azione distensiva nei confronti di cosa nostra. Alcune delle richieste di Riina contenute nel papello sono diventate legge: lo smantellamento delle supercarceri, la riforma della legge sui pentiti..

Oggi, sotto i nostri occhi, sta avvenendo una riscrittura della lotta alla mafia: altro che pista nera, altro che entità esterne che hanno concorso ad organizzare le stragi (massoneria, ex esponenti di Gladio che non intendevano farsi mettere a pensione col crollo del muro di Berlino).

Oggi la nuova commissione antimafia gestita dal partito di destra di Meloni sotto l’influenza di Mario Mori ci dice che Falcone è stato ucciso perché era nemico della mafia. E che dietro la strage di Borsellino c’è il rapporto mafia-appalti.

Per credere a queste fandonie basta dimenticare tutti i pezzi che mancano, tutte le cose che non tornano dietro alle verità ufficiali.

Le deposizioni del collaboratore di giustizia Alberto Lo Cicero che parla della presenza di Stefanao Delle Chiaie a Capaci presumibilmente per preparare la strage (La pista nera di cui ha parlato Report in diversi servizi).

Del falso pentito Vincenzo Scarantino, un pupo vestito ad arte da uomini dello stato, il capo della mobile La Barbera: come mai lo stato ha costruito questo falso pentito per inventarsi una falsa pista dietro via D’Amelio?

LA vera domanda è, come mai questa seconda strage, a soli 57 giorni da Capaci? Dopo la seconda bomba il parlamento fu costretto ad approvare il decreto Falcone (che era rimasto fermo) che conteneva il carcere duro.

Cosa spinse la mafia e Riina a questa accelerazione?

Chi era il giuda, il falso amico che aveva tradito Borsellino (fu una delle ultime confidenze fatte a due suoi collaboratori)?

Serviva dare un altro colpetto a questa seconda repubblica e ai suoi partiti (alle prese anche con le inchieste sulla corruzione) per preparare il terreno all’uomo nuovo, ad una seconda repubblica dove tutto cambia per non cambiare nulla (per citare il Gattopardo)?

È uscito recentemente per Paper First un libro scritto dal procuratore Luca Tescaroli, “Il biennio di sangue” che ripercorre le bombe successive, quelle fatte scoppiare a Roma, in via Fauro il 14 maggio 1993 contro il giornalista Maurizio Costamzo.

A Firenze alla torre dei Pulci in via Georgofili il 26 maggio 1993. La bomba a Milano il 27 luglio 1993 in via Palestro.

Poi le due bombe fatte scoppiare a Roma, sempre nella notte del 27 luglio, davanti le chiese di san Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro durante la notte delle bombe che fece pensare, all’allora presidente del consiglio Ciampi, che si stesse preparando un colpo di stato.

Ricordo come fosse adesso quel 27 luglio, avevo appena terminato una giornata durissima che si era conclusa positivamente con lo sblocco della vertenza degli autotrasportatori. Ero tutto contento, e me ne andavo a Santa Severa per qualche ora di riposo. Arrivai a tarda sera, e a mezzanotte mi informarono della bomba a Milano. Chiamai subito Palazzo Chigi, per parlare con Andrea Manzella che era il mio segretario generale. Mentre parlavamo al telefono, udimmo un boato fortissimo, in diretta: era l'esplosione della bomba di San Giorgio al Velabro. Andrea mi disse "Carlo, non capisco cosa sta succedendo...", ma non fece in tempo a finire, perché cadde la linea. Io richiamai subito, ma non ci fu verso: le comunicazioni erano misteriosamente interrotte. Non esito a dirlo, oggi: ebbi paura che fossimo a un passo da un colpo di Stato. Lo pensai allora, e mi creda, lo penso ancora oggi... ".

Il colpo di stato non è avvenuto. Ma la normalizzazione della mafia, si quella c’è stata. La lotta contro la mafia (non solo l’ala militare, ma anche la mafia imprenditoriale, la mafia dei camici bianchi, la mafia del cemento, la mafia dei supermercati, dentro la finanza..) si è via via depotenziata.

È solo bastato aspettare. Governo dopo governo. Con gli attacchi ai pochi magistrati che si ostinano a fare il loro dovere contro la criminalità organizzata.

Tagli alle intercettazioni, riforme in senso garantista che limitano l’azione giudiziaria e il diritto ai cittadini ad essere informati.

Qualche ministro arriva persino a pensare che si debba tornare a fare le indagini come una volta, coi pedinamenti.

Dimenticandosi di quanto è successo 33 anni fa.

Riprendiamo dal libro di Luca Tescaroli, “Il biennio di sangue”

Il retroterra stragista degli anni Settanta e Ottanta e il momento di massimo pericolo per la democrazia nel nostro Paese

Lungo il sentiero del tempo che attraversa gli anni Settanta, Ottanta e Novanta, membri appartenenti alla destra eversiva e all’associazione mafiosa denominata Cosa nostra incisero profondamente nella vita democratica della nostra Nazione con il ricorso a dirompenti ordigni esplosivi che hanno prodotto plurime stragi, seminando panico, distruzione, lutti e una diffusa insicurezza nella collettività. Alle bombe nere dei neofascisti degli anni della strategia della tensione [..] si affiancarono le stragi volete ed eseguite dai corleonesi giunti alla guida di cosa nostra, nel quadro delle ipotizzate convergenze di interessi con soggetti esterni alla stessa organizzazione.

Per poi proseguire:

Nella fascia temporale che ha preceduto l’esecuzione di queste otto stragi [quelle del 1993 e il mancato attentato allo stato di Roma nel gennaio 1994] sono affiorati e, comunque, sono rimasti sullo sfondo rapporti tra esponenti della destra estrema, come Paolo Bellini risultato in contatto con il mafioso Antonino Gioè, che riportavano alla mente le stragi neofasciste degli anni Settanta e Ottanta.

L’aggressione rappresentò il momento di massimo pericolo per la nostra democrazia, che venne profondamente ferita, e l’attacco più grave posto in essere da Cosa nostra.

Finché ci racconteremo la storiella dei santini, la verità di comodo sulla morte di Falcone e Borsellino (e di tutte le altre vittime innocenti), la nostra democrazia sarà ancora sotto ricatto.

15 luglio 2025

Sangue marcio, di Antonio Manzini


Nel caos primordiale, quando nuvole di gas velenose correvano intornio ai geiser sputati dalle temperature infernali della terra, delle molecole vagavano solitarie nell’aria impestata di miasmi.

Un lampo accidentalmente unì le particelle di idrogeno e ossigeno che avrebbero dato vita all’acqua, e dentro quell’acqua organismi monocellulari cominciarono a riprodursi. Era cominciata la vita. È nata così, casualmente. E altrettanto casualmente finirà. [..] Siamo appesi ad un filo. E io non faccio che ricordarlo questo fatto. Non c’è Dio. C’è la natura. E la natura siamo noi.

Siamo appesi ad un filo: altro che disegno divino, il caos primordiale da cui sarebbero poi arrivate le prima cellule da cui poi, molto tempo dopo, sarebbero diventate uomo..., è tutto solo frutto del caos. E dunque se non esiste un disegno superiore, siamo solo noi a decidere le sorti della nostra vita e di quelle delle persone che ci stanno attorno, anche quelle che incrociano una sola volta in tutta la nostra esistenza.

Dio siamo noi.

Così parla la voce narrante di questo romanzo, il primo scritto da Antonio Manzini nel lontano 2005 e pubblicato originariamente da Fazi.

Un romanzo duro che, come racconta nella prefazione lo stesso autore, era stato mandato a Martina Donati della casa editrice Fazi, su suggerimento dell’amico Niccolò Ammaniti.

L’aveva vista giusta, Niccolò: forse la forma è ancora ruvida, ma il materiale (che poi avrebbe portato alla serie con Rocco Schiavone) c’è tutto: lo scavare dentro la psicologia dei personaggi, a cominciare dall’io narrante che si mette letteralmente a nudo, senza nasconderci nulla.

Un voler affondare a piene mani nella dura realtà di tutti i giorni, la vita reale con le sue meschinità, le belle famiglie allegre, ma solo di facciata, con le loro meschinità o crudeltà ben nascoste.

Una capacità di scrittura che non stanca, anzi, tiene incollato fino in fondo, all’ultima pagina, anche in romanzi come questo dove, senza voler rilevare nulla, si arriva all’assassino conoscendone già la sua identità.

E la quarta che trovano. Buttata come un sacchetto di rifiuti in mezzo ai rovi.

Massimo e Pietro erano due bambini come tanti, anzi, più fortunati di tanti: figli di un industriale del parmense, avevano passato un’infanzia felice, potendosi permettere tanti lussi, dai giochi fino alla casa al mare in Liguria.

Massimo era il più grande, tre anni di distanza dal secondo Pietro, cresciuto nell’ammirazione del maggiore, capace di intimorirlo con la sua uscita “vai a nasconderti in Tibet”.

Quando ero bambino mi terrorizzavano un sacco di cose. I mostri come gli artigli nascosti nel buio o sotto il letto, pronti a saltarmi addosso. L’uomo nero o la vecchia con gli occhi di luce che entravano nella stanza facendo scricchiolare le porte e gli armadi.

[..] Poi col passare del tempo ho imparato che il buio era diventato meno buio. Col buio ci si può parlare. E ci stavo bene.

Un giorno le loro vite hanno preso un’altra direzione: prima l’arresto del padre con l’accusa di essere il mostro delle cinque terre, responsabile della morte di diversi ragazzini.

Poi il processo, l’allontanamento da quella città, il vedere il mondo con occhi diversi, a cominciare dalla madre.

Ero un bambino felice. Facevo le cose che fanno tutti i bambini felici. Questo fino al 12 ottobre 1976.

Le vite di Massimo e Pietro si sono interrotte in quel giorno e, in seguito, si sono anche divise: Massimo è finito in Inghilterra a studiare mentre Pietro, ce lo racconta lui stesso in prima persona, è finito in un collegio a Torino.

In un continuo andare avanti e indietro nel tempo andiamo a conoscere Massimo e Pietro oggi, a trent’anni di distanza da quando la loro vita si è interrotta.

Massimo Sini è diventato commissario a l’Aquila ed è alle prese con un assassino seriale: un serial killer metodico che uccide le sue vittime, bionde e con gli occhi azzurri, soffocandole e sottoponendole ad un rituale brutale. Non lascia nessun segno utile alle indagini fino ad ora, con le quattro ragazzo uccise.

Pietro è diventato un cronista di nera e col suo giornale sta seguendo anche lui questa indagine che, per la brutalità del crimine, per come colpisce questo “mostro” ha attirato l’attenzione di diverse testate nazionali.

Nonostante i tanti anni di lontananza, c’è un rapporto particolare tra Massimo e Pietro, non hanno bisogno di molte parole per capirsi:

E’ sempre stato così tra loro. Se si guardano provano quello che sente l’altro. Neanche fossero due gemelli. Sono legati come due molecole..

Da una parte seguiremo l’andamento delle indagini, sia da parte del giornalista che da parte della polizia.

Ma in parallelo seguiremo anche la storia di Pietro, raccontata dalla sua stessa voce: una storia di violenze, di ricordi di quella famiglia che non c’è più che si fa fatica a cancellare. E poi il desiderio di controllo delle altre persone, come un Dio, meglio, più di un Dio perché non ne esiste uno, c’è solo il caos, gli istinti primordiali che non si possono fermare..

La leggerete senza fermarvi mai questa storia, che non è la rivelazione di un assassino, ma dei perché che stanno dietro. La storia di due ragazzi sopravvissuti alla morte del padre (e al suicidio della madre), cresciuti soli, senza una guida e senza la possibilità di affrontare quel dolore per la perdita dei genitori. Due ragazzi cresciuti lontani ma tenuti assieme da una chimica speciale – forse proprio quel caos primordiale di cui si parla nell’incipit – e che spiega questo amore, forte e indissolubile, che li legherà, fino alla fine.

Dovrò raccontar i particolari di tutti gli omicidi? Non credo, parlano da soli. Dovrei fingere di provare rimoso? E perché? Non provo alcun rimorso anzi, lo rifarei. Per quei brevi momenti in cui senti una vita spegnersi fra le tue mani rinascerei e lo rifarei. Lì il cielo diventa terra, e la terra il cielo, e voli fendendo le stelle ..

La scheda del libro sul sito di Piemme editore
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

10 luglio 2025

La morte non paga doppio, di Bruno Morchio


Cavolaie. È questo il nome delle farfalle dalle ali bianche che in primavera disegnano nell’aria fulminee traiettorie a zig-zag che ricordano il tracciato di un elettrocardiogramma fuori controllo.

I diecimila euro ricevuti da Luigi il vecchio per risolvere una brutta faccenda in uno dei suoi bordelli (raccontata nel primo libro "La fine è ignota") non hanno certo reso Mario Migliaccio un uomo ricco. Semplicemente è salito di qualche gradino nella scala sociale: un conto in banca, un guardaroba nuovo, un’immagine meno sciatta.

Ma rimane sempre l’investigatore abusivo dei carruggi, della Genova vecchia, tra prostitute, extra comunitari e gente abituata a vivere alla giornata senza farsi troppe illusioni sul domani.

Lo avevamo incontrato per la prima volta nel romanzo “La fine è ignota”: 30 anni un soldo in tasca, il rischio di finire a dormire sotto un ponte e un lavoro precario (e mal pagato) da investigatore senza tesserino.

L’indagine sulla ragazzina morta nel bordello di Luigi il Vecchio lo aveva reso meno vulnerabile ai mali della vita ma soprattutto gli aveva permesso di strappare da quel lager Milca, la ragazzina albanese sfruttata come giocattolo per adulti pervertiti, ora ospitata in casa dell’amica Soledad.

«Il mese scorso sua cugina è rimasta vedova. Hai sentito di quel tipo che hanno trovato morto sotto le mura del forte a Sampierdarena?»

Sarà proprio Milca a parlargli di una sua amica, conosciuta a scuola, che gli parla di una sua cugina, Alina: il marito è morto, ufficialmente per overdose. Ma la moglie è convinta che sia stato ucciso.

Per la sua indagine Mario comincia a parlare con l’ispettore romano Spaggiari: si occupa di scippi e spaccio, reati dove sono coinvolti spesso immigrati da tutto il sud del mondo, ed è così che le loro strade si sono incrociate.

Ufficialmente Anton Mitrescu è morto per droga, l’indagine è stata archiviata, perché sbattersi per un immigrato con tutti i problemi che abbiamo?

Eppure, come gli racconta Alina, la moglie che ancora conserva un barlume della sua bellezza, ci sono cose che non tornano: Anton non si era mai drogato, certo beveva e picchiava pure la moglie, ma la droga mai. Negli ultimi mesi poi tornava a casa la sera stanco, dopo una giornata di lavoro in un cantiere.

Bisognerebbe capire in quale cantiere lavorava, se era in regola, se, se, se …

L’esperienza mi ha insegnato che condurre un’indagine è come mixare un cocktail del quale nessuno conosce la ricetta. Troppe variabili imprevedibili, troppi ingredienti sconosciuti.

Uno di questo ingredienti sconosciuti è proprio il caso: è infatti per un colpo di fortuna che Mariolino legge un trafiletto dove si parla di un immobiliarista che era andato dalla polizia perché aveva riconosciuto proprio questo Anton, mentre stava lavorando in un cantiere.

C’è poi un ragazzo di colore, uno di quelli venuti in Italia coi barconi nella speranza di trovare una vita migliore e che invece sono condannati a vivere da fantasma e scappare dalla polizia. Anche lui pare sapere qualcosa del morto..


In questa città, diventata un ospizio a cielo aperto popolato di vecchi che hanno lasciato la speranza nel passato, riservando al futuro le tinte fosche della confusione e della paura, il Campasso è un rione atipico..


Purtroppo nonostante le tante brutte idee, le tante ipotesi che nascono in testa a Mario, il nostro investigatore non si trova in mano niente: nulla da poter portare dall’amico nemico ispettore Spaggiari per riaprire le indagini, nulla per pensare di poter dare giustizia a questa persona morta che ha lasciato soli una moglie e un figlio.

Potrebbe finire qui l’indagine non autorizzata di Mario, prima che l’ispettore gli faccia pagare l’essersi mosso senza un tesserino e l’autorizzazione della Questura.

Prima che le persone contro cui sta andando a sbattere, nella sua indagine, non decidano di dargli una lezione.

«Lascia perdere questa storia. Per il tuo bene e per il loro» e col capo accenna alla direzione opposta della strada, dove è il portone della casa di Alina.

Mario Migliaccio però è uno di quelli abituati ad inciampare per poi rialzarsi, a prendere le botte per poi andare avanti lo stesso.

Perché c’è una verità da scoprire, anche quando questa verità potrebbe fargli perdere il suo guadagno: la morte non paga doppio – è la frase che si sente dire in un sogno forse premonitore.

«Morte paga, ma una volta sola. Se Alina si accontenta di avere una cosa e rinuncia all’altra, allora bene. Ma se vuole tutt’e due, non c’è speranza: la morte non paga doppio».

L’indagine sulla morte sospetta di Anton nasconde un mondo sommerso dove si parla di sfruttatori e sfruttati, di gente abituata a comandare potendo mettersi al di sopra e al riparo dalla legge. E di altre persone, nate dalla parte sbagliata del mondo, abituate a farsi comandare in silenzio. E a morire nel silenzio.

Ma c’è una seconda indagine che per Mario è diventata lo scopo della vita: è quella sulla morte della madre, Wanda, trovata morta nella casa dove riceveva i suoi clienti, nell’anno in cui Mario sosteneva gli esami di maturità. L’anno in cui Mario è diventato improvvisamente adulto, sbattuto nel mondo degli adulti ma lasciato indifeso. Senza una famiglia alle spalle.

La Wanda lavorava in proprio nell’appartamento di vico Indoratori dove sono cresciuto, al quarto piano di un vecchio palazzo popolare senza ascensore, e aveva un certo fiuto nella scelta dei clienti.

L’assassino della madre è sicuramente uno dei clienti della madre: non uno di quei tanti personaggi venuti dalla Wanda per cercare un briciolo di piacere, operai, studenti..

Per questo Mario ha deciso di diventare investigatore privato e sentirsi chiamare con quel soprannome che arriva dal dialetto “scotti”, ovvero “fottignin scottizoso, come dire ficcanaso sporcaccione”.

Un investigatore figlio di una prostituta a sua volta innamorato di un’altra prostituta, Fatima, che vive nel suo stesso palazzo in via Stoppieri. Con una ragazzina, Milca, che vorrebbe venire a vivere da lui. Un investigatore che ha come miglior amico un rom e che si muove nei quartieri di una Genova sospesa tra passato e futuro.

Difficile non sentire l’eco delle canzoni di De Andrè in sottofondo..

Come il precedente (La fine è ignota - Rizzoli), anche questo secondo capitolo della serie con l’investigatore Bruno Migliaccio prende il titolo a prestito da un libro: in questo caso si tratta di Double Indemnity di James Mc Cain pubblicato in Italia col titolo “La morte paga doppio.”

Libro che poi è stato sceneggiato in un film con Fred Mac Murray e Barbara Stanwyck.

La scheda del libro sul sito di Rizzoli

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

06 luglio 2025

Anteprima inchieste di Report – la Cina sommersa, Bandecchi e Unicusano e i finti bandi sulle concessioni balneari

Banche, tribunali, commissari sommersi: il mondo della Cina che non si conosce in Italia.

Poi Unicusano, il sindaco di Terni Bandecchi dopo l’ultima puntata di Report aveva promesso due manrovesci. Domenica vedremo chi li ha presi veramente.

I manrovesci di Bandecchi


Il sindaco di Terni nonché fondatore ed ex rettore di Unicusano, l’università telematica, è stato rinviato a giudizio per evasione fiscale.

Aveva promesso a Sidfrido Ranucci e a Report due schiaffoni, “lei e la sua libertà di stampa se la deve mettere nel c..” cito le testuali parole di un sindaco che oramai non si vergogna più di nulla, “finché lei continuerà a fare programmi dove risulterà infame”.Il servizio di Report su Unicusano non gli era piaciuto, soprattutto i conti che Luca Bertazzoni aveva fatto sugli stipendi dei docenti.

Come spiegava il consulente di Report Pier Gaetano Bellavia, “questi incassano più di 80 ml dagli studenti a fronte di questo per i docenti spendono 9 milioni e mezzo”.

9,5 ml su 1107 docenti fa una media di 8600 euro lordi l’anno questi sono i dati che arrivano dal MIUR: ma i numeri non bastano a convincere Bandecchi, “i nostri docenti sono pagati 4 volte gli altri..”

Ma chissà se nella media di Bandecchi rientra l’ex docente che Report ha intervistato per capire come funzionano veramente le cose: ha insegnato ad Unicusano dal 2018 fino al 2023, la retribuzione era di 4000 euro lordi per tutta la produzione di 40 ore di videolezioni, 250 pagine di dispense e altro materiale. “L’anomalia di questo contratto è che innanzitutto mi venivano chiesti dei diritti d’autore per cinque anni ed oltre”.

Cosa vuol dire? La signora – così la chiama il sindaco, non la docente – “fa una lezione, scrive il suo libro, questo prodotto potrà essere utilizzato da noi per almeno cinque anni”.

I materiali per l’insegnamento erano diventati vecchi e obsoleti, c’era bisogno di un aggiornamento – spiega a Report l’ex docente che aveva segnalato il problema all’università – e le era stato risposto che avrebbero verificato..

Ma il tema non appassiona Bandecchi: “lei sta parlando di una categoria di professori che è lo stato che produce questa gente, io mi limito ad andare su uno scaffale e prendere i prodotti che lo Stato ha già confezionato, lei mi vuole dire che non capiscono un c.. da mo che lo dico..”

Questo è il livello di competenza, di rispetto per il lavoro altrui, del fondatore di Unicusano.

Però Bandecchi non è così aperto nei confronti delle opinioni altrui, quando lo riguardano direttamente: il professor della Statale di Milano Piero Graglia è stato querelato dall’ex rettore e da Unicusano per diffamazione aggravata a causa di un post pubblicato sui social in cui scriveva che le università telematiche sono “il frutto malato della riforma Gelmini”.

L’articolo era stato scritto a seguito del sequestro dei beni a Bandecchi da parte della Finanza, come spunto per un ragionamento sulle università telematiche, aggiungendo che questa vicenda (il sequestro) poteva essere catalogata come un ennesimo caso di peculato cialtrone e gli è stato contestato che aveva dato del cialtrone a Bandecchi.

Il professore ha dovuto prendersi un avvocato e comparire di fronte ad un giudice, non c’era nessuno dall’altra parte tanto che il giudice che poi ha archiviato tutto in seduta ha detto “molto gentile il signor Bandecchi a non aver mandato nemmeno un avvocato.”

Sembrava quasi una querela intimidatoria – commenta oggi il professor Graglia che, per questa vicenda, ha speso duemila euro.

Nella sentenza è scritto che l’opponente sembra non comprendere nemmeno il senso di alcune espressioni: tutta colpa degli avvocato, sbotta il fondatore di Unicusano, sicuramente laureati in qualche università italiana.

La Cina sommersa


La guerra commerciale in corso tra Pechino e l’amministrazione americana si lega con i traffici delle mafie internazionali in Italia e nel mondo.
Traffici che si appoggiano alla rete commerciale delle industrie cinesi, alle banche illegali create dalla comunità cinese in Italia (e non solo).

Report ha preso parte, assieme alla Guardia di Finanza e all’Agenzia delle Dogane, ad un controllo sulla merce in arrivo dalle grandi metropoli cinesi, compie un mezzo giro del mondo e arriva poi in Italia al porto di Trieste.

La merce passa perfino per l’Ucraina, per l’Estonia, tra gli oggetti controllati c’è anche uno sberleffo per Musk, il logo della Tesla rifatto: giochi, apparecchi elettronici, calzature e caschi, ogni container assomiglia ad uno scrigno dei desideri.

Desideri contraffatti, come gli auricolari ritrovati dalla Finanza in un container che poi sarebbero andati in Ungheria.

Tutto questo è solo la punta dell’iceberg della rete commerciale dalla Cina che si avvale del controllo di numerosi porti in Europa per il transito delle merci: nel 2024 il valore complessivo delle merci vendute dalla Cina nel mondo è stato pari a 5 trilioni di dollari.

Sempre in Italia, questa volta a Civitanova Marche: i carabinieri individuato qui una banca clandestina cinese con filiali in tutta Italia, col compito di riciclare denaro per la criminalità organizzata.

Il traffico si svolgeva in una anonima villetta nella campagna marchigiana, in una agenzia di viaggi e in un supermercato all’ingrosso a pochi km da Civitanova. Qui la GDF di Ancora a Macerata coordinate dalla procura europea smascherano nell’ottobre 2024 un’organizzazione criminale transnazionale e ricostruiscono operazioni finanziarie illecite per un valore complessivo di 3 miliardi di euro.

L’associazione criminale riusciva a gestire una underground chinese bank” spiega a Report Peppino Abbruzzese comandante del GICO di Ancora “che riceve denaro contante in cambio di commissioni, il corriere che doveva fisicamente trasportare la merce da un punto a ad un punto b, portava con sé una banconota da 5 euro, questa veniva postata all’interno di una chat criptata, quindi il destinatario della richiesta non faceva altro che verificare il codice alfanumerico presente sulla banconota che esibiva al corriere e automaticamente lo scambio avveniva.”
Quanto denaro veniva scambiato nelle borse dei corrieri?

In un caso siamo riusciti ad individuare un corriere che trasportava più di 100mila euro in un trolley, fisicamente aveva ritirato un borsone da dentro l’agenzia di viaggi, nelle Marche e si recava in una regione del centro Italia.”

Un sistema che vedeva accanto mafia albanese e facoltosi imprenditori italiani tutti in fila agli sportelli della banca cinese clandestina.

Siamo sicuri che alcuni versamenti andavano in direzione Cina” prosegue il comandante Abbruzzese “ma la presenza di conti virtuali ha un po’ di fatto limitato la nostra capacità investigativa .. un conto virtuale viene identificato da un iban europeo, di fatto però quando abbiamo chiesto la collaborazione alle autorità straniere ci hanno comunicato che quelli erano conti specchio dal momento che dietro quel conto virtuale si nascondeva un conto cinese.”

Ci sono dunque degli iban in Germania per cui quando a vai a fare un accredito i soldi arrivano in Cina.

Il GICO ha chiesto aiuto alle autorità cinesi ma “ad oggi è mancato un dato oggettivo di collaborazione.”

Questo meccanismo di riciclaggio di denaro sporco è stato scoperto anche negli Stati Uniti dove decine di broker cinesi avevano messo assieme un sistema bancario parallelo per i riciclaggio del denaro sporco frutto del narcotraffico. New York, Chicago, Los Angeles, Miami, le grandi città sono il parco giochi dei grandi cartelli messicani e il bancomat a cielo aperto dove i narcos costruiscono le loro fortune: miliardi di dollari accumulati dalla vendita delle droghe a cominciare dal fentanyl. Un fiume di soldi che ha bisogno di essere ripulito e nessuno è così bravo a ripulire i soldi quanto i broker cinesi.

Chris Urben è direttore generale dell’agenzia di investigazione Nardello&Co: “quello che prima richiedeva dai sette ai dieci giorni per essere riciclato e restituito ai cartelli messicani ora richiede appena uno o due giorni e con un costo dell’1% contro il 7-10% del passato”.

Urben è stato per anni un agente della Dea il reparto anti droga delle forze speciali statunitensi: olrte vent’anni in cui Chris ha pertecipato alla caccia dle re dei narcos, El Chapo Guzman oltre ad essere stato tra i primi a finire sulle rtacce della grande rete di riciclaggio messa in piedi dal sistema bancario clandestino cinese.

Man mano che i lavoratori cinesi si disperdevano in tutto il mondo avevano buisogno di un modo per rimpatriare i loro fondi in patria. Questa rete di lavoratori cinesi all’estero ha dato origine al sistema bancario clandestino cinese, che era una rete basata sulla fiducia, si trattava di un metodo affidabile per riciclare denaro e rimandarlo nella Cina continentale” spiega a Report Urben.
Dal 2018 l’antidroga americana scopre che all’interno della comunità cinese di New York si nasconde una rete sotterranea di riciclatori ben strutturati e con rapporti di fiducia in ogni angolo del pianeta.

C’era quindi un nuovo metodo di riciclaggio” prosegue il racconto di Urben “ed era quello operato da reti cinesi negli Stati Uniti che raccoglievano grandi quantità di contanti in dollari, uno o due milioni di dollari tenuti in luoghi controllati da loro. Questo ci ha permesso di comprendere come funzionava la rete, abbiamo osservato trafficanti di droga consegnare denaro a soggetti per noi nuovi, riciclatori di denaro cinesi che prendevano quei fondi e li portavano nelle “stash houses” e accumulavano grandi quantità di valuta.”

Le stash houses, le filiali bancarie clandestine possono essere ovunque, nel retrobottega di una pescheria, come nel sottoscala di un magazzino, a Manhattan come come nel Bronx.

C’erano decine di broker cinesi a NY e nel New Jersey e ci siamo resi conto che avevano dei dipendenti, come qualunque altra organizzazione: corrieri che consegnavano il denaro, corrieri che lo recuperavano, avevano persone che lo gestivano con le stash location dove il denaro veniva custodito e contato. E poi avevano altri soggetti che operavano su applicazioni criptate come wechat e su bacheche e canali in mandarino dove vendevano quel denaro.”

Report ha ottenuto un’intervista in esclusiva con l’ambasciatore cinese Jia Guide a cui ha aperto le porte della sua residenza: alla trasmissione ha condiviso le linee guida del governo di Pechino su questioni delicate come dazi e commercio internazionale.

La presidente della commissione UE Von Der Leyen ha telefonato primi ministro cinese dove han parlato dei dazi americani sostenendo che possano costituire una deviazione commerciale cinese verso l’Europa, esiste il rischio che l’Europa sia invasa da merci cinesi?

Comprendiamo le preoccupazioni dei paesi europei” risponde l’ambasciatore Jian Guide “ma in realtà questa questione è stata esagerata, la Cina è ormai il secondo mercato di consumo mondiale, da molti anni il mercato interno costituisce la principale forza motrice della nostra crescita economica.”

L’applicazione dei dazi, quelli attuali e quelli annunciati rischia anche di influire negativamente sui rapporti commerciali tra l’Italia e la Cina?

Le tensioni sul commercio internazionale hanno avuto un impatto sull’ordine commerciale globale e inevitabilmente anche un’influenza negativa sulle cooperazioni economiche e commerciali tra Cina e Italia. In generale le relazioni economiche e commerciali poggiano su basi solide.”

Il governo cinese sta facendo qualcosa per arginare delle prassi illecite che possono in qualche modo influire sulla giusta concorrenza dei mercati?

La Cina attribuisce grande importanza alla concorrenza leale e alle regole del mercato e la legge impone chiaramente alle imprese operanti all’estero di rispettare le leggi del paese ospitante e le norme internazionali. Attualmente il maggiore fattore di turbamento dell’equità sul mercato internazionale è rappresentato dalla guerra dei dazi, unilateralmente avviata dal governo americano: l’abuso delle tariffe da parte degli Stati Uniti danneggia i legittimi interessi degli altri paese e viola gravemente le regole dell’organizzazione del commercio e mette a rischio l’ordine economico e commerciale internazionale. Chi rispetta le regole del commercio internazionale non può cedere a chi le infrange. ”

Antonella Mascali ha firmato un articolo che anticipa alcuni dei contenuti del servizio:

Ombre cinesi”: la guerra dei dazi e la mafia di Prato

di Antonella Mascali

La guerra di mafia cinese in Italia e non solo, è al centro dell’inchiesta di Report di questa sera, che mette in evidenza come omicidi, tentati omicidi, attentati con pacchi bomba, hanno a che fare con la guerra commerciale di Pechino contro Usa ed Europa, che ha avuto un’impennata dopo la guerra dei dazi voluta dal presidente Usa, Donald Trump.

Ombre Cinesi” esplora la complessa rete di attività illegali che coinvolge in particolare Prato, città storicamente dell’artigianato tessile. Lì la comunità cinese è scossa da una guerra criminale definita “guerra delle grucce”. Ai profani potrebbe sembrare di basso livello delinquenziale, ma in realtà nasconde interessi economici enormi legati al settore tessile, alla logistica e al controllo della distribuzione globale delle merci. Secondo l’analisi di centri studi Usa, confermate dal Brookings Institution, le quattro grandi banche di Stato cinesi avrebbero riciclato quasi 22 trilioni tra dollari ed euro, in modo da garantire quella solidità finanziaria per poter combattere la guerra commerciale internazionale. Questo è possibile, sostiene Report, perché a fianco dello Stato ufficiale c’è uno Stato parallelo, occulto, in tutti i paesi del mondo dove sono radicate comunità cinesi.

Le concessioni degli stabilimenti balneari


Secondo quanto ha stabilito l’Unione Europea le concessioni pubbliche sui lidi concesse ai privati andranno messe a gara: tra i gestori c’è anche Gabriele Pagliarani proprietario della stabilimento Tiki26 a Rimini.

Rimarrei qui altri 38 anni qui, pagando quello che mi fa pagare lo Stato italiano, perché cambiano i governi ma noi siamo sempre andati avanti.”

Gabriele è il bagnino d’Italia, una star della riviera romagnola, lo conoscono anche oltre oceano, da sempre gestisce la concessione 26 a Rimini, oltre 8mila metri quadrati di spiaggia, bar, ristoranti, campi da beach volley e un chiringuito a pochi passi dal mare.

Quanto paga di concessione? Poco più di 15 mila euro l’anno da versare al demanio per un giro d’affari che nel 2023 ha sfiorato il milione e mezzo di euro.

E ora lo spauracchio della gara pubblica, “un coltello puntato sulla schiena” lo definisce Gabriele che ora per le gare rischia di andare a casa: ad inizio giugno la corte di Giustizia europea si è espressa su una controversia tra i balneari di Rimini e il comune che ha deciso al rinnovo automatico delle concessioni dando ragione all’ente.

Cosa farà il bagnino d’Italia, che dall’intervista a Report sembra poco felice di fare questa gara?

La riviera è famosa nel mondo grazie ad imprenditori come lui che si sono sempre ingegnati attirare turisti e guadagnare: il lampo di genio lo ha avuto anche quest’anno. Per aggirare un’ordinanza che prevede il divieto di ballare in spiaggia, si è inventato la lezione di zumba a due passi dal mare.

Se lo stato gli dovesse chiedere, ad esempio, duecentomila euro l’anno, non rimarrebbe qui a lavorare..

Il servizio racconterà anche del bando per l’assegnazione del lotto A25 a Castelfusano, una delle concessioni demaniali a Ostia che è stato assegnato all’unica società che ha presentato domanda.

Qui il circolo sportivo Nauticlub Castelfusano, che gestiva la spiaggia sin dal 1985, rischia di sparire – racconta Massimo Intorto uno dei soci del Nauticlub – perché il consiglio direttivo ha deciso di non presentare domanda per il bando del comune di Roma, optando per un ricorso al TAR.

Noi lo scopriamo dalle trapelazioni uscite dai vari giornali, uscivano già i bandi e si vedeva che c’era una società che aveva messo l’occhio sul bando del lotto A25.”

Con la concessione scaduta e con l’assenza di partecipazione alla gara pubblica il TAR ha rigettato il ricorso “perché Nauticlub non ha dimostrato interesse ..”
Ma il TAR aggiunge però che sono ancora in tempo per ripresentare domanda perché i termini ci sono ancora ma lo stesso i vertici del circolo non hanno voluto fare domanda.

L’impressione è che le nuove società che si presentano ai bandi, siano nate per non far perdere la concessione ai vecchi proprietari o per accaparrarsene di nuove.

La società MAMB (che ha partecipato alle gare per l’assegnazione del lotto A16 a Ostia) ha come amministratore Fabrizio Burlone, fratello di Alessandra amministratrice della Kokai SRL la società che ha messo le mani sul Nauticlub.

A parte l’essere fratello e sorella, le due società hanno la stessa sede legale, il commercialista e un oggetto sociale identico con uno statuto con gli stessi errori di battitura.
Fabrizio Burlone è dipendente dello stabilimento La Bicocca e ora partecipa alla gara per aggiudicarsi la concessione che per 30 anni è stata gestita dal cognato Marcello Milani, marito di Alessandra.

Questo comportamento, creare società nuove con dentro le stesse persone che gestiscono gl stabilimenti assegnatari delle vecchie concessioni, non significa aggirare la legge?

L’avranno valutato se hanno aggirato le regole? L’avranno valutato al comune?” risponde Fabrizio Burlone che poi ammette di aver presentato la proposta fatta a Marcello (il cognato) per due società e presentarsi al bando per aver più possibilità di tenersi la concessione.

Domenica scorsa al Nauticlub si è svolta l’ultima assemblea dei soci, il clima era teso non solo per l’approvazione del bilancio: in questa assemblea si parla per la prima volta della gara vinta dalla Kokay di Alessandra Borlone e le telecamere di Report non sono gradite.

Non vogliono nessun contraddittorio .. ma ti pare che uno non partecipa ad un bando e non lo comunichi ai soci, non fai un verbale al consiglio..” racconta a mezza voce uno dei presenti all’assemblea.

Il direttore del circolo aveva promesso di rispondere alle domande di Report al termine dell’assemblea ma alla fine ha scelto di non presentarsi di fronte ai giornalisti.

Vista la caratteristica di quel territorio – commenta il procuratore Sabella – si sarebbe dovuto fare una verifica preventiva sia sulle imprese che partecipavano al bando sia su come si erano comportati i concessionari precedenti: “io li avevo fatti controllare tutti e 91 gli stabilimenti, tutto finito negli scatoloni della fiera di Roma.”

La scheda del servizio:

Roma fa il bando, ma i lidi restano in famiglia

Il comune di Roma è uno dei pochi in Italia che decide di indire il bando sulle concessioni balneari. A gara chiusa, più della metà delle concessioni è tornata ai vecchi gestori: incrociando i dati delle società nuove e vecchi amministratori, sedi legali e studi tecnici di riferimento, sembra esserci un unico centro di interesse.

Ad aggiudicarsi il lotto A25, dove attualmente c'è il Nauticlub Castelfusano, è stata l'unica società che ha fatto domanda. Ma perché l'associazione sportiva che gestisce quel tratto di spiaggia dal 1985 non ha partecipato al bando.

Venezia da non svendere


Bezos, il padron di Amazon, avrebbe voluto entrare nella laguna di Venezia per festeggiare il suo matrimonio col suo veliero, un tre alberi da 127 metri di lunghezza dal valore di mezzo miliardo di dollari.

Perché a lorsignori, i superricchi destinati grazie alle politiche fintamente liberali tanto in voga a diventare ancora più ricchi, ogni capriccio deve essere consentito.

Tra l’altro il matrimonio si è celebrato nel palazzo della Scuola Grande della Misericordia, un palazzo storico del 1500 che il sindaco di Venezia Brugnaro ha dato in gestione per 35 anni ad una società dell’imprenditore Brugnaro (non è un’omonimia).

Brugnaro, e tanti assieme a lui, è contento che Bezos abbia scelto Venezia per festeggiare il suo matrimonio, perché da lustro alla città (come se Venezia avesse bisogno di ulteriore pubblicità, poi): ma a Venezia ci sono anche tanti cittadini che non sono contenti di questa scelta.

Persone come Federica Toninello del laboratorio Morion, che considerano Bezos rappresentante di quell’1% che pensa di poter fare quello che vuole e che soprattutto vive grazie al 99% del resto della popolazione, calpestando le loro libertà, calpestando i loro diritti.

Attivisti e semplici cittadini si sono riuniti nel laboratorio occupato di calle del Morion, una casa dei beni comuni fuori dai circuiti turistici e commerciali di Venezia: è una chiamata a raccolta di quei cittadini che non accettano questa svendita della loro città, solo per chi ha i soldi. La loro idea della città è quella di una Venezia per tutti, abitabile, piena di socialità.

Le immagini delle proteste contro Bezos hanno fatto il giro del mondo (sebbene siano state silenziate qui da noi) e così alla fine il veliero è rimasto ormeggiato in Croazia.

La scheda del servizio:

È lecito trasformare Venezia in un set privato per feste e cerimonie d’élite?

Venezia, così fragile e già soffocata dal turismo di massa, dal traffico inquinante di vaporetti e imbarcazioni che erodono con il moto ondoso e le fondamenta della città, meriterebbe più rispetto?

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

03 luglio 2025

Un cadavere in cucina: Un caso per Manrico Spinori di Giancarlo De Cataldo


 

Cullato dalla mite risacca di un inerte pomeriggio senza vento, sprofondato nella sdraio preferita, il pubblico ministero Manrico Spinori assaporava l’oblio del luglio pontino.

I bambini che affollavano il vicino stabilimento La Medusa giocavano a schizzi d’acqua e bombe di sabbia, in un acuto vociare interrotto da improvvise, finte esplosioni di collera. [..]

Manrico adorava quel tempo sospeso di profumi iodati, ne godeva lo spirito intriso di assenza, sarebbe rimasto per sempre in bilico fra il sopore sensuale della calura e il fascino abissale del sonno.

Con questo “Cadavere in cucina” la ricetta letteraria ideata da Giancarlo De Cataldo ha trovato il giusto mix di ingredienti e il miglior punto di cottura – mi scuserete la metafora: in questo ultimo romanzo funziona tutto bene, a cominciare dalla squadra di investigatrici tutta al femminile, un ingranaggio perfetto dove ognuna porta il suo contributo al gruppo. Molto verosimile il racconto di come funzionano le indagini viste dall’interno del mondo delle procure (un punto di vista spesso trascurato nei romanzi gialli). C’è poi a corredo tutto il sottobosco romano tra vip, politici che affollano i locali della dolce vita romana.

E poi questo personaggio che si fa fatica ad afferrare, Manrico Spinori, un titolo nobiliare sulle spalle di cui però rimane solo il lustro di facciata, perché la vera ricchezza accumulata dagli avi è stata sprecata negli anni dall’augusta madre, donna Elena. Tanto bella quanto ammalata del vizio della ludopatia..
Ecco, se devo dare un volto a questo magistrato dall’aria malinconica, non riesco a non pensare ad un Marcello Mastroianni col suo sorriso triste nel finale ne “La dolce vita” di Fellini.

Manrico Spinori, chiamato il Contino in procura, è un magistrato preparato, capace di muoversi in modo felpato nelle inchieste delicate che gli affida il suo superiore, quella “vecchia volpe” del procuratore Melchiorre.

Faceva parte del suo metodo investigativo. Non c’è situazione umana, incluso il delitto, che non sia stata raccontata nella lirica.

Tanto felpato e abile nel muoversi nel complicato mondo romano, tra politici ricconi e gente con visibilità mediatica, quanto volubile sull’aspetto sentimentale: oltre all’ex moglie, alle spalle diverse relazioni finite, alcune bene altre meno, ma sempre vissute con la sensazione di non volersi gettare veramente dentro.

Negli ultimi mesi Manrico Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Spinori della Rocca dei conti di Albis e Santa Gioconda, detto «il contino» per le sue origini aristocratiche, si era occupato di numerosi casi bagatellari, firmando qualche centinaio di richieste di archiviazione

Appassionato di musica lirica, Manrico Spinori è convinto che ogni caso su cui deve indagare è stato già “cantato” in un’opera, bisogna solo individuare quella giusta.

Qual è l’opera che più calza questa indagine che gli viene appioppata dal procuratore capo mentre si trova in vacanza a Sabaudia con la madre, il figlio e il maggiordomo Camillo?

Tutto nasce da un video girato all’interno di un famoso ristorante, il Controcorrente di chef Marini: un video in cui si vedono dei commensali in preda a delle allucinazioni, tanto da dover essere ricoverati.

Il video è stato pubblicato da un sito di Gossip che sembra essere sempre ben informato dei casi di cronaca che succedono in città (e anche in questa storia ci sarà qualcuno che passerà diverse notizie al sito): non è solo per questo che Melchiorre chiede a Manrico di indagare. Il giorno seguente a quello del video, è morto per avvelenamento un commensale, che era anche un colonnello dell’esercito, Vladimiro Micheli. Come gli altri, anche lui aveva consumato una speciale pietanza a base di funghi.

Come gli altri commensali avvelenati da un fungo allucinogeno, anche il colonnello Micheli era stato ricoverato al pronto soccorso, ma era poi ritornato a casa. Ma due giorni dopo era stato trovato morto, sempre per avvelenamento da fungo, ma questa volta per la mortale Amanita Falloide. Che ci sia una connessione o meno, bisogna aprire un fascicolo, contro ignoti, facendo partire tutto l’iter del caso.

Non si tratta di un banale caso di avvelenamento: Manrico e la sua squadra, l’abile tecnica informatica Gavina Orrù, Marinella la fedele segretaria e Deborah Cianchetti, la tosta ispettrice se ne rendono conto sin da subito: c’è prima di tutto da entrare in quel mondo così distante che è quello degli chef e dell’alta cucina.

Ci sono poi i servizi che irrompono nell’indagine: stavano forse controllando il colonnello Marini? E per questo che è stato ucciso?

Manrico viene avvicinato da un agente dell’Aisi, il controspionaggio interno, molto avvenente e molto abile, Stefania Baldini: apparentemente i servizi vogliono giocare a carte scoperte con la procura e con la squadra di Spinori, ma quest’ultimo ha l’impressione che gli stiano nascondendo qualcosa.

Anche questa donna così affascinante, tanto da far sentire a Manrico quella scossa sentimentale, lo sta veramente aiutando nel caso oppure lo sta solo manipolando per usarlo per propri fini?

C’è sempre una certa diffidenza, quando in una storia entrano quelli dei servizi: non solo per tutte le pagine nere della nostra storia in cui sono stati coinvolti (piazza Fontana, strage di Bologna..), c’è la sensazione che il loro lavoro non corrisponda veramente alla protezione del paese e delle istituzioni, ma a proteggere il potete in nome di una falsa “ragione di stato”

Si oscillava dall’intrigo dei salotti al carrierismo del singolo funzionario, finché alla fine qualche formula magica non copriva tutto, il tappeto sotto il quale nascondere il pattume degli arcana imperii. C’era chi la chiamava «ragion di Stato»

Per risolvere questa indagine Spinori e le sue investigatrici dovranno addentrarsi nel mondo dell’alta cucina, vincendo anche qui un ulteriore pregiudizio.

Lui amava l’opera, altri la grande cuisine… Perché, dunque, negare quarti di nobiltà all’antica arte della tavola? Non si erano forse decisi destini di popoli e di dèi, fra un rombo alla brace e un flan di zucca?

Un mondo strano, questo: c’è un dietro le quinte nel mondo degli check, con una stella o più, con una spietata competizione tra i grandi cuochi che passa anche dai reality che poi si riverbera anche nelle cucine che più che luoghi dove preparare pietanze che saziano la pancia e lo spirito si rivelano dei campi di battaglia.

La cucina non è un posto per cuori teneri e spiriti deboli. Qui è una trincea, si è in guerra ogni singolo minuto della giornata. In cucina ci vogliono generali e soldati semplici.

Chi ha ucciso e perché il colonnello? Che correlazione c’è con l’avvelenamento nel ristorante stellato di chef Marini? E, soprattutto, cosa ruolo hanno in questa storia i servizi?

Tutti enigmi che troveranno una soluzione così come troverà una risposta la domanda del “contino”: qual è l’opera di riferimento per questa indagine?

La scheda del libro sul sito di Einaudi
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon