1993-1994. Le menti e gli esecutori degli attentati di cosa nostra nel continente
Lavoravo alla procura Distrettuale Antimafia di Caltanissetta quando si verificarono gli attentati nelle città di Roma, Firenze e Milano, e stavo iniziando ad occuparmi di Capaci, avvenuta il 23 maggio 1992, e dell’attentato dell’Addaura pianificato per il 21 giugno 1989 per colpire Giovanni Falcone e i componenti della delegazioni elvetica in quei giorni a Palermo.
Avevo ancora nella mente le immagini desolanti dell’enorme cratere, di quella Croma scagliata a oltre sessanta metri di distanza dall’enorme deflagrazione, con all’interno i cadaveri straziati di Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro, quella folla enorme e scomposta di persone che si riversavano nell’area aperta a tutti per andare a rendere omaggio alle vittime o semplicemente a curiosare [..]
Immagini che mi apparvero come lo specchio su cui si rifletteva uno Stato assente e distratto, che per tanti anni aveva tollerato o, forse, favorito, il dilagare del crimine organizzato.
Come sono stati individuati gli autori delle stragi del “biennio di sangue”, 1993-1994? Quali le prove che hanno consentito agli inquirenti di portarli a processo e ai giudici di condannarli a svariati anni di carcere? In che modo si è giunti alle condanne a Spatuzza, i fratelli Graviano, Riina e Bagarella i vertici dell’ala corleonese che in quegli anni comandava dentro cosa nostra?
La prima parte del racconto si occupa proprio di questo elencando nomi, circostanze, le confessioni degli stessi esponenti delle cosche rese davanti ai magistrati, una volta presa la scelta di diventare collaboratore di giustizia.
Luca Tescaroli oggi procuratore a Prato (dove ha chiesto di aprire una nuova direzione distrettuale antimafia per contrastare la criminalità organizzata cinese) si concentra sulle stragi di Firenze in via dei Georgofili del 26 maggio 1993, sulla strage in via Palestro a Milano e sugli attentanti a Roma del 27 luglio 1993. Oltre agli attentati al giornalista Maurizio Costanzo, il 14 maggio 1993, al fallito attentato a Totuccio Contorno nel 1993 e all’ultima bomba, l’ultima di questa scia di sangue e tritolo (e molto altro) cominciata con la bomba a Capaci, il 23 giugno 1992.
Un biennio di sangue che ha rappresentato la più grave minaccia contro le istituzioni italiane portata avanti da cosa nostra, in prima linea, su cui ancora si deve chiarire se ci siano stati, oltre a i boss, altri mandanti a volto coperto da ricercare sia dentro le istituzioni stesse, sia dentro altre centri di potere tra cui massoneria e pezzi dei servizi.
Come ricorda lo stesso autore, lo stragismo non rappresentava una novità nella storia del nostro paese: quelli che sono passati alla storia come gli anni della strategia della tensione sono stati caratterizzati da attentati contro banche, treni, sindacati riuniti in piazza, tentativi di colpi di stato che avevano come obiettivo quello di lanciare messaggi a chi di dovere dentro le istituzioni.
Quello che colpisce della scia di attentati del 1992-93-94 è quanto abbiano inciso nelle scelte politiche fatte dai vari governi: come per le bombe fasciste di Milano 1969 e Piazza della Loggia 1974 l’obiettivo era destabilizzare per stabilizzare l’asse politico in senso centrista e ostacolare la crescita dei partiti di centro sinistra, l’obiettivo delle bombe di cosa nostra era lo stesso, destabilizzare per non poi trovare all’interno dei partiti nuovi referenti politici.
Cambiare tutto per non cambiare nulla negli equilibri tra stato e mafia.
C’è un filo nero che lega le stragi fasciste a quelle mafiose (sempre che sia solo mafia): la presenza di esponenti dell’arcipelago nero come Paolo Bellini, condannato per la strage fascista di Bologna del 1980 e confidente dei carabinieri nel 1993. Nonché suggeritore a Nino Gioè della strategia di colpire le opere d’arte come strumento di ricatto per lo stato.
E poi Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale, nata da una scissione del movimento sociale, indagato più volte per le stragi fasciste degli anni settanta e sempre assolto.
La pista nera arriverebbe anche a lui: come racconta il collaboratore dei carabinieri Alberto Lo Cicero, Delle Chiaie sarebbe stato visto a Capaci nei mesi precedenti la strage.
Il retroterra stragista degli anni Settanta e Ottanta e il momento di massimo pericolo per la democrazia nel nostro Paese
Lungo il sentiero del tempo che attraversa gli anni Settanta, Ottanta e Novanta, membri appartenenti alla destra eversiva e all’associazione mafiosa denominata Cosa nostra incisero profondamente nella vita democratica della nostra Nazione con il ricorso a dirompenti ordigni esplosivi che hanno prodotto plurime stragi, seminando panico, distruzione, lutti e una diffusa insicurezza nella collettività. Alle bombe nere dei neofascisti degli anni della strategia della tensione [..] si affiancarono le stragi volete ed eseguite dai corleonesi giunti alla guida di cosa nostra, nel quadro delle ipotizzate convergenze di interessi con soggetti esterni alla stessa organizzazione.
Prosegue poi Tescaroli:
Nella fascia temporale che ha preceduto l’esecuzione di queste otto stragi [quelle del 1993 e il mancato attentato allo stato di Roma nel gennaio 1994] sono affiorati e, comunque, sono rimasti sullo sfondo rapporti tra esponenti della destra estrema, come Paolo Bellini risultato in contatto con il mafioso Antonino Gioè, che riportavano alla mente le stragi neofasciste degli anni Settanta e Ottanta.
L’aggressione rappresentò il momento di massimo pericolo per la nostra democrazia, che venne profondamente ferita, e l’attacco più grave posto in essere da Cosa nostra.
La parte più interessante del racconto però è quella successiva: nella seconda metà si raccolgono tutti quegli spunti investigativi ancora da seguire perché o legati a punti poco chiari delle indagini o perché spunti meritevoli di approfondimento.
Perché una cosa va chiarita: nonostante le celebrazioni, le parole di circostanza da parte della politica (la stessa che poi attacca i magistrati quando toccano i loro interessi, la stessa che depotenzia la magistratura togliendo strumenti per fare indagini), siamo ancora lontani dalla piena verità su Capaci, sulla strage di via D’Amelio e sugli attentati avvenuti a Firenze, Roma e Milano.
.. occorre evidenziare che, in ordine ai fatti stragisti terroristico-eversivi del biennio 1993-94, dai processi celebrati, sono emersi spunti investigativi che hanno imposto e impongono di continuare a indagare per verificare se sia dimostrabile sul piano processuale una convergenza di interessi di ulteriori soggetti estranei al sodalizio mafioso [..]
Tutto questo fa parte di altri filoni di indagini, che impongono di continuare a indagare non solo perché questo è un obbligo giuridico, ma perché è la memoria delle vittime innocenti e dei tanti feriti, unitamente al condizionamento provocato da tali attentati alla nostra democrazia, che lo richiede.
Partiamo
da Capaci: come mai il commando che era stato mandato a Roma, di cui
faceva parte anche Gaspare Spatuzza, nella primavera del 1992 per
seguire Maurizio Costanzo e Giovanni Falcone in previsione di un
attentato, è stato richiamato poi in Sicilia da Riina?
Perché
l’accelerazione sulla strage di via D’Amelio contro Paolo
Borsellino e la sua scorta a soli 57 giorni dalla morte di Giovanni
Falcone?
Come mai pezzi delle istituzioni hanno costruito il
finto pentito Scarantino, un piccolo spacciatore ritenuto credibile
in tre gradi di giudizio? Forse per allontanare le indagini dai
fratelli Graviano?
Va chiarito il ruolo di Paolo Bellini, confidente dei carabinieri e suggeritore della strategia terroristica di colpire le opere d’arte: “Come mai le anticipazioni sulle intenzioni degli appartenenti a Cosa nostra veicolate a esponenti delle Forze dell’Ordine da Bellini, non hanno consentito di impedire l’escalation di violenza del 1993?”
Meriterebbe un approfondimento la morte di Nino Gioè uno degli autori della strage di Capaci, morto in uno strano (e poco credibile) suicidio in carcere, dopo aver scritto una lettera-testamento dove citava pure Bellini.
“Questa storia del suicidio di Gioè secondo me è un altro segreto che ci portiamo appresso”, diceva Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico di Giorgio Napolitano al Quirinale, intercettato mentre parlava al telefono con Nicola Mancino. Ai magistrati di Palermo spiegò il senso delle sue parole: “A me quel suicidio non mi è mai suonato… mi ha turbato, mi turbò nel ’93 e mi turba ancora”. Il corpo senza vita di Gioè lo trovano la notte tra il 28 e 29 luglio del ’93: esattamente 24 ore dopo la stragi di via Palestro, di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio in Velabro.
Anche sulla strage di via Palestro c’è un buco nero: chi ha materialmente compiuto gli ultimi atti della strage a Milano? Il racconto dei mafiosi termina diverse ore prima, come se i mafiosi avessero lasciato l’operazione ad altri soggetti esterni alla mafia.
Come quella misteriosa donna bionda vista da testimoni vicino alla Uno bianca poi esplosa nella notte del 27 luglio.
Il 1993 è stato l’anno di tangentopoli, dello scandalo dei fondi neri del Sisde, del tentato golpe alla rai di Saxa Rubra, del rinvenimento dell’esplosivo sul rapido Siracusa-Torino, collocato da un funzionario dei servizi di Genova, della crisi economica del Paese.
Un anno di forti sconvolgimenti che hanno destabilizzato il paese, anche per le rivendicazioni fatte da una misteriosa sigla “Falange armata”: chi c’era dietro queste rivendicazioni, non solo sulle bombe ma anche sui delitti compiuti dalla Uno Bianca in Romagna?
E poi la trattativa stato-mafia: nonostante l’opera incessante dei negazionisti della trattativa (ovvero del ricatto a organi dello stato portato avanti da cosa nostra con gli attentati), questa trattativa c’è stata.
Lo dicono gli stessi ufficiali del Ros, se ne è ricordato dopo anni di distanza lo stesso Martelli: gli incontro tra uomini dello stato e intermediari mafiosi ci sono stati. Come ci sono state le reazioni da parte del governo Amato in reazione alle stragi, il 41 bis revocato a diversi mafiosi, l’avvicendamento al DAP in primis.
Scrive la Cassazione nella sentenza sulle strage di Firenze in via dei Georgofili:
[…] L’escalation di violenza che contrassegnò la stagione delle stragi era finalizzata a indurre alla trattativa lo Stato, ovvero a consentire un ricambio sul piano politico che, attraverso nuovi rapporti.
Commenta Tescaroli:
Dunque, sono stati acquisiti dati probatori, attraverso i processi celebrati, idonei a ritenere che siano esistite delle trattative, che i vertici dell’organizzazione mafiosa abbiano ricevuto oggettivamente un segnale istituzionale idoneo, nella loro prospettiva.
Sono domande che allargano l’orizzonte delle indagini andando oltre la sola cosa nostra: come mai le stragi sono finite nel 1994, poche settimane prima dello scioglimento del governo Ciampi e delle nuove elezioni, quelle in cui vinse il partito di Berlusconi, Forza Italia.
Il partito si cui, secondi diversi pentiti, si sarebbero convogliati i voti della mafia.
Il partito di Marcello Dell’Utri, il partito di Antonio D’Ali, entrambi condannati per concorso esterno in associazione mafiosa.
La scheda del libro sul sito di Paper First
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon